Il suo bell’uomo

Il suo bell’uomo, non le potevi mica dire nulla. Era il suo: Lenà se lo vedeva sempre attorno anche quando aspettava fino a notte che tornasse a casa da chissà dove.

Le sembrava impossibile, così bello e grande com’era, che potesse trovarsi tutto intero da un’altra parte senza lasciarsi dietro nulla che rimanesse con lei; e si può dire che inciampava nella sua assenza.

Così, a volte, mentre era in casa da sola, trasaliva nel vedere due spalle larghe riempire lo specchio della finestra o avvertendo la pressione del suo corpo spingerla contro il lavandino della cucina quando si chinava per passare lo straccio sulla maiolica. Allora sorrideva pensando a quant’era forte e a come la prendeva.

E non andava mica in palestra, era proprio bello e forte di suo, i muscoli gli erano cresciuti naturalmente senza alcun esercizio: Lenà provava un tale piacere a immaginare quanto le sue amiche glielo invidiavano che nel pensarci si mordeva le labbra. Ma quelle, con i loro mariti secchi secchi e sempre in pantofole dopo il lavoro, nemmeno morte l’avrebbero ammesso che il suo bell’uomo se lo sognavano di notte e di giorno.

Sul balcone, mentre faceva pausa fumando una sigaretta, Lenà fantasticava sui luoghi che adesso se lo contendevano e sugli sguardi che persino le cose, ne era sicura, non potevano fare a meno di rivolgergli. E anche le donne, certo: ma quelle se le meritava tutte, dalla prima all’ultima, ci sarebbe mancata solo la pretesa di averlo solo per sé, il suo bellissimo uomo; proprio lei che bellissima non era e che spesso non si faceva capace del perché e del come le fosse toccata la sorte di stare con lui.

Però dell’inizio non voleva ricordare nulla, per paura di guastarlo. Lenà sapeva che la memoria è una cattiva compagnia, sempre pronta a farti brutti scherzi e a tirarti il bastone fra le gambe; e se le venivano in mente certe cose, le cacciava via come mosche importune che servivano solo a sporcare il miele.

«Ma ti pare» si chiedeva «ma ti pare?» e subito schiacciava la sigaretta nel vaso vuoto dei gerani e si rimetteva al lavoro.

Nel pomeriggio riposava un’ora sul divano con gli occhi aperti; perché anche solo il dormiveglia bastava a riempirla di certi inizi di sogni strani, di certe ombre smozzicate: e allora accendeva il televisore, per distrarsi.

«Che diavolo di cervello che mi ritrovo» pensava «basta un niente e non sai cosa ti tira fuori.» 

E rideva di se stessa dandosi della mezza matta.

Il suo bell’uomo, invece, quello sì era vero, altro che i sogni: le aveva invaso la vita e la casa e c’era sempre, sempre, anche ora che era sola e si sentiva fuori posto.

Immaginava allora che uscisse di colpo dalla stanza da letto mezzo spogliato e che le si gettasse addosso proprio lì, su quel divano: e in cinque minuti era tutto fatto. Poi Lenà si alzava a preparargli il caffè con i muscoli di lui ancora stampati sulla pelle e si perdeva nel sentirsi sua a un punto tale che le sembrava impossibile.

Nessuno era così tanto di un altro, di questo era sicura; anche se non poteva vantarsene con nessuno e doveva tenersi il suo orgoglio tutto per sé. A raccontarlo alle amiche nemmeno ci pensava perché tanto già le sentiva: «e come sarebbe, e che modo di fare, e tu zitta e buona, e che aspetti, e non se mica la sua schiava» e via di seguito così per mezz’ora.

Quelle, con le loro vite che somigliavano a un lavoro d’ufficio, non sarebbero mai arrivate a capire cosa significava appartenere veramente a qualcuno ed esistere, come lei, solo per il suo bell’uomo. E poi loro non ce l’avevano mica un uomo così e questo spiegava tutto.

Persino con sua madre non ne parlava più ed era stata contenta quando, da un certo momento in poi, aveva smesso di farle domande.

Il suo bell’uomo e nient’altro: Lenà cercava ogni tanto di riprendere un romanzo di quelli che da ragazza aveva lasciato a metà, ma qualsiasi storia le sembrava niente confronto alla sua e dopo un po’ lo abbandonava.

Quei libri stavano ammucchiati su uno scaffale dello sgabuzzino insieme a roba vecchia, passata, che non serviva più, e spesso si riprometteva di disfarsene.

La tratteneva solo l’idea confusa di fare qualcosa che avrebbe avuto, suo malgrado, il senso di una violazione o di un giudizio sul passato: in fondo il suo bell’uomo non prestava loro nessuna attenzione, e allora perché avrebbe dovuto preoccuparsene lei?

