Il racconto di Ljuba
Serie: L'Adelina
- Episodio 1: Fausto
- Episodio 2: Un figlio e il suo Papi
- Episodio 3: Il fantasma dell’Adelina
- Episodio 4: Un uomo fa quello che deve fare
- Episodio 5: Gli opportuni aggiustamenti
- Episodio 6: Una gran brutta faccenda
- Episodio 7: Una storia impossibile
- Episodio 8: Il racconto di Ljuba
- Episodio 9: Mettendo a posto i pezzi
- Episodio 10: Il cacciatore
STAGIONE 1
“Potresti ripetere anche a me cos’è successo, per favore?” chiese.
Ljuba sospirò. Era evidente che non ne aveva nessuna voglia.
“Sono un amico di Fausto” disse lui, sperando che questo le fosse di stimolo. “Il bambino… sai, no? Quello che stava in casa…”
Un improvviso lampo di interesse. Lo fissò; ora sì, partecipe.
“Come sta?” chiese. Pareva in ansia.
Sorpreso, Luciano rispose che stava bene.
“È molto sconvolto, naturalmente. Ma è insieme a sua madre, adesso…”
Ljuba annuì. Sembrava che approvasse completamente quella conclusione. Un vago sorriso si disegnò sulle sue labbra.
“Digli che può stare tranquillo, ora.”
Era soddisfatta, come per un lavoro ben fatto.
In quella maledetta storia, nessuno reagiva secondo lo schema appropriato.
“Raccontami tutto dall’inizio, Ljuba” disse, stancamente.
Grazie al cielo, l’italiano di Ljuba non aveva cedimenti. Luciano la seguiva senza difficoltà.
Nonostante ciò, più di una volta fu costretto a chiederle di ripetere. L’infermiere aveva ragione: quella storia non aveva alcun senso.
“La donna che è venuta a prenderti… Me la puoi descrivere?”
Ljuba disse di no. L’aveva vista soltanto di spalle, per tutto il tempo. Non si era mai voltata verso di lei, neanche una volta.
Poi c’era la nebbia, ed era buio.
“Ma tanto era Lovisa, sicuro… Chi altro poteva essere? Nessuno sapeva di noi, a parte lui. Nessuno è mai venuto ad accompagnarlo. Solo Lovisa poteva sapere dove eravamo. O no?”
Luciano fece un vago cenno affermativo.
“E poi, che è successo?”
“Niente, è successo! L’ho seguita, invece Maria non ne ha voluto sapere… Non so, sembrava tutta confusa… Magari aveva solo fame. L’avete trovata?” chiese, all’improvviso.
La preoccupazione per la sua compagna di prigionia pareva esserle caduta addosso all’improvviso. Stornava un po’ lo sguardo.
“I miei colleghi sono andati a cercarla” rispose lui, gentilmente. “La troveranno, stai tranquilla.”
“Mi ha fatto segno di seguirla, così io ci sono andata” riprese, dopo un attimo. “Sono uscita dallo stesso buco che aveva usato lei… Era stretto, perfino lui non l’ha visto… Ha pensato di aver dimenticato la porta aperta. Mi sono fatta questi…”
Alzò le braccia, coperte di graffi profondi. Luciano annuì, rapido.
“Ho capito. I miei colleghi hanno pensato che l’uomo che vi teneva prigioniere… insomma, che lui… che vi avesse picchiate, o maltrattate…”
Ma Ljuba disse che lui le aveva sempre trattate bene. Il cibo non era molto, ma c’era; e lui veniva di notte a portarlo, portava vestiti… Perfino un catino con l’acqua, e un pezzo di sapone, un paio di volte.
“E non vi ha mai chiesto… niente?”
Ljuba scosse la testa, ostinata, gli occhi incollati nei suoi.
“So che può essere difficile, ma è importante: non ha mai preteso niente, da voi?”
Era ovvio di cosa stesse parlando; e ciononostante si sentiva una specie di schifoso guardone.
Ma Ljuba continuava a fare segno di no con la testa.
Ad un certo punto, perché fosse chiaro che non si era confusa, gli ricordò che lei faceva la prostituta.
“Me ne sarei accorta, o no?”
“Bene, d’accordo. Cos’è successo, quando siete arrivate alla casa? Parlami del martello. Dove l’hai trovato?”
“L’ha lasciato lei. Davanti alla porta.”
“Come lo sai?”
“Perché l’ho vista: lo stava appoggiando per terra, proprio davanti all’ingresso; e la porta era aperta.”
“Ma perché l’hai attaccato a quel modo?” chiese.
Non riusciva a capacitarsene. Non sembrava una persona aggressiva.
Ljuba lo fissava con i grandi occhi sgranati, come se non credesse alle proprie orecchie.
“Ma era lui, non capisci!” gridò. “Lui, è stato!!”
Stordito, Luciano non ebbe il coraggio di chiederle se fosse sicura.
