
Il sindaco
Serie: L'essere
- Episodio 1: Il sindaco
- Episodio 2: La civetta
- Episodio 3: Virlvind
- Episodio 4: L’ogre
- Episodio 5: La strega
- Episodio 6: Fine?
STAGIONE 1
Nessuno, in circa cento anni, aveva avuto il coraggio di salire verso il castello di Verdorin. Non perché fosse difficile la scalata. In realtà c’erano scalini comodissimi da salire anche se si erano formate, dopo tutto quel tempo, un po’ di erbacce. Ciò che impediva a tutti di avventurarsi in quell’ascesa era la paura.
Cento anni prima c’era stato l’ultimo avventuroso combattente a provare la salita, di cui non si avevano avuto più notizie. Prima di lui ce n’erano stati molti altri. Si diceva che nel castello si nascondesse un grande tesoro. Da circa cento anni, però, nessuno ci aveva più provato. Addirittura era nato un detto, quando si voleva dire che qualcosa era impossibile, si diceva che era come la salita di Verdorin.
Il castello era facilmente visibile da tutta la vallata trovandosi su uno picco. Proprio sotto il castello, svariate centinaia di metri più sotto, si trovava la piccola cittadina di Demrunic. Una densa foschia copriva il paese quasi tutto l’anno. Era un luogo lugubre dove nessuno avrebbe voluto abitare, ed infatti si era quasi del tutto spopolata. Qualcuno vi rimaneva per i suoi affari, come i taglialegna che lavoravano nella vicina foresta o il sindaco che era costretto dai suoi doveri e pochi altri poverelli che vivevano alla giornata.
Una larga strada imperiale la tagliava proprio per il mezzo e poco più avanti incrociava la salita di Verdorin. Questa via era piuttosto trafficata, per questo all’incrocio erano stati affissi degli avvisi per gli incauti nonché qualche teschio per chi non sapeva leggere. Per gli alfabetizzati era una sorpresa leggere che era stata posta una cospicua taglia su ogni mostro o creatura che chiunque fosse riuscito a uccidere nella speranza di liberare finalmente quella terra dal male.
Tutti si stupirono una mattina quando videro arrivare, da lontano, sull’acciottolato della via imperiale, un cavaliere in carne e ossa. La sua armatura scintillava ai pochi raggi solari che filtravano attraverso la nebbia onnipresente. Anche il cavallo era di un bianco lucente e sembrava emanare anch’esso un riverbero ma non era un riflesso. Non succedeva una cosa del genere all’incirca dallo stesso tempo in cui nessuno aveva più provato a salire verso il castello. I poveri abitanti pensarono subito a un buon auspicio.
Il cavaliere procedeva in avanti senza fermarsi a parlare con la gente che affollava, ormai, la strada. Sembrava sapere dove andare e pareva che si dirigesse verso l’ufficio del sindaco nel mezzo del paese.
«Come ti chiami cavaliere?», chiese uno dei boscaioli, ma quello non sembrò dargli retta, «Scostumato!».
Si fermò davanti alla porta in legno e ferro battuto, smontò da cavallo, lo legò e qualcuno rise anche se nessuno parlò. Il cavaliere usò il batacchio con fare deciso e aspettò qualche secondo: nessuna risposta. Lo batté di nuovo, ma niente, nessuno rispondeva. A quel punto si girò verso la folla che gli era dietro e li guardò. Avevano tutti un sorriso stampato in faccia. Prima che potesse parlare, quello di prima gli disse:
«Cerchi il sindaco nel suo ufficio a quest’ora?», tutti scoppiarono a ridere, «si vede che non sei delle nostre parti».
«Dove posso trovarlo?», la voce del cavaliere era sicura, grave, graffiante.
«Che domande! A casa sua. Probabilmente sta ancora dormendo».
Il cavaliere fece una faccia schifata. Dormire ancora a quell’ora per lui era inaccettabile. Comunque si fece indicare la strada. Slegò il cavallo che nitrì fortemente.
«Lo so Bernice, questo posto fa venire la nausea anche a me, ma presto andremo via con un bel po’ di denari», accarezzò la cavalla che subito si tranquillizzò strofinando il muso contro il suo petto.
Condusse Bernice, tenendola per la cavezza, fin davanti alla casa del sindaco. A quel punto stava per legarla alla staccionata quando sentì il rumore di uno zoccolo provenire da dietro la casa. Girò intorno e si trovò davanti una stalla; una ragazza stava strigliando un maschio baio.
