
Il suonatore di monte Acuto
Susi, Gi’ e Betta, dopo il vino, avevano gradito anche un “mirtino” e un caffè. Il cameriere, con garbo professionale, aveva suggerito: «Dovreste provare il nostro caffè della casa».
«Della casa? E sarebbe?»
«Avete la piantagione qua, dietro il locale?» aveva chiesto Susi, iniziando con la sua solita ridarella che aveva contagiato subito anche Gi’.
Betta, intanto, si sforzava di restare seria, impassibile, apparentemente sobria. Teneva in mano il bicchiere dell’acqua, nel tentativo, un po’ tardivo, di annacquare i tre calici di Cagnulari tracannati con il pasto. Dopo l’ennesima cavolata detta da Susi, però, le era scappata una risata sonora, a spruzzo, mentre stava deglutendo un altro sorso d’acqua di Zinnigas, la sorgente vicina al castello di Acquafredda, reso famoso dai versi danteschi, sul conte Ugolino, scritti, in parte, sull’etichetta della bottiglia. “Poscia più che ‘l dolor, poté il digiuno.”*
«Dunque, vi dicevo…» aveva proseguito il cameriere, dopo qualche istante di imbarazzo e un po’ di esitazione.
Forse le tre donne avevano già superato il limite del tasso alcolico consentito, non solo per la guida, ma anche per poter uscire dal locale sulle loro gambe, senza vacillare e senza dare spettacolo. Il suo dovere, però, era quello di contribuire agli incassi del locale. Erano tempi duri e la trattoria rischiava di dover chiudere i battenti, per sempre. La riduzione del personale era già cominciata. Lui, come nipote del proprietario, forse si sarebbe salvato ma, ancora un po’, e si sarebbe ritrovato da solo, per servire ai tavoli, mettere i piatti in lavastoviglie, fare le pulizie della sala, della cucina e dei bagni. Aveva ripreso, quindi, con il suggerimento del dessert, cercando di essere convincente. «La specialità della casa è una crema di caffè, densa, corretta con abbardente * e sormontata da una nuvola di casu ajedu, addolcito con miele di mir….»
L’opera di convincimento era stata tutt’altro che ardua.
«Uhm!» aveva esclamato Susi, senza dargli il tempo di concludere la frase, con l’indice puntato sulla guancia, come una bambina che vorrebbe dire buono, mi piace.
E Gi’, senza nessuna esitazione: «Per ora ce ne porti tre.»
«Chi ti ha detto che lo prendo anch’io?» aveva chiesto Betta.
«La bava che ti sta colando da un angolo della bocca» aveva risposto Gi’, continuando a ridere.
Dopo i primi tre assaggi, nei bicchierini di vetro, Susi aveva richiamato il cameriere. «Scusi, ma questo locale è una farmacia?»
«No, perché?»
«E che sono queste dosi omeopatiche?»
«Per favore, ce ne porti altri tre. Grazie» aveva continuato Betta, cercando di darsi un tono quasi aristocratico, anche se, ormai, al suo contegno dignitoso aveva detto ciao.
Dopo aver pagato il conto, le tre donne, a piccoli passi, incerti, avevano raggiunto l’uscita.
«E mo’ chi guida?»
«Io ho sonno.»
«Io pure.»
«A me gira un po’ la testa.»
«Solo un po’, Betta? Io sto per vo…»
Susi aveva rimesso tutto, un attimo prima di salire sulla Jeep di Mary e imbrattare i copri sedili color panna, ancora nuovi e lindi.
Dopo qualche minuto per ossigenare il cervello Gì, con una lucidità mentale già precaria sin dall’infanzia, e ancora offuscata dal mix di bevande alcoliche, aveva proposto: «Mettiamo il pilota automatico.»
«La Jeep di Mary non ce l’ha il pilota automatico.»
«Procuriamone uno.»
«Un pilota automatico?»
«Ma no, un autista, uno chauffeur.»
«Ragazze, io avrei un’idea migliore. Ci facciamo una pe…»
«Un’aperitivo?»
«Ma no, una pe…»
«Un’Ape Car col pilota automatico?»
« Sii! col turbo e le ali retrattili.»
«Ora chiamiamo la NASA e vediamo se hanno qualche navicella spaziale ancora libera, così facciamo prima.»
Quando Susi e Gi’ avevano smesso di sghignazzare, Betta aveva completato la frase. «Volevo dire che sarebbe meglio farci una pennichella in macchina, prima di metterci in viaggio.»
«Bisognerebbe avvisare Mary.»
