IL ROSPO E IL GENERALE 

Venne un tempo di battaglie e conquiste, scoperte e progresso. Un tempo di eroi e pionieri. Venne un tempo in cui la Storia fu forgiata nella fornace della Terra tra il maglio della guerra e l’incudine dell’esplorazione, in un fuoco alimentato dal mantice della Scienza.

In un luogo di quel tempo, un fiume si svolgeva come un morbido nastro azzurro tra le verdi colline, sormontate da qualche casupola, lambendo i loro bordi con docili curve. Sulle rive di questo fiume, alcune canne frusciavano accarezzate dal vento.

Fu tra queste canne che aprì gli occhi il Generale.

Si rese immediatamente conto di essere gravemente ferito; non per il lancinante dolore al fianco, quanto per l’innaturale color purpureo che l’acqua del fiume, così limpida e cristallina più a monte, assumeva nei pressi del suo corpo riverso.

Tentò di mettersi ritto: un uomo del suo rango non poteva stare col volto nel pantano. Purtroppo per lui, il miglior risultato che il dimenarsi produsse fu di farlo voltare sul fianco sinistro. Meglio di niente. Ma proprio di fronte a lui, appollaiato su una roccia muscosa, stava un rospo che lo fissava. Il Generale lo squadrò velocemente.

Una creatura grassa, dalle zampe corte, la pelle viscida e piena di bitorzoli. La bocca troppo larga, incurvata in un imperituro sorrisone ebete e ossessivo, era sormontata da due occhi enormi, leggermente strabici, vacui.

– Perché mi fissi? – chiese il Generale

– Stai morendo – rispose il Rospo, perseverando nel sorriso ossessivo.

– Lo so bene che sto morendo, creatura. Non è una buona scusa per fissarmi. È maleducazione fissare la gente, e sinceramente mi metti anche un po’ a disagio. Ti chiedo di non farlo. –

– Ahahaha! Mica ti do fastidio! E poi, non ho mai visto un uomo morire. Dai, fatti guardare! –

– Vai a fare in culo. – sbottò il Generale, infastidito. Cercò di allungare una mano per scacciarlo, ma tutte le sue energie erano concentrate per mantenere il cuore pulsante, i polmoni in continua espansione e contrazione. Il grande generale non aveva nemmeno più la forza necessaria a scacciare un piccolo rospo.

– Aaaaah allora vedi! Anche tu sei maleducato! Non si dicono le parolacce. –

– Ai moribondi è concesso essere maleducati. Ai moribondi e ai pazzi. Non hanno nulla da perdere, quindi non gli si può recriminare nulla. –

– Capito… –

Il Rospo si girò. Attorno, la quiete. Le canne frusciavano, l’acqua scorreva, il sole compiva il suo arco nell’azzurro intenso del cielo.

– E dai, fatti guardare – ricominciò dopo breve tempo il Rospo, petulante.

– E guarda, su. Non hai proprio di meglio da fare? –

– Non c’è molto qui al fiume! Ogni giorno mi sveglio, quando il gallo del contadino qui a fianco si mette a cantare. Dicono che quando il gallo si mette a cantare devi svegliarti. Poi vado più a valle, vedi, laggiù! A valle c’è una pozza, dove la corrente rallenta, e lì tutto il giorno pesco larve e catturo moscerini. Tutto il giorno. Poi torno da mia moglie, le porto un po’ di moscerini. Mangiamo insieme e andiamo a dormire. Ci piacciono i moscerini. –

– Quindi oggi per quale motivo non sei alla tua pozza di merda, invece di rompere i coglioni a me? –. La presenza del Rospo infastidiva veramente tanto il Generale

– Come sei scurrile! Adesso non ti parlo più! –

– Oh Signore, ti ringrazio. –

– Oggi è domenica. Dicono che di domenica non si fatica, ci si dedica alle cose che piacciono! –

– A te, cosa piace? –

– I moscerini. E guardare le canne che dondolano. Di domenica guardo le canne che dondolano. Ma oggi guarderò un uomo morire. Sono elettrizzato. –

– La tua esistenza è talmente vuota che vedere un uomo morire ti rende gioioso? –

Il Generale alzò leggermente la testa, lanciando al suo interlocutore uno sguardo severo.