Poi fuori faceva scuro; usciva in balcone a fumare ancora una sigaretta e a guardare le luci delle finestre e delle automobili giù in fondo. E pensava di ripiantare i gerani, di dare una mano di colore ai muri sbrecciati del balcone, di sostituire le mattonelle spezzate del pavimento. Rimaneva lì per un tempo non misurato, ignoto agli altri e a se stessa, aspettando di sentirlo rientrare. Così finalmente la sua testa matta, si diceva, avrebbe smesso di girare a vuoto e tutto sarebbe tornato a essere come doveva essere: quei gesti improvvisi che le toglievano il fiato, i muscoli sotto le maniche della camicia e sulla pancia, la sua faccia china sul piatto mentre mangiava senza guardarla.

Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Francesca. Questo brano mi appare come la perfetta caratterizzazione di un personaggio. Non cambia mai il punto di vista, non cambia la scena, non c’è azione (se non nei pensieri), eppure, non ci si stanca e si è invogliati, parola dopo parola, alla lettura, senza pausa e fino alla fine; per scoprire semplicemente che lei è sola come lo era al principio.
    C’è molta tristezza che non definirei malinconia, quanto piuttosto lontananza. Non ho percepito il suo bell’uomo come frutto di fantasia, ma l’ho sentito concreto, reale, fisico. E ho sentito lei come in perenne attesa del suo ritorno. E questo mi ha messo tristezza, perché mi ci sono sentita e mi sono fatta mille domande sulla condizione femminile, da che c’è il mondo.
    Credo che l’universalità di un racconto stia proprio nel fatto che in esso ci si possa rispecchiare e forse, ritrovare.

    1. Grazie ancora, Cristiana, per tutto e anche per questo bellissimo commento. La povera Lenà non avrà vie d’uscita, forse sono stata troppo cattiva con lei. Ma chissà. E forse sono stata cattiva anche col marito: esistono davvero uomini così? Onestamente non lo so. Un abbraccio.

  2. Propendo per l’ipotesi di Paolo e cioè che “il suo bell’uomo” sia solo immaginario o l’ombra di un lontano passato, forse vissuto, forse sognato. Lo fanno pensare alcuni accenni: “Che diavolo di cervello che mi ritrovo” e “E rideva di se stessa dandosi della mezza matta” senza dimenticare il rifiuto di ripensare a come era iniziato e poi quei libri, quelle cose vecchie che sono ancora lì anche se pensa di disfarsene. Un bel racconto, ermetico e di non facile interpretazione. Scrittura bilanciata e coinvolgente. Complimenti.

  3. I mie complimenti Francesca. Credo sia un pezzo bellissimo, caratterizzato da una scrittura sempre fresca che ti cattura e conduce fino in fondo. Quello rappresentato, più che una storia, è un quadro psicologico dove, personalmente, ho immaginato che quest’uomo non esiste davvero (magari non più), ma è vivo nella mente della protagonista. Un po’ come certi amici immaginari che prendono vita nella testa di certi bambini e di cui questi ultimi sono in grado di sentire la voce, una voce vera che ne rafforza e rende vivida una presenza che è salvifica. Grazie molte per la bella lettura

  4. Secondo me, l’aspetto più interessante di questa storia è la rappresentazione della relazione tra Lenà e il suo “bell’uomo”.
    La dinamica tra i due sembra essere caratterizzata da una forte attrazione fisica e da una profonda dipendenza emotiva.
    Mi piace lo stile della tua narrazione: non giudica né condanna questo tipo di relazione, ma la presenta come una realtà complessa e multifacettata.
    Ti si legge sempre con piacere…

  5. Hai reso bene l’idea di come una donna puó arrivare ad annullarsi per la dipendenza patologica da un uomo che la usa soltanto, senza neppure vederla. Lenà sembra quasi una caricatura, ma non troppo diversa da tante donne simili, in carne e ossa, che si portano dietro il bisogno di avere accanto una figura maschile, nonostante la sua assenza, anche quando é presente con un corpo voluminoso.
    Aver accentuato e ripetuto piú volte il concetto, potrebbe disturbare o rendere piú efficace il messaggio.

      1. In realtà quella che hai raccontato è una storia comune, specialmente nel nostro sud Italia. Ti parlo ovviamente dello scorso millennio, ma qua e là qualche caso si sente anche adesso. Comunque brava. Soprattutto come hai trattato il personaggio.

  6. Ho trovato questo testo molto efficace nel costruire il ritratto psicologico di Lenà. La voce narrante è così vicina alla protagonista che ci si sente subito immersi nella sua ossessione. L’unico elemento su cui ho riflettuto è la gestione del concetto. Dopo i primi paragrafi, l’idea che Lenà sia totalmente consumata dall’ossessione per il suo bell’uomo viene ribadita più volte. Come lettore, mi aspettavo un cambio di scena o un’evoluzione. Forse è in programma! Complimenti per la scrittura.