Il Selvaggio e Laura

Di notte vagava più che mai per le strade, le piacevano in modo particolare i vicoli fatiscenti…

Sorseggiava dalla bottiglia. Mini ciccioli tuonavano. Risate di pischelli. L’abbaio dei cani si sovrapponeva al 3…2…1…

Finalmente sta facendo effetto, pensò. Voltò il libro, Lettere d’amore.

Mise la mano in tasca, attese qualche secondo, il telefono vibrava. Sospirò.

Lesse l’anteprima: Qui mi hanno chiesto tutti di te Dove sei?

Non frega nulla a nessuno di voi sapere dove sono in realtà, pensò. L’unica cosa che vi importa è apparire perfetti, senza sporcarvi, fare bella figura. Fece un altro sorso. Ma io voglio Essere, essere libera.

Sono sciatta, pazza, aggressiva, esageratamente emotiva, mi volete bene, ma solo se divento come volete voi. Famiglia di ipocriti, pensò.

Si sedette sui gradini all’entrata di un motel. Poi lo vide, un randagio con la lingua di fuori attirò la sua attenzione.

Corse verso lei. Contemplava il libro che teneva tra le mani.

Laura gli portò da bere, poi entrarono in un bar.

«Mia madre è morta quando ero in fasce, non me la ricordo nemmeno… E mio padre s’è risposato con una che l’ha reso un automa incravattato, che dice che sono una spiantata,» gli disse.

Smettila di guardarmi così, pensò.

Tutti ci sorridono. Sicuramente staranno pensando che stiamo bene insieme. È vero, stiamo proprio bene insieme. Tu mi ami, pensò contemplandolo. Seduta accanto al Selvaggio, Laura sentì una connessione che andava oltre le parole. 

«Tu mi capisci, vero?» chiese, cercando i suoi occhi.

«Anche se non parli, sento che ascolti, che vedi la parte di me che gli altri ignorano.» Gli pizzicò la guancia.

Cauto, ma deciso, le annusò il collo. Avrebbe voluto dirle tante cose, se solo avesse saputo parlare.

Lei rise, si ritrasse. Ebbe un brivido.

«Non so dove vivi, ma di certo non ti lascerò in strada a congelare. Vieni a casa mia. Festeggiamo insieme…»

Papà, ora ci divertiamo… «Vieni, andiamo a casa,» disse al Selvaggio.

«Sparisci nel bel mezzo della fine dell’anno facendomi fare la figura dell’idiota, e poi torni con questo animale… questo selvaggio bastardo, chiedendomi di ospitarlo a casa?… Laura, tu sei pazza, figlia mia. Se nessuno vuole questo cane è perché è malato,» disse il padre. Prese il libro e glielo strappo dalle mani.

Laura sussultò.

Il Selvaggio ringhiò verso l’uomo.

Laura gli accarezzò il viso per chetarlo.

«Sei patetica, non sai nemmeno da dove viene. È un randagio. Deve indossare un papillon se vuole restare a casa mia, o una cravatta.» L’uomo si sistemò il nodo. Il Selvaggio lo guardò ammaliato.

Quanto sei dolce, amore mio, pensò Laura contemplando il suo sguardo.

«Sei senza cuore. Lui non ha una casa né un posto dove stare. Ma io lo amo, io lo amo così com’è,» gridò Laura. Scappò in camera da letto, trascinò il Selvaggio con sé e chiuse la porta a chiave.

«I libri ti fanno un effetto strano, diventi scema,» urlò il padre. Diede un pugno alla porta procurando una crepa.

L’uomo continuò a bussare per qualche minuto.

Laura e Il Selvaggio si sdraiarono sul letto. Il frastuono divenne un rumore di sottofondo.

«Domani ce ne andiamo via da questo schifo.»

Lui strofinò il naso contro quello di lei, le diede un bacio. Si addormentarono.

Il mattino seguente Laura si destò, ancora con gli occhi chiusi, cercò il Selvaggio, ma il letto era vuoto, come la voragine che sentiva dentro. Passò la mano sul materasso. È ancora caldo, pensò. Si levò impetuosa.

«Lo hai fatto fuggire,» gridò verso il padre.

L’uomo non proferì parola, alzò il giornale e indicò il titolo con aria trionfante. La foto nell’articolo ritraeva Il Selvaggio.

Laura si morse le labbra. Il mio amore non ruba, si disse. Lo ha fatto solo perché era disperato, perché aveva fame.

«È tardi, devo andare al lavoro,» irruppe il padre.

Laura vagò avanti e indietro per la casa. Entrò in tutte le stanze. Dove sei, si ripeteva.

Verrò a cercarti e mi spiegherai tutto, sono sicura ci sia stato un equivoco. Laura mise il soprabito.

Un’anta sbattuta la estrasse dal rimuginio.

«Dove sono le cravatte? Dove sono i papillon?»

Laura si precipitò dal padre e prese la cravatta che trovò subito sul comodino, con un gesto di stizza gliela porse.

L’uomo l’agguantò con uno strappo secco, la contemplò e la gettò per terra.

«Questa non è mia».

Laura trasalì, e colse la cravatta come fossero cocci di vetro, la avvicinò al naso, alle labbra.

Questa è tua, amore mio. Ma cosa significa? Perché lo hai fatto? Perché mi hai abbandonato? Ora ti abbatteranno. Ti salverò, ti amo.

«Dove li hai messi?»

Laura fuggì.

Appena fuori dalla porta trovò il libro di Henri Charrière. Dentro casa le ante sbattevano, le urla si propagavano.

Le mani tremanti presero il libro. Laura voltò la pagina:

Amore, non ho molto da offrire. La libertà è l’unica cosa che ti posso donare.

Tuo, Selvaggio.

 

Laura strinse il libro al petto. Chiuse gli occhi. Il vento freddo entrava dalle narici, ma godé di un calore mai percepito.

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. This content has been hidden from site admin.

  2. This content has been hidden from site admin.