Il racconto mai esistito 

La penna che mi scivola tra le mani e lascia sulla pagina bianca continue macchie di colore nero, a mano a mano diventando lettere chiare e ben distinte e alla fine prendono la forma di parole, danno voce ai miei pensieri, forse gli ultimi che potrò mai raccontare.

L’aria che mi accarezza il viso è delicata e fresca, trasporta il profumo di alberi in fioritura, mentre seduta in questo anonimo caffè, di un paese qualunque, mi godo gli ultimi istanti di vita.

Una bambina di neppure dieci anni, con le treccine e un vestito colorato, si avvicina e mi parla con voce sorprendentemente limpida e chiara:

«Che buffo cappello». Con la piccola manina indica la mia testa e d’istinto mi tocco la bandana che andava a coprire la calvizie che la malattia mi aveva procurato.

Le sorrido spontaneamente, abituata a simili commenti e, per distogliere l’attenzione da un argomento non adatto alla sua tenera età, le mostro il quaderno su cui sto scrivendo.

Gli occhi della bambina, dello stesso colore del cioccolato, sembrano svegli e hanno un’intensità tale da ricordarmi me stessa, mentre mi pone un’altra domanda:

«Perché tieni quel quaderno rotto?».

Mi perdo nella sua ingenuità e le rispondo che quell’ammasso di carta, che guarda con curiosità, è il mio tesoro più grande: un insieme di esperienze che avevo trascritto per non dimenticare.

Poi le dico che se avesse imparato a farlo anche lei, non avrebbe più avuto paura di affrontare la sua mente.

La bambina fa spallucce e se ne va così come é arrivata, la guardo correre dalla madre che l’aveva chiamata a gran voce e, lasciatasi alle spalle una scia profumata di fragola, mi fa sorridere ancora mentre riprendo a scrivere la storia.

Ripercorrere le strade della mia vita non era esattamente quello che avevo in mente quando sono entrata in questo locale, ma non ho più il controllo della biro e l’inchiostro sta diventando confuso, una marea di parole che spero abbiano un senso per voi, quanto ce l’hanno per me.

La mia storia non è niente di speciale, soprattutto non in confronto alla vita travagliata di Van Gogh, o all’illustre romantico William Shakespeare e nemmeno paragonata al viaggio ai confini dell’immaginabile di Marco Polo, ma appartiene alla parte più nascosta di me stessa, quella che mi permette ancora di credere e di sognare, rappresenta la bambina che non è mai cresciuta completamente e pertanto rimane unica e insostituibile.

L’intento è lasciare un’impronta indelebile nel vostro cuore, così che alla mia morte qualcuno possa ricordarsi della mia presenza.

La favola è iniziata quando alla scuola primaria ho imparato l’alfabeto e quindi a distinguere le consonanti, le vocali, ho studiato la grammatica e la punteggiatura e ho capito che potevo fare qualcosa di unico e straordinario, potevo fare un miracolo: esprimere ciò che sentivo nella testa e nel cuore, il primo e unico irrevocabile dono che mi è stato concesso. Da allora non ho mai smesso di crederci.

Già da piccola sapevo che senza una delle due cose, sarei stata persa e vuota come un fantasma in un mondo di vivi.

Grazie alla mia passione sono riuscita nell’impresa più ardua per la maggior parte delle persone: vivere.

Io l’ho fatto stando sempre sul confine tra realtà e fantasia. Ho vissuto giorno per giorno come se non ci fosse un domani, senza precludermi niente, assaporando tutti i piaceri possibili e senza rimpianti, cercando di fare tesoro di tutte le esperienze provate. Queste mi sono servite per scrivere dei romanzi e, una volta appreso tutto ciò che credevo importante, le rinchiudevo nei miei diari segreti per poi andare avanti per la mia strada e, mentre nella testa il ricordo sbiadiva piano piano, ricominciavo da capo, cercando emozioni e avventure che avrebbero potuto allargare il mio bagaglio personale.

