Il vestito da sposa perfetto

È una giornata splendida: il cielo è terso, l’aria profuma di magnolie e il sole primaverile inizia a scaldare la pelle. È la giornata perfetta per innamorarsi, per dire dare un primo bacio, per dire “sì lo voglio”.

Avrei voglia di mettermi a saltellare, a salutare la gente, a sorridere agli sconosciuti, ma mi sforzo di tenere un contegno, di camminare in mezzo agli altri come se nulla fosse.

Quando mi fermo al semaforo rosso mi specchio sulla vetrina dell’atelier di abiti da sposa alla mia destra, su cui campeggia un grosso cartello con su scritto “svuota tutto”. Quando il semaforo diventa verde dovrei attraversare la strada con tutti gli altri, invece senza pensare entro nell’atelier.

Una commessa mi viene incontro. Le sorrido e le dico: – Vorrei provare l’abito azzurro in vetrina.

Appena l’ho visto ho capito che era lui, IL mio vestito da sposa, quello che avrebbe fatto di me una moglie, una donna felice.

Lei sembra guardare alle mie spalle, come se si aspettasse di veder entrare qualcun altro: un’amica, una sorella, una madre.

La fisso sperando che capisca dal mio sguardo che ho fretta, ma non sembra recepire per cui chiedo: – Posso provare il vestito azzurro?

Finalmente la commessa si muove, sveste il manichino con cautela, mi accompagna ai camerini, aiuta anche me a svestirmi ripetendo gli stessi gesti usati con la sposa di plastica.

Quando mi guardo allo specchio non ho dubbi: sto indossando il vestito dei miei sogni.

– Lo prendo – dico senza pensare. Senza nemmeno sapere quanto costa e se me lo posso permettere. È vero che stanno svuotando il negozio, ma alcuni di questi abiti non potrei permettermeli nemmeno se avessero il 98% di sconto. Continuo a rimirarmi nello specchio e a sfiorare con le dita il tessuto liscio e morbido del corpetto, quasi a imprimere sui polpastrelli la forma e la consistenza del mio sogno, nel tentativo di rimandare il più a lungo possibile il momento in cui scoprirò di dover lasciare questo abito al suo manichino.

– Quanto costa? – chiedo mentre la commessa mi abbassa la zip sulla schiena.

– Tremilaottocento euro – risponde.

Mi sento come quando ho visto il mio primo palloncino pieno d’elio volarsene via, sfuggendo alla mia presa.

– Ma in saldo trecentocinquanta – aggiunge.

E a me sembra di riacchiappare quel palloncino dall’ultimo centimetro di filo.

Mentre la commessa infila il vestito nel porta abiti, resto in silenzio a fissare ogni suo gesto, come se guardarla potesse evitare una sua mossa maldestra.

– Allora? A quando il gran giorno? – chiede, forse per togliersi dall’imbarazzo dei miei occhi puntati addosso.

– Non lo so.

– Non avete ancora deciso la data? – si informa.

– Veramente non so nemmeno con chi mi sposerò. Ma bisogna pur iniziare da qualche parte a organizzare il proprio matrimonio.

* * *

Quando hai un vestito da sposa e non hai un uomo, ogni nuova conoscenza maschile ti fa chiedere: sarà lui? E così prima è stata la volta di Francesco, il vicino di casa, quello che lasciava sempre le scarpe da corsa sul pianerottolo e aveva fatto della distanza regina sua moglie. Poi è venuto Paolo, il collega del co-working che aveva preso una scrivania vicino alla mia, lui era sposato con il suo lavoro, impossibile farsi spazio tra un appuntamento col commercialista e uno coi clienti. Dopo ancora c’è stato Luca, il ragazzo che incontravo in palestra ogni mercoledì, quello che amava il suo corpo più di qualsiasi altro essere umano. E Andrea, quello del gruppo di lettura, Antonio, l’amico di Giada, e Paolo2 il barista del caffè dove andavo la domenica a fare colazione.

E tutte le volte è stato uno schifo, perché le mie aspettative erano troppo alte, perché pretendevo da subito un coinvolgimento che non erano disposti a darmi, perché ognuno di loro aveva altri obiettivi e aspettative. Volevo solo una dichiarazione, che qualcuno si inginocchiasse davanti a me, aprisse una scatolina di velluto blu con dentro un anello e mi chiedesse “mi vuoi sposare?” e io avrei detto sì, perché non importava chi, volevo solo indossare quel vestito in un giorno da favola e diventare una moglie.

Ero convinta che un marito accanto fosse tutto quello di avevo bisogno.

