Il tinello marron

 

Tino aprì la portiera della sua Fiat Punto grigia metallizzata. Scese nel parcheggio del condominio, elegante nel suo completo antracite comprato sul suo sito web preferito.

Quel giorno decise di non parcheggiare nel garage coperto del seminterrato.

Tino era bravo nel suo lavoro, si era specializzato nell’Investment Banking e consulenza alla leadership: un tipo preciso, insomma, con la ventiquattrore in pelle sottobraccio. Quella sera la lasciò sul sedile posteriore della vettura.

Prima di entrare nel portone d’ingresso del moderno edificio condominiale a tre piani decise di passare dal giardino ed entrare dal retro.

C’erano pozzanghere ovunque a causa delle piogge intense del pomeriggio di primavera.

Tino guardò le sue scarpe Oxford di vero cuoio appoggiarsi all’erba ed affondare nel fango bruno tanto che il passo diventò incerto sulla superficie scivolosa.

Carmen nel cucinotto era intenta ad impanare le fettine di vitello battute sottili, passarle prima nell’uovo e poi nel pane grattato. Lo faceva con gesti misurati, accese il fuoco sotto la padella cosparsa da un filo d’olio d’oliva extravergine. Quello economico del supermercato.

Erano le diciannove in punto quando Tino irruppe nel tinello dai mobili in rovere massiccio con le scarpe sporche.

Non ci volle molto perché Carmen uscisse dalla cucina non abitabile con il grembiule in vita che la sua anziana madre aveva ricamato con motivi floreali rossi.

Il silenzio gravava sui loro sguardi, su tutto il mobilio della stanza rendendo l’atmosfera pesante.

Vide le scarpe e i disegni delle suole lasciati sul parquet. L’aveva fatto chiaramente apposta.

Le sue pupille si dilatavano, le guance prendevano colore: “E questo cosa mi significa?”

“Volevo attirare la tua completa attenzione una volta tanto.”

Dal cucinotto proveniva il rumore dell’olio che sfrigolava nella padella.

“Potevi darmi un calcio nella pancia già che c’eri, sarei stata ancora più attenta.”

“Hai ragione come sempre, in effetti, con le scarpe di fango ci sarebbe stato più gusto.”

“Ho l’olio sulla padella che non vede l’ora di appiccicarsi sulla tua bella faccia di merda, amore.”

Tino calcolò quanto tempo ci sarebbe voluto a raggiungerla e stamparle la suola Oxford sul suo grembiule e quanto veloce avrebbe dovuto essere lei per afferrare la padella.

Scivolò in avanti di mezzo passo guardandola dritto nei suoi luminosi occhi verdi.

La collanina della Vergine Maria pendeva sul seno prodigioso e sulla maglietta bianca di lei che rimaneva immobile a celare le recondite intenzioni, sulla soglia del tinello marron.

L’odore dell’olio caldo saturava l’aria.

Tino proiettò la sua lunga gamba destra fra il corpo di Carmen e i fornelli per impedirle ogni difesa di memoria medievale. Uno straccetto di terra volò e atterrò sulla credenza.

Carmen corse dall’altra parte della stanza dove c’era l’asse da stiro, afferrò il ferro e lo lanciò con violenza contro Tino.

Mancò il bersaglio di parecchio ma colpì in pieno una statuetta di cane Borzoi in porcellana che esplose sul muro con un rumore secco di denti rotti.

Carmen sentì il corpo di Tino piombarle addosso, per un attimo sentì il suo calore, il profumo pungente di Acqua di Parma mischiato al suo sudore.

Poi provò il dolore intenso della schiena che cadeva sull’asse da stiro. Il rumore metallico fra i gemiti appena sussurrati.

Lo colpì con due ganci al naso ossuto che si mise immediatamente a colare sangue.

Tino ansimava e armeggiava con la cerniera lampo del suo abito e le mutande, incurante delle ferite subite.

Carmen lo aiutò mentre con la mano libera gli tirava la testa in avanti aggrappandosi ai capelli.

Il sangue scendeva sull’immagine sacra della collanina e sul petto che ansimava.

Tino le sussurrò: “Sei una puttana, non ti ho mai amato. Ti uso, mi servi e basta.”

Carmen, mentre si sfilava l’intimo: “Te lo lascio fare perché mi fai pena, sei un fallito che non vale un cazzo, sono tutto quello che hai.”

Tino: “Il tuo corpo è flaccido, quando ti monto penso alle mie colleghe giovani dell’ufficio.”

Carmen spinse in avanti il bacino:” Sono anni che ti metto le corna con gente che mi apprezza. E non sai quanti ce ne sono.”

Le parole erano pesanti, definitive. Trascinavano dentro il loro corpo sonoro chi le pronunciava, non lo lasciavano più uscire come gambe strette ai fianchi di un amante.

Quello che seguì fu un rapporto sessuale senza troppi convenevoli, gestito da due operatori più che esperti, sull’asse da stiro sdraiato sul pavimento, fra le sue gambe metalliche divaricate, nel tinello di casa, nel condominio di pregio a tre piani.

Il quartiere era silenzioso, la luce dei lampioni galleggiava sulle ampie pozze d’acqua piovana del parcheggio e la luna stentava a farsi largo fra le nuvole.

La giornalista Laura Chimenti presentava il Tg1 sullo schermo della televisione in parte occupato da righe colorate verticali e una zona nera centrale. La voce gracchiava, a malapena si distinguevano le parole.

Tino tagliava la cotoletta adagiata di fianco agli spinaci. Aveva due vistosi tamponi in garza infilati nelle narici del naso ossuto. Era seduto a tavola di fianco a Carmen che ogni tanto si alzava per andare a prendere qualcosa nel cucinotto.

Carmen si versò una generosa quantità di sangiovese superiore nel bicchiere: “Hai sentito, un’altra scossa di terremoto in Marocco.”

Tino: “Non c’è mai pace per quei poveretti. A proposito, oggi ti sei ricordata di fare il versamento a Emergency?”

Carmen:” No, scusami, ho avuto un sacco di impegni, lo vado a fare domani mattina.”

Tino: “Vatti a fare una doccia calda che ti vedo stanca, ci penso io a rimettere a posto.”

Carmen: ”Aspetta che ti ho preparato il budino di mandorle, lo mangiamo insieme e poi vado.”

Tino: “Che tesoro, mi vizi sempre. Scommetto che hai messo anche dell’uva passita.”

La televisione mandava le immagini di una bambina di otto anni rapita, i genitori in lacrime, alcuni carabinieri salivano sulle loro macchine sportive con le sirene che mandavano lampi in tutte le direzioni.

Non appena Carmen uscì dal tinello per andare al bagno Tino si fece il segno della croce e ringraziò il signore per la sua vita benedetta.

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Discussioni

  1. Ho cercato di capire se, nelle tue intenzioni, ci sia stata l’idea di sfruttare quella differenza sottilissima che spesso esiste fra lo humour nero e le nostre intime vicende. Un racconto che mi è piaciuto tantissimo, forse, a mio avviso, uno dei più originali in questo momento sulla piattaforma. Insieme a te, ho spiato dalla finestra e, la cosa che sento di più, è la mancanza di giudizio alcuno. Mi sono limitata a guardare, nella fortuna di un momento. Bravissimo.