Inumano

Serie: Il Quinto Piano


    STAGIONE 1

  • Episodio 1: La Fenice
  • Episodio 2: Inumano

NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Un pompiere nel suo primo incendio...

“Quando ci ha liberate e siamo corsi sul pianerottolo, abbiamo sentito un grido dal quinto piano. Lui è salito e a quanto pare non è ancora tornato giù!”

Il palazzo era nero, le fiamme continuavano a masticare ininterrotte. Dalla tensione della folla veniva solo silenzio, interrotto solo dal fuoco, che continuava a cibarsi. Come una mannaia, un grido tagliò il silenzio.

“Ecco!” riprese immediatamente l’anziana. “È lo stesso grido!”

In meno di trenta secondi Elvis fu pronto. Tra lo stupore della folla (e dei pompieri stessi!) aveva ripreso l’ascia, si era rimesso la maschera ed era tornato nel palazzo in fiamme, pronto a compiere il suo dovere. Gli altri pompieri erano sulla fenice, alcuni con in mano le manichette anticendio e altri che, insieme ai soccorritori, aiutavano le vittime.

Al quinto piano il fuoco sembrava essersi fermato. Tutto il fumo sprigionato dall’incendio si era unito in un’unica impenetrabile nube nera. Per Elvis fu difficile orientarvisi all’interno. Ogni tanto in lontananza vedeva degli sprazzi di luce: fiamme la cui luce non era stata ancora stroncata dalla nube nera. Elvis vagò a tentoni. Perso nel buio si domandò se questa non fosse una prova, un test messo in atto dal capitano per verificare se lui avesse la stoffa per essere un vero pompiere, oppure no. Immaginava la nube che si diradava e tutti gli altri pompieri che gli correvano incontro urlando “Benvenuto ufficialmente tra i pompieri!” S’immaginò fosse un rito di iniziazione. Ma non era possibile ed Elvis lo sapeva. Aveva già festeggiato l’ingresso nelle schiere dei pompieri, sia con la sua famiglia che con i colleghi stessi. Poi il fuoco. Il fuoco era lì. Il fuoco quella notte era stato troppo denso; il fuoco aveva graffiato, il fuoco aveva strappato, il fuoco aveva distrutto, il fuoco aveva mangiato, il fuoco aveva riso e aveva riso in un modo troppo becero per essere finto. E con il fuoco, i suoi figli: fumo, calore e paura. La paura sulle facce delle persone era pura e autentica; Elvis aveva visto quella paura, Elvis aveva toccato quella paura ed Elvis aveva gustato quella paura. Il fumo era ovunque e anche se la vista era perduta (solo per il momento), Elvis sapeva che il fuoco era lì: poteva sentirlo. Continuò a camminare nel buio e inciampò in qualcosa. Qualcosa di nero, giallo e pesante. E non un giallo qualsiasi, un giallo fosforescente. Raccolse l’oggetto da terra e lo portò più vicino ai suoi occhi per vederlo meglio. Non gli poteva sembrare reale, controllò meglio. Era il cappotto ignifugo del capitano: il distintivo attaccato parlava chiaro. Di nuovo il grido. Lo stesso identico grido, questa volta solo più vicino.

“C’è nessuno?”

Elvis continuò a camminare, l’ascia stretta tra le mani.

“Capitano? È lei?”

Il calore parve avvicinarsi a lui.

“Signora? Sono qui p-p-per aiutarla…”

Paura. Aveva paura e aveva iniziato a balbettare.

“Ho trovato la sua gia-”

Il suo piede destro andò a sbattere contro qualcosa. Qualcosa che fumava. Qualcosa che inizialmente gli era sembrato solo un mobile bruciato ma che poi aveva preso un’altra forma, più umana. Era il capitano, arso dalle fiamme. Sul viso di Elvis si dipinse morte. La nube, che fino a un momento prima oscurava la vista, si diradò, e da esso spuntò qualcosa. Elvis lo guardò.

Aveva un aspetto umano ma non era umano.

Aveva un viso ma anch’esso non era umano.

Aveva pelle ma non aveva neanche vagamente un aspetto umano.

Aveva degli occhi, lo sguardo vuoto.

Aveva vita ma era morte.

Qualcosa nella mente di Elvis cambiò. Qualcosa nell’anima, qualcosa di primordiale, qualcosa di ancestrale, qualcosa di profondo, qualcosa cambiò. Elvis aveva perso Elvis. Una vagonata di pensieri, immersi in un fiume di incoscienza, gli trapassò il cervello. Tutta la felicità provata nella sua vita si unì a tutta la tristezza provata nella sua vita che si unì a tutta la rabbia provata nella sua vita che si unì a tutto il terrore provato nella sua vita e si schiantò con la coscienza. Un treno di tutto deragliò. Tutto fu sostituito dalla vista, dalla vista di qualcosa, qualcosa di non umano. Quel briciolo che rimaneva di Elvis non poteva sopportare quella visione. Doveva interrompere, smettere, finire.

Vide il fuoco. Il fuoco era fine. Si tolse il cappotto ignifugo, la maschera e lasciò cadere l’ascia. Si gettò nelle fiamme e si lasciò divorare, aspettando la fine.

Serie: Il Quinto Piano


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