– Io ne ho visti a migliaia, di uomini morti. Miei uomini o uomini nemici. Non fa differenza. La morte non può smuovere chissà quale sentimento, è nulla. È semplicemente la fine della vita, come la nascita ne è l’inizio. Quello che intercorre tra questi due avvenimenti è quello che a me intriga. È l’unica cosa che conta. –

– Sei pazzo! La morte è terribile. Bisogna stare lontani dai guai, altrimenti si fa la tua fine. Io ho una gran paura di morire. –

– Mi fai pena. –

– Pena! – esclamò il Rospo – Tu provi pena per me! Forse sei stupido? Non ti rendi conto che, al massimo, è il contrario? Tu stai morendo, ti dissangui nel fango, perché ti piace fare la guerra. Fra non molto non sarai altro che un cadavere in putrefazione sulla riva di un fiume. Ti decomporrai, e nelle piaghe delle tue membra verranno a deporre le uova i moscerini. Io, tuttavia, continuerò a vivere per molti anni; la vita nel fiume non comporta alcun rischio. Banchetterò coi moscerini che ronzeranno attorno ai tuoi resti. –

Il Generale trasse un lungo respiro, alzando gli occhi al cielo.

– Forse tu continuerai a vivere ancora qualche anno, Rospo, ma prima o poi la Morte giungerà anche per te. Quando succederà, tua moglie probabilmente ti piangerà, finché il dolore non muterà in un dolce ricordo. I tuoi girini cresceranno, diverranno rospi a loro volta e perpetreranno la tua memoria, forse i tuoi nipoti sapranno il tuo nome… Ma dopo di loro, questo svanirà. Nel giro di una o due generazioni, nessuno su questa terra saprà mai che sei esistito. Per quanto riguarda me, invece… il mio nome sarà nei libri di storia. Il mio genio, le mie gesta, verranno studiate e tramandate per sempre, perché ho compiuto qualcosa di straordinario, irripetibile. I figli dei tuoi nipoti non avranno idea di chi sia stato tu, Rospo, né sapranno della tua miserabile esistenza all’insegna della monotonia. Ma conosceranno perfettamente me e la mia vita. Per questo ho pena di te. –

Il Rospo ridacchiò gracidando. Aveva perso il filo del discorso del Generale da un pezzo. Tutto ciò che riusciva a pensare era quanti moscerini il cadavere di un uomo così possente avrebbe attirato. Forse mille. Forse di più.

Il sole calava sempre più velocemente dietro la collina erbosa. Il cielo blu si infiammò di arancione al contatto dell’astro luminoso con la linea dell’orizzonte. Pochi minuti di fuoco, struggenti. Poi la notte. Milioni di stelle improvvisamente apparvero beffarde nell’oscurità, a scrutare dall’alto la morte di un uomo.

Il Generale sospirava, osservandole pensieroso. Non voleva andarsene. Non per la fine in sé, non era quella a turbarlo. Rimuginava sui suoi errori. Riviveva nella sua mente l’ultima battaglia, la esaminava, crucciandosi per ogni sua disattenzione. Avrebbe potuto fare meglio. Avrebbe dovuto fare meglio. Questo si diceva. Avesse avuto un’altra occasione, ancora un po’ di tempo a disposizione, per riprendere il comando delle sue truppe, avrebbe ridato battaglia al nemico. E avrebbe vinto. Non era stata questa la sua prima battaglia persa, capitò altre volte in passato; forte dell’esperienza però, ritornò e sbaragliò il nemico. Ma stavolta… stavolta era la prima senza possibilità di rivincita.

– Rospo. –

– Sì, Generale? –

– Spero che vedermi morire ti allieti la giornata. E spero che arrivino un sacco di moscerini.

Catturane più che puoi. Voglio che tu sia il miglior cacciatore di moscerini di questo fiume. –

Il Generale chiuse gli occhi. La Vita sfuggì dal suo corpo, accompagnata da un semplice soffio di respiro.

Così banale. Così insignificante. Così terrificante.

Le colline, immobili. Le canne, imperturbabili, proseguirono a dondolare.

Il Rospo era atterrito. In preda al panico, saltellò via.

Rimase il corpo del Generale, il fiume che scorreva, le stelle che pulsavano vivide nel firmamento oscuro.

Terrificanti.

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