Sapevo che non sarebbe stato facile inseguire un sogno così irraggiungibile eppure, nonostante tutte le difficoltà, la parte di me abituata a combattere mi incitava sempre di più a non arrendermi, anche se molte decisioni che ho dovuto prendere mi sono costate più di quanto io voglia ammettere.

Mi ritrovo ad alzare lo sguardo deconcentrata dall’andirivieni di gente che si trova in questo caffè.

All’improvviso una vecchia consapevolezza mi spezza a metà e mi lascia con l’amaro in bocca. Guardo gli occhi di tutte queste anime che mi circondano e sono spenti, vuoti, esprimono solo sconforto per sogni mai realizzati. Mi piacerebbe poter dire loro che la vita non va mai come la si programma, ma smettere di sognare equivale a smettere di vivere e una vita vissuta a metà non è nemmeno degna di essere chiamata tale e che forse non tutto è perduto, basta non smettere mai di crederci.

La società ci insegna da sempre a lavorare per mantenerci e per crearci un futuro basato su solidi concetti, avere una famiglia e prendersene cura con giusti obbiettivi, pensare alla vecchiaia e risparmiare e, sebbene sia un progetto sensato, alla fine mi ha fatto il lavaggio del cervello.

Sognavo di girare per il mondo, di visitare altri Paesi, di comprenderne le usanze, di imparare le lingue e di usare tutta questa conoscenza per arricchire i libri che ancora dovevo scrivere.

Sognavo amori romantici come spiega Prévert, sognavo una vita senza catene, senza responsabilità e come prima è esattamente quello che ho scelto di fare, incurante di chi disapprovava.

Ho iniziato scrivendo piccoli racconti cercando prima di tutto un metodo di scrittura che mi appartenesse, il più delle volte niente di quello che esprimevo aveva un senso, ma tutto è cambiato quando ho compreso ciò che volevo comunicare al prossimo ed è quello che vi dirò: “Non smettete mai di inseguire i vostri sogni, più la strada è tortuosa e più probabilmente è quella giusta” e aggiungo anche una frase che mi ha accompagnato nel corso degli anni:

“La vita sarà anche un lungo cammino pieno di spine, ma se sai dove mettere i piedi, il percorso sarà molto più semplice”.

Sicuramente starete pensando che è facile parlare quando si ha già raggiunto l’obiettivo.

Avete perfettamente ragione, alla fine sono solo una vecchia signora a cui è rimasto un solo racconto da portare a termine, ma per quanto possa sembrarvi inappropriato, seguite il mio consiglio, perché la vita che ho vissuto mi fa sorridere ogni volta che ci penso.

I miei viaggi mi hanno portata in Oriente e negli Stati Uniti; ho visto e fatto cose con cui pochi possono competere.

Ho imparato ad accettare l’ignoto e a non averne paura; ho fatto in modo di saper conoscere il mio limite massimo e di scavalcarlo; ho potuto conoscere persone fantastiche che mi hanno trasmesso segreti antichi.

Ho guardato il mondo con gli occhi della mente ed essa mi ha permesso di camminare per strade deserte immaginando un’epoca passata, in cui le donne non osavano mettere in mostra il proprio corpo e gli uomini credevano di avere il diritto assoluto di parola. Poi, mentre credevo di scorgere una coppia appartata in evidenti effusioni, che non avrebbe dovuto fare in pubblico, ho aperto gli occhi e mi sono resa conto di essermi fermata nel bel mezzo di un marciapiede, in una cittadina di cui ora non ricordo più il nome.

La gente che mi passava accanto mi lanciava occhiate infastidite e non si curavano nemmeno di avermi spintonata avanti e indietro come una bambola di pezza perché erano troppo sommersi dai loro problemi.

Nessuno guardava i colori delle vetrine davanti ai propri occhi perché erano troppo occupati a consultare il cellulare e tutte quelle diavolerie elettroniche.

È triste come il progresso alla fine si sia rivelato il peggior nemico della mente umana, ma questo è un altro argomento che forse vi racconterò più avanti, se mai ne avrò ancora il tempo.