«Dai una strigliata anche a Bernice, non ci metterò molto», tirò fuori una moneta d’argento e gliela tirò alla ragazza.
Quella si innervosì, gli tirò in testa la moneta che tintinnò contro l’elmo.
«Strigliatela tu, questi sono i miei cavalli. Non sono una serva!»
Il cavaliere sgranò gli occhi di fronte a tanta irriverenza, poi legò Bernice a una trave e girò di nuovo intorno verso l’ingresso. La ragazza lo guardò per un attimo prima di tornare al suo lavoro.
Arrivato di nuovo davanti alla porta, si fermò un attimo. Gli pareva di sentire un rumore famigliare e ripetitivo.
“Non è possibile”, pensò, “quel maledetto sta ancora russando!”
Bussò veementemente alla porta. Poi rimase in ascolto, il russamento sembrava essersi interrotto. Dopo un po’, però, ricominciò. A quel punto il cavaliere perse la pazienza. Continuò a bussare con tutta la forza che aveva.
«Non c’è nessuno in questa casa oltre a quel dormiglione?», urlò nervoso.
La ragazza di prima si presentò alle sue spalle.
«La serva è al mercato. Chi sei? Come osi chiamare mio padre dormiglione?»
«Ah tu sei la figlia di quel disgraziato. Vagli a dire che si deve alzare subito. È arrivato il gran giorno in cui Verdorin sarà riconquistata».
A quel punto anche la ragazza scoppiò a ridere.
«Sembrate davvero un cavaliere, anche da come parlate. Come vi chiamate?»
«Mi chiamo Ivan Chorus, membro del Grande Ordine. Potresti chiamare tuo padre prima che sfondi la porta?»
«Non ce n’è bisogno, la porta è aperta».
Detto questo lo fece entrare. Ivan si accomodò su una sedia.
«Vado subito a chiamare mio padre».
«Aspetta! Non mi hai detto come ti chiami».
«Mi chiamo Ghendalin».
«Interessante nome, elfico. Strano da queste parti e in più portato da un’umana. Non mi dirai…»
«No, non sono una mezzelfa. Anche mio padre era un avventuriero da giovane e ha fatto molti viaggi, ma da quando è morta la mamma non si è più ripreso».
«Mi dispiace», Ivan era sincero. Aveva pensato di spaventare il sindaco con la spada ma ora ci aveva ripensato anche se, per una cosa del genere, dalle sue parti si poteva anche essere messi a morte.
Ghendalin lo guardò con rispetto, poi salì al piano di sopra per chiamare suo padre. Il sindaco dormiva a sette cuscini e non aveva intenzione di svegliarsi. Sua figlia sapeva che ci sarebbero volute almeno altre due ore di sonno perché fosse soddisfatto e si alzasse. Si avvicinò al letto, dalla parte dei piedi non si vedeva neanche il faccione per la grossa pancia.
«Papà, svegliati! C’è un cavaliere che ti cerca», sapeva che anche gridando sarebbe stato difficile svegliarlo. Così si avvicinò e cominciò a scuoterlo. All’inizio non smise neanche di russare, poi Ghendalin cominciò a dargli qualche schiaffo in faccia e lui, per un attimo aprì gli occhi, ma era tutt’altro che sveglio.
«Papà, devi svegliarti!», disse continuando a scuoterlo.
Alla fine emise un grugnito e cominciò a parlare.
«Che c’è Ghendalin, cos’è successo? Perché mi svegli a quest’ora?»
«C’è un cavaliere che ti cerca, è di sotto che ti aspetta, muoviti!»
«U-un cavaliere!», il sindaco era spaventato, si mise subito a sedere, «È del Grande Ordine?»
«Sì, mi pare di sì. Perché?»
«Oh no! Sono fottuto! Quello come minimo mi taglia la testa!», detto questo infilò velocemente i pantaloni e il resto dei vestiti, si sciacquò la faccia nel catino e scese giù.
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- Episodio 4: L’ogre
- Episodio 5: La strega
- Episodio 6: Fine?
Penso che tu sappia che il fantasy è uno dei miei generi preferiti 😀
Ottimi ingredienti, hai già conquistato la mia piena attenzione! Il sottotitolo mi intriga, facendomi presagire che Ghendalin non abbia detto la verità, sulla sua vera natura, al cavaliere. Scommetto che il anche sindaco, ex avventuriero, ha vissuto la sua buona parte d’avventure. Aspetto di mettermi in cammino con i tuoi eroi verso la cima di Verdorin
Ci saranno molte sorprese, te lo assicuro