Il traguardo
Alberto Fallotti si sentiva il cuore battere in gola. Le sue gambe si facevano sempre più pesanti, e il sole gli rendeva faticoso tenere gli occhi aperti. Eppure continuava a correre.
Ā«Siamo giunti al quarantesimo chilometro di questa maratona, signori, e il nostro Alberto ĆØ al secondo posto, subito dietro lāaustraliano TaylorĀ», commentò uno dei telecronisti.
Ā«Proprio così», aggiunse lāaltro. Ā«Lāaustraliano ĆØ in gran forma, ma anche il nostro Alberto non molla un passoĀ».
Ā«Sono appiccicati, nessuno vuole mollare un solo centimetro. Fallotti ĆØ lāunico italiano che può puntare al podio in questa olimpiade, e noi siamo tutti con lui in questi ultimi metriĀ».
Alberto macinava lāasfalto un passo dopo lāaltro. Per gli ultimi cinque chilometri aveva visto solo la nuca del suo avversario, ma la sua concentrazione era ancora intensissima. Sapeva di doversi giocare tutto in quegli ultimi duemila metri, e sentiva il suo fisico dire sƬ, ce la facciamo a vincere.
«à partito con lo scatto finale!Ā», urlò uno dei telecronisti. Ā«Vai, Fallotti! Vai, Fallotti! Eccolo che esce dalla scia dellāaustraliano. Dietro di loro il deserto. La gara ormai se la giocano in dueĀ».
Taylor era allo stremo: quando vide che lāavversario gli passava sulla sinistra capƬ che non avrebbe mai vinto quella gara. Tentò di resistere accennando una lieve accelerazione, ma la frenò subito: sentiva che sarebbe svenuto prima del traguardo se avesse aumentato il ritmo.
Alberto aveva sognato quel momento da anni, e con lui il padre. Era stato il genitore, infatti, a farlo appassionare alla corsa: buon atleta in gioventù, e si era distinto nelle gare provinciali per la velocità e la resistenza, ma poi aveva dovuto rinunciare allo sport.
«Papà , perché zoppichi?», gli aveva domandato una volta Alberto.
Ā«Sai, la corsa era tutta la mia vita. Avresti dovuto vedermi: correvo davvero come il vento! Nessuno riusciva a stare dietro a tuo papĆ . Poi, un giorno, a causa di un incidente in bicicletta, mi ruppi lāanca e divenni zoppo. Da allora riesco a malapena a camminare per il dolore, e non ho più potuto correre. Non ho più nemmeno messo le scarpe da ginnastica. Il mio ultimo paio le ho appese in cantina; con quelle ci avevo vinto la mia ultima garaĀ».
Nonostante lāanca, però, quando Alberto faceva i capricci, il padre lo prendeva in braccio e lo portava nel piccolo bosco fuori casa. Poi, una volta che il figlio ero cresciuto e non riusciva più a sollevarlo, i due avevano cominciato a camminare fianco a fianco.
Ā«PapĆ Ā», gli aveva detto Alberto prima di partire per le Olimpiadi, Ā«correrò io tutti i chilometri che non hai potuto correre tu. E, quando non riuscirai più nemmeno a camminare, allora ti prenderò in braccio e assieme taglieremo un traguardo dopo lāaltroĀ».
Ā«Avanza a grandi passi verso la medaglia dāoroĀ», continuò uno dei cronisti. Ā«Ormai ĆØ sua. Taylor non accenna ad aumentare il passo e sembra essersi rassegnato al secondo postoĀ».
Ā«Una prima olimpiade fantastica per il nostro Alberto Fallotti. Ha solo ventidue anni e sembra che nulla possa arrestare la sua carriera che culmina magnificamente con questa vittoria: prima il dominio nelle gare provinciali, poi il titolo italiano, e adesso la medaglia dāoro alle OlimpiadiĀ».
Alberto sentiva le gocce di sudore che gli scivolavano lungo la schiena. Ormai non percepiva più il ritmo del proprio respiro e la vista gli si era offuscata per la perdita di liquidi. Il sole continuava ad accecarlo e i piedi sembravano bollirgli nelle scarpe. Eppure continuava a correre.
«Ma che succede, signori?», commentò uno dei due telecronisti, «Alberto si è fermato. Si è accasciato a terra! Forse un malore».
Il cuore del ragazzo non resse lāemozione di arrivare primo in unāOlimpiade e, sotto lo sforzo di quei quarantuno chilometri che aveva percorso, dāimprovviso, si era fermato.
A poco più di mille metri dal traguardo, una manciata di passi fuori dallāarena, la sua gara finƬ: il suo fisico snello ma muscoloso, che sembrava poter reggere qualunque sforzo, si era spento improvvisamente.
Dāimprovviso, dalla folla spuntò un vecchietto. Si avvicinò al giovane appena morto e lo abbracciò piangendo. Nessuno aveva avuto il coraggio di fermarlo dopo aver visto lāespressione sul suo volto. Lāuomo si tolse le scarpe, le buttò sulla strada e si mise quelle del ragazzo. Sollevò quel corpo che giaceva inerme al suolo, mentre gli altri corridori lo sorpassavano senza nemmeno guardarlo, intenti solo a guadagnare un posto in classifica, e, tenendolo in braccio, come Maria aveva fatto duemila anni prima con il figlio dopo la sua Passione, si diresse verso il traguardo.
«à una scena che non abbiamo la forza di descriverviĀ», disse uno dei telecronisti. Ā«Il pubblico sugli spaltiĀ», aggiunse lāaltro, Ā«non riesce a credere a quello che vede: il nostro Alberto ĆØ entrato nello stadio esanime in braccio a un uomo anziano che, zoppicando e ansimando, lo sta portando verso il traguardoĀ».
Ā«Figlio mio, il traguardo ĆØ vicinoĀ», disse lāuomo mentre avanzavo dolorante, Ā«non posso lasciarti a un passo dalla meta della tua vita. Ricordi quando ti prendevo in braccio da piccolo? Nulla ĆØ cambiato da allora: ancora ti porto tra le mie braccia come nel bosco dietro casa, e ancora camminiamo assieme. Queste scarpe mi hanno portato a una vittoria quando avevo la tua etĆ , e tu hai voluto a tutti i costi indossarle. Mi dicesti: āPapĆ , le porterò io le tue scarpe oltre i grandi traguardi delle gareā. Non hai potuto farlo, ma insieme possiamoĀ».
Il vecchio si sentiva stremato: quel figlio, che da piccolino facilmente faceva roteare sopra la testa nel gioco che chiamavano il giro della morte, ora gli sembrava terribilmente pesante, e lāanca gli doleva come se avesse un coltello impiantato nella carne.
Eppure continuava a camminare.
Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Molto interessante e coinvolgente, anche perchƩ sono un runner in erba e mi sono immedesimato profondamente.
Molto bello! Complimenti. Una storia che dietro la sua semplicitĆ nasconde una bella fotografia della realtĆ , complessa rete di sentimenti e valori famigliari! Molto bello!
Complimenti!!
Lacrimuccia.
Con 1500 parole è difficile creare qualcosa di intenso, però con questo racconto direi proprio che Stefano Ghisleri ci è riuscito.
Bel racconto, complimenti!
Bello!