«Già fatto. Lei aveva inviato una sfilza di messaggi; io le ho risposto prima della cena, per avvisarla che avremmo fatto tardi.»
« Tardi? Ma no, arriveremo prestissimo. Prima dell’alba.»
***
Mary, intanto, nella sua camera del B&B, stanca e annoiata, aveva acceso la tv e si era distesa sul letto. Un film melenso della serie Romantico italiano. La solita storia di Cenerentola col principe azzurro, in una ennesima versione moderna, diversamente uguale a tante altre sullo stesso genere. Una trama che aumentava il senso di noia, mentre le sue palpebre, calavano in continuazione. Aveva avuto una giornata piena e laboriosa. Dopo l’intervista al grande musicista e direttore artistico del Time in Jazz, aveva scritto e inviato l’articolo al Journal the music. Aveva controllato la posta elettronica e risposto a una decina di e-mail. Qualcuno che conosceva bene quei luoghi, le aveva suggerito di fare un’escursione al sito archeologico, a sei chilometri di distanza dal paese. Le sarebbe piaciuto ma, arrivarci a piedi, per una come lei, poco abituata al trekking, era impensabile; perciò aveva preferito rinviare. Erano passate alcune ore, in attesa che le tre donne tornassero al paese con la sua Jeep. Aveva provato a chiamare, ma tutte le volte si inseriva la segreteria telefonica. Aveva inviato anche numerosi messaggi. Infine era crollata col televisore acceso, e aveva iniziato a sognare. Non la sfiorava neanche il minimo dubbio che quel giretto delle tre donne con la sua macchina fosse a senso unico e, almeno fino al giorno successivo, senza ritorno.
Nel paese era calato il silenzio, interrotto soltanto dal passaggio di un uccello notturno e da un gallo nevrotico, affetto da insonnia.
Porte e finestre erano tutte chiuse, nelle case e nelle chiese, nei negozi e nel Museo de su inu.
La luce brillante di stelle era diventata più intensa con i bagliori di luna, spuntata all’improvviso, squarciando un velo di nebbia sottile. Era notte fonda quando la grande sfera era apparsa tutta intera, coi suoi lunghi riflessi, in gara con i lampioni accesi lungo il viale.
Anche il castello di monte Acuto era avvolto da quel chiarore lunare, che gli conferiva un’aura fiabesca.
Tutto a un tratto, dall’ampio ingresso principale, il nitrito di un cavallo che usciva al galoppo col suo cavaliere, aveva risvegliato uno stormo di uccelli appollaiato sulla quercia secolare, accanto al muro di cinta dell’antico maniero.
L’uomo aveva una sacca sulle spalle che sembrava la custodia di un oggetto voluminoso. Aveva percorso il lungo tragitto dal colle fino al paese, passando per il bosco, tra alberi secolari, la folta macchia mediterranea, un grande menhir, sa pedra iscritta*, e il pozzo sacro poco distante. L’uomo aveva continuato la sua corsa a cavallo, senza fare alcuna sosta, fino a raggiungere il centro abitato. Dopo aver individuato l’edificio con due B, segnate sopra una targa, con caratteri arabescati, si era fermato sotto una finestra, aveva aperto la custodia e, con l’antico strumento a fiato che conteneva, aveva iniziato a suonare. Una musica sublime si era diffusa nel silenzio, dal basso in alto, attirando l’attenzione delle colombe sul tetto.
Mary era completamente estasiata. Non aveva mai sentito un suono così gradevole e confortante. Per poterlo ascoltare meglio aveva deciso di alzarsi ad aprire la finestra. Aveva ruotato il corpo con un movimento istintivo, brusco, e si era ritrovata sul pavimento della camera, nel buio e nel silenzio più totale. Fuori uno spicchio di luna appena accennato. Del suonatore a cavallo, neppure l’ombra. La bella sensazione era svanita. Le era rimasta soltanto una leggera contusione alla spalla destra.
* abbardente: acquavite.
*”Poscia più che’l dolor, poté il digiuno.” Cit. dal IX canto dell’Inferno – La Divina Commedia.
* Un enorme masso di granito con incisioni geometriche attribuite al periodo nuragico.
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Una crema al caffè, con abba ardenti e casu ajedu no demmu mai intendia 😅 curioso. Esiste davvero o è una tua creazione? Comunque mi piace molto ciò che scrivi, c’è un infinità di roba e ci metterò tanto a leggerla tutta.
I grandi estimatori dell’abbardente nel paese in cui sono nata, a venti chilometri da Cagliari, per non parlare del centro Sardegna, spesso facevano colazione al bar, appena svegli, col caffé corretto con acquavite.