* * *

Poi ho conosciuto Paolo3. Si dice che 3 è il numero perfetto e quando ho conosciuto Paolo non ho avuto dubbi che lo fosse. Era un uomo sicuro di sé, dolce e fermo al tempo stesso. Aveva aperto con successo uno studio d’avvocato. Curava il suo aspetto senza l’ossessività di Luca, si dedicava al suo lavoro con impegno ma senza che questo invadesse il resto della sua vita. Quella con Paolo3 era la relazione più sana ed equilibrata che mi fosse capitata. Il suo migliore pregio era che mi vedeva davvero: si accorgeva di me, notava se acquistavo un nuovo rossetto o dei nuovi orecchini, se ero triste mi chiedeva “posso fare qualcosa per te?” e con una faccia buffa mi faceva ridere.

Dopo tre mesi di convivenza mi aveva fatto recapitare sul posto di lavoro un mazzo di 50 rose rosse. I colleghi e i clienti del ristorante in cui facevo la cameriera avevano applaudito e fischiato a lungo.

Quando ero tornata a casa, Paolo aveva aperto una scatolina di velluto rosso e mi aveva chiesto, mettendosi in ginocchio in mezzo al salotto, se volevo diventare sua moglie.

Ci saremo sposati l’8 giugno.

Paolo3 era l’unico a cui non avevo ancora rivelato di aver acquistato il mio vestito da sposa anni prima. Nessuno degli uomini precedenti aveva trovato questo fatto divertente, romantico o buffo e anzi, si erano così irrigiditi e spaventati che a volte avevo avuto il timore di essere stata lasciata per quella ragione.

Negli anni avevo indossato diverse volte il mio vestito da sposa. Per riuscire ad alzare da sola la zip sulla schiena avevo legato un nastro di raso al cursore.

Indossare quell’abito era un piccolo rito che ripetevo di nascosto ogni volta che venivo sopraffatta dal timore che non mi sarei mai sposata, che sarei rimasta sola per sempre, che sarei diventata una vecchia zitella: aprivo l’armadio della mia camera a casa dei miei genitori e mi infilavo in quella nuvola bianca e azzurra cercando di visualizzare il momento in cui avrei attraversato la navata centrale della chiesa per raggiungere il mio futuro marito. Mi piaceva anche immaginare lo scambio degli anelli, il momento che nella mia immaginazione sarebbe stato il punto di non ritorno, lo spartiacque tra il prima e il dopo.

* * *

L’uomo perfetto non esiste: Paolo3 a una manciata di giorni dalle nozze, quando tutto ormai era prenotato, organizzato e pagato in anticipo aveva dimenticato il telefono a casa. Avevo fatto scorrere l’indice sullo schermo, ripetendo il codice d’accesso che tante volte gli avevo visto comporre e scorrendo i suoi messaggi avevo scoperto che intratteneva una relazione con un uomo: i testi e le foto che si scambiavano erano inequivocabili.

Cosa fai quando scopri che l’uomo che ami, che credevi che ti amasse e che stai per sposare non è la persona che avevi immaginato?

Credo che ci siano solo due possibilità: scegliere di far finta di nulla o scappare.

* * *

Il vestito da sposa perfetto non esiste. Con il mio addosso me ne rendo conto solo ora. Mi sento una nuvola di zucchero filato, stucchevole e ridicola.

A trent’anni di distanza mi sembra stupida e ingenua la me stessa ragazzina che pensava di aver bisogno di un matrimonio per essere felice.

È strano come la vita ti insegni a desiderare le cose giuste, come il tempo renda patetici quelli che sembravano sogni irrinunciabili.

Tolgo il vestito e guardo il mio corpo spoglio allo specchio.

Forse venderò il mio vestito da sposa, forse resterà nell’armadio. Non ha più alcuna importanza.

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Discussioni

  1. Racconto da leggere velocemente e, da donna, devo ammettere che esprime delle paure in cui spesso ho visto esponenti del gentil sesso perdersi.
    ALLARME SPOILER – Ci sono rimasta un po’ male per il mancato happy ending.

  2. Bellissima questa storia!
    Fa riflettere su quale sia il vero significato della parola “felicità” , che non corrisponde al barrare tutte le “caselline” socialmente imposte, ma a ben altro! Non così facile da raggiungere e non acquistabile in negozio.
    Complimenti!

  3. Una storia diversa, perché le storie di sogni inespressi sono comunque diversi. Questa diversità non è scontata, quella di una ragazza moderna che sogna l’atto (il matrimonio) più che la scena (l’amore). Può davvero l’atto raggiungere obbiettivi più infiniti della scena? Quell’armadio dov’è conservato il simbolo dell’atto (l’abito) dovrebbe darci la risposta.
    Brava

    1. mi piace questo punto di vista sulla storia.
      io l’ho pensato più che altro come un percorso di consapevolezza: quello che nell’immaginazione sembra il traguardo della felicità (quando mi sposerò sarò felice) col passare del tempo diventa quello che è: un evento idealizzato che con la felicità non ha nulla a che fare (la mia felicità non ha bisogno di un matrimonio, anzi).