Il respiro del tempo (Per gli 80 anni di Keith Jarret)

Il treno scivola sulle rotaie con un ritmo antico, quasi dimenticato, come se anche lui stesse ascoltando la musica. Fuori, il mondo si sgrana in immagini incerte: colline verdi, filari di alberi, case che appaiono e scompaiono come ricordi.

L’uomo è seduto accanto al finestrino, solo. Ha infilato gli auricolari pochi minuti dopo la partenza e da allora il mondo ha cambiato forma. The Köln Concert si è insinuato tra i suoi pensieri con la delicatezza di una brezza e la potenza di una marea.

Le prime note gli arrivano come un richiamo remoto, un saluto gentile. Non c’è ancora emozione, solo l’intenzione di qualcosa che sta per accadere. Un preludio fragile, spezzato, come se il pianoforte stesse cercando la sua voce. L’uomo chiude gli occhi.

Vede se stesso da giovane, in un’altra stazione, in un altro tempo. Valigia leggera, cuore impaziente. C’era una donna che lo guardava salire sul treno, con un sorriso e una tristezza che allora non aveva saputo leggere. L’aveva amata, forse. O forse solo immaginato. Ora, con il suono che si intreccia alle vibrazioni del vagone, le sue labbra sembrano più reali del sedile su cui poggia.

La melodia si fa più fluida, più piena. Il pianoforte danza, cade e risale. E dentro di lui qualcosa si scioglie. Ricorda suo padre, le dita grandi sulle corde della chitarra, il silenzio in cucina quando le parole non bastavano più. Ricorda la paura, la tenerezza, i silenzi che solo ora comprende. L’amore è una lingua che si impara tardi.

Il treno entra in una galleria. Buio fuori, riflessi dentro. Il suo volto compare nel vetro, invecchiato ma ancora curioso. La musica non si ferma: cresce, ondeggia, lo sorprende. È un’improvvisazione, sì, ma ogni nota sembra inevitabile, come se tutto fosse già scritto da qualche parte, e solo ora gli venisse rivelato.

Apre gli occhi. Una donna attraversa il corridoio con un bambino per mano. Si voltano verso di lui, lo guardano per un istante come si guarda un passante sotto la pioggia. Eppure, in quello sguardo, c’è tutta l’umanità. Gli viene da sorridere. La musica lo ha svuotato e riempito allo stesso tempo.

Poi arriva quel momento. Un accordo che si ripete, si allunga, si torce. Il pianoforte sembra respirare. È lì che il cuore gli trema davvero: perché quella ripetizione non è noia, è necessità. È il bisogno di restare un po’ più a lungo dentro la bellezza, prima che scivoli via. Come quando si abbraccia qualcuno e non si vuole lasciarlo andare.

Il treno rallenta. Una stazione, gente che sale, altri che scendono. La musica prosegue come se nulla fosse. Lui resta fermo, dentro la sua bolla sonora. I nuovi passeggeri parlano, si sistemano, si agitano. Ma per lui il tempo ha smesso di correre.

Ora il pianoforte si fa più leggero, come neve che cade su un campo vuoto. L’uomo guarda fuori: la campagna si apre come un respiro. Una casa sola, un albero spoglio, il cielo pallido. E dentro di lui qualcosa si placa.

La musica lo ha accompagnato fin qui. Non è finita, ma già ne sente la nostalgia. Come di un viaggio che sai terminerà presto, e proprio per questo ami di più ogni curva del paesaggio.

Il treno prosegue, e lui con lui. Non sa bene dove stia andando, né cosa lo aspetti alla prossima stazione. Ma non ha importanza. Perché in quel momento, con la musica ancora viva nei timpani e il cuore pieno di una strana pace, ha capito che ogni viaggio è anche un ritorno.

E che certi suoni, certe emozioni, non passano mai davvero. Restano. Come una carezza lieve sulle cose che abbiamo perduto.

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Discussioni

  1. Il treno, per me, è sempre stato la metafora della vita. Un convoglio con i suoi passeggeri è un campione di umanità, con le sue storie che si possono intrecciare tra di loro, e la musica è sempre la colonna sonora della vita. È un brano molto bello e poetico. Bravo, Salvatore.

  2. Il treno come parodia della vita che scorre inesorabile, per il quale il nostro tempo è solo lo spazio tra due fermate intermedie e dal quale scenderemo, come tutti, nella più totale indifferenza, mentre la vita, in esso, continua a fluire allo stesso ritmo che aveva quando noi eravamo a bordo.
    Il tutto a dimostrazione del fatto di quanto siamo illusi quando ci riteniamo centro di un mondo che sarà esattamente uguale a se stesso, salvo il rimpianto di qualcuno che ci ha amato, quando saluteremo.

  3. Il treno, la musica, il paesaggio, l’uomo che si lascia trasportare andando avanti sui binari, tra le case e gli alberi della collina, e all’ndietro, nelle sensazioni evocate dai ricordi. Pensieri di un viaggiatore solitario accompagnato dalle note di un pianoforte. Un racconto distensivo. Oggi, più che mai, ne sentivo il bisogno. Grazie Salvatore.