Questa mente che molti hanno cercato di bloccare, di plasmare, alla fine mi ha resa libera dalla società e dal sistema, mi ha resa diversa e davvero non mi importa quello che ho dato a pensare o a vedere, perché io sono responsabile di ciò che dico, non di quello che gli altri capiscono.

Il destino mi ha fatto incontrare quella bambina con il vestito colorato, a cui forse devo la maggior parte di questa stesura nostalgica e che mi ha colorato la giornata come ai vecchi tempi.

Mi ha ricordato che anch’io avevo il suo stesso sguardo e la sua stessa voglia di comprendere ciò che non conoscevo, eppure di cose ne ho capite molte e altrettante rimarranno sempre un mistero che preferisco non scoprire, ma alla fine niente importa se non si ha qualcosa in cui credere.

Per ultimo, ma non meno importante, vi rivelo il mio unico rimpianto che mi strazia l’anima come una mano nemica, ed è la solitudine che ho scelto di vivere, calpestando i sentimenti del mio unico amore, per arrivare dove sono adesso.

Vecchia, malata e sola al mondo.

A te che leggerai, caro sconosciuto, sorrido.

Chiudo il quaderno di colpo e lascio vagare lo sguardo per la bellezza del mondo, senza vedere niente e vedendo tutto.

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Discussioni

  1. E’ il terzo racconto che leggo, Sharon (hai il nome di mia figlia maggiore) su EO, e devo complimentarmi. Una scrittura veloce, introspettiva che guarda oltre la semplice narrativa, quella che stravende senza eccellere. Bellissima l’analisi, quella di ogni scrittore, e non “aspiranti” come vorrebbero racchiuderci. Se elaboriamo uno scritto, non aspiriamo ma scriviamo. Detto questo, hai raffigurato come un dipinto lo spirito che muove l’ispirazione, le motilità profonde dell’anima che possono soffermarsi anche alla curiosità di una piccina. Siamo tutti noi in questo racconto mai esistito, perché è attraverso gli occhi aperti ai sogni che le nostre profondità prendono vita sulla crta prima, e attraverso gli stessi sogni dei lettori.

    1. Ciao Peter. Complimenti per la scelta del nome, che ha una lunga storia di origine, come ben saprai.
      In poche righe hai racchiuso ciò che volevo comunicare con questo semplice racconto.
      Non credevo di esserci riuscita, ma ho scritto quello che vige nel mio cuore.
      Questa passione si è raccontata da sola, non ho avuto modo di prenderne il sopravvento.
      L’anima umana è una materia incorporea, che se analizzata, da la possibilità di scoprire oltre il materiale.
      La bambina è stata un tramite, uno sorta di specchio con cui prendere coscienza di se stessi.
      Grazie davvero per il complimento.
      Un racconto che non esiste nella materia, ma nell’anima di ogni sognatore.

    1. Grazie Daniele. Una frase che davvero mi caratterizza, e che ormai é diventata parte della mia intera persona. Un giorno l’ho scritta su un pezzo di carta, e da allora mi segue come un’ombra. ?

  2. Carissima Sharon, le tue parole mi hanno fatto sentire nella pelle e nell’anima le emozioni della narratrici ed in cio’che essa vede, volti, colori, pensieri assaporare la bellezza di un’anima che sa credere ai sogni. Ed ancora il valore della Scrittura che salva la vita,la trasforma, la custodisce,la rielabora. Per questo penso che nel finale non sia sola!!perché chi scrive è sempre in compagnia della bellezza inesprimibile della vita che sa cogliere ad ogni istante e profumare di eternità. un abbraccio – Monica.

    1. Ciao Monica. Questa é la prima volta che faccio leggere qualcosa di mio e le tue parole mi hanno rincuorata e resa felice. Significa che sono riuscita a comunicare delle emozioni tramite questo piccolo racconto e non posso che esserne veramente felice. Grazie ancora ❤