Un mio ex collega veneto che da piccolo abitava in un paese di montagna, dove in inverno c’era sempre neve e ghiaccio, mi raccontava spesso che prima di andare a scuola, bevevano la grappa per scaldarsi. L’acquavite qui da noi ha una gradazione di solito molto superiore a quella del distillato veneto ma, per entrambi i casi, qualche perplessità é inevitabile.
No ma infatti sono io che mi son perso il simbolo * e pensavo dunque che il discorso casuale ajedu e miele, fosse sopra la crema caffè! Infatti mi suonava strano, stavo sbagliando io. Per quanto riguarda quel tipo di alcolico si, lo conosco bene in tutti i sensi e credo il nostro sia proprio il più forte. Tra l’altro in pochi italiani sanno cosa sia il fil’e ferru o meglio, perché si chiami proprio così
Che bella la descrizione del cavaliere. Poetica. Rompe piacevolmente il ritmo leggero del racconto, portandolo d’improvviso su un piano onirico che mi è piaciuto tanto.
Grazie. I sogni, nentre si dorme, o anche ad occhi aperti, sono cio` che ci permette di andare avanti anche nei momenti peggiori. Non so se tu sia d’ accordo ma scrivere, fantasticando, e` un po’ come sognare.
Oh sì che sono d’accordo, Maria Luisa. Scrivo ogni volta che ho un sogno che voglio fermare, che sia bello o brutto. Se è brutto lo fermo per ucciderlo, se è bello lo fermo per conservarlo, per me e per gli altri.
Sono contenta di aver ritrovato le tre amiche e di sapere cosa sta loro accadendo. Magari è marginale, ma mi ha colpita la figura del cameriere con la sua preoccupazione per le sorti del locale e i tagli del personale. Tema molto attuale, purtroppo, e che tocca un po’ tutte le attività. Molto romantica la visione notturna che ci offri. Si sente il silenzio. Chi è il cavaliere misterioso?
Ciao Cristiana, il cavaliere misterioso rappresenta il principe azzurro, il desiderio, piu` o meno inconscio, di una sognatrice ancora molto giovane; infatti il suo e` soltanto un sogno, un’ illusione che svanisce quando Mary cade dal letto e si sveglia, con la spalla un po’ contusa.
Grazie Cristiana, un abbraccio.
Bell’episodio che ci lascia con questa nuova new entry per Mary molto interessante. Le tre ne combinano una peggio del diavolo! Il castello del conte Ugolino poi molto suggestivo, bellissimo. Speravo fosse un protagonista, anche vedendo la copertina, invece è stato solo una mera comparsa. Peccato. Al prossimo episodio!
Ciao Carlo, grazie. Le tre “eroine” non si smentiscono mai. Sono poco “uscite”, un po’ represse, e tendono sempre a esagerare.
Mary, invece, e` stata sul punto di incontrare il suo principe azzurro; peccato che fosse soltanto un sogno.
Anticipazioni per il prossimo episodio: dolce o piccante, forse; ancora non e` chiaro.
A presto, Carlo, un abbraccio.
Bel racconto, scritto bene e scorrevole, per me niente da correggere. Mi sono ritrovato in molte cose. Anche dalle mie parti c’è un monte Acuto, ma senza castello. Per quanto riguarda la crema di caffè, mi è venuta l’acquolina pure a me, ma io l’avrei presa prima di bere. La musica durante il sonno per me è un classico: certi componimenti che, se sapessi suonare e me li ricordassi bene, mi renderebbero famosissimo. Complimenti.
Ciao Domenico, grazie per le tue parole. Non solo per gli apprezzamenti, ma anche per aver condiviso alcuni contenuti del testo. Il monte Acuto della tua zona e` quello del Lazio o quello dell’ Umbria? Ho scoperto che in Italia ce ne sono diversi. Il castello di cui parlo nel racconto, in realta` non esiste piu`; solo pochi ruderi. Il castello della foto e` quello di Acquafredda, in territorio di Siliqua, nel sud della Sardegna, a una ventina di chilometri da Cagliari. Qualche pezzo delle mura di questo antico castello si e` salvato fino ad oggi. Intorno c’ e` la pineta e il bosco. Un bel posto da visitare.
Nessuno di questi, io sono della Basilicata e il monte di cui parlo è più una collina. Non penso sia il suo nome ufficiale, forse una forma dialettale. Intorno c’è un bosco e in cima una radura, niente di particolare rispetto al tuo.