“Ho sentito il bambino, che gridava… L’ho sentito, che mi passava vicino, che correva verso la porta…Aveva preso anche un bambino! Che altro potevo fare? Ho continuato a colpirlo, finché non sono stata sicura che il bambino era scappato per davvero… Fin quando lui non si è mosso più…”
Maria, la trovarono il mattino dopo. Un peccato, che Ljuba fosse così confusa da non riuscire ad indicare precisamente il luogo dove erano state tenute.
Quando la tirarono fuori, era mezza morta di fame. Farfugliò qualcosa, quando la luce potente delle torce le si ficcò negli occhi, come un ultimo insulto non voluto. Quindi, semplicemente svenne.
In ospedale, ebbero cura di non farla avvicinare a Ljuba. Avevano bisogno della sua versione dei fatti.
Maria impiegò due giorni prima di essere in grado di riferire quello che era successo. I tempi, i fatti, si accavallavano nella sua mente. Se avessero avuto soltanto la sua versione, sarebbe stato semplicemente impossibile ricostruire la storia.
Per fortuna Ljuba aveva già fornito loro la maggior parte dei dettagli…
“Fortuna?”
La psicologa afferrò quel frammento di una conversazione tra lui e Sermonti, e decise di fare di loro i bersagli perfetti per la sua furia.
“Sì, è proprio una bella fortuna che quello squilibrato ne abbia sequestrata più di una per volta!”
Luciano si sentì salire il fuoco alla faccia. Gli stava proprio sui coglioni, quella tipa.
Sermonti scomparve dalla scena, con la scusa di rispondere al telefono. Essendo sposato, evidentemente sapeva quando era il momento di eclissarsi.
Luciano, invece, decise che non la sopportava più.
“Guardi che non è che può attaccarsi così al culo della gente, e aspettare che una parola non le vada a genio per montare un casino!” urlò.
Stavano proprio in mezzo al corridoio. Un paio di colleghi si affacciarono alle porte degli uffici. Nell’aria, si coglieva una vaga e non meglio precisata solidarietà maschile.
La psicologa gli esplose addosso come un petardo a Capodanno.
“Lei è un maschilista, un dinosauro, un sessista e un troglodita, ecco cos’è!”
Non era nulla del genere. Non aveva neppure l’età adatta per esserlo. Certi fenomeni sociali hanno una data di scadenza. Non puoi continuare in buona fede ad essere convinto della superiorità maschile, quando tua moglie guadagna più di te; come se fossi tuo nonno, che rientra dopo aver arato il campo.
Ma il mondo stava definitivamente andando a culo per aria, chiaro.
Sta di fatto che le regole apprese dai nonni erano ormai obsolete. Presto, seguire un donna che ti piaceva per sapere dove farle arrivare dei fiori sarebbe stato considerato reato.
Con buona pace di Hermann Hesse, Heine, e tanti altri. Un bel disastro con il botto in fondo, sarebbe stato…
Avrebbe voluto essere capace di esprimere tutto ciò in frasi eleganti, con un tono di voce pacato e leggermente dolente, il genere di tono che dice addio a tutta la bellezza del mondo. Aprì la bocca per cominciare; ma di fronte all’espressione bellicosa di lei scoprì di non averne le forze.
Le voltò le spalle, borbottando soltanto un solerte vaffanculo.
Gli costò un richiamo ufficiale, quella scelta. Ma se avesse insistito, probabilmente alla fine lei avrebbe avuto ragione, perché le avrebbe sbattuto la faccia nel muro.
“Ti han fatto il richiamo, Collalto?”
“Seee… ma va bene, eh! Meglio della galera, in effetti…”
I colleghi sorridevano e annuivano, sommessamente complici. Non sapeva se esserne felice o no. Stavano regredendo tutti quanti ai tempi della scuola elementare.
Maschi contro femmine.
Maria aveva confermato che il padre di Fausto non era mai stato violento, non nel senso che di solito si dà a questa parola.
Non le aveva mai toccate. In effetti, sembrava quasi che lo disgustassero.
Portava loro da mangiare, e altre cose utili.
Parlava, sì. Tanto. Ma non con loro; era come se parlasse tra sé. Ripeteva che aveva bisogno di questo, che le cose sarebbero andate in modo diverso, stavolta… Che glielo avevano promesso…
Quando le mostrarono una fotografia, con un filo di voce confermò che si trattava proprio di lui.
Luciano ne fu sconvolto più di quanto avrebbe creduto.
Per un paio d’ore, si aggirò sforzandosi di trovare uno spazio di manovra in mezzo a quei fatti angosciosi.
Sillabava a mezza voce le teorie più strampalate. Smise solo quando le sue labbra pronunciarono le parole ‘rapimento alieno’.
A quel punto, tornò bruscamente in sé, proprio come se qualcuno lo avesse schiaffeggiato.
La psicologa lo stava fissando.
“Si sente bene, agente?” chiese.
“Sì, credo… cioè, no…”
Il suo smarrimento doveva essere palese, perché lei lo prese sottobraccio, guidandolo verso l’uscita.
“Venga, che ci prendiamo un vero caffè, così mi racconta tutto.”
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