
Il volo di Leo
Leo era un lettore onnivoro molto vorace. Trascorreva gran parte della giornata a sfogliare riviste, libri o pagine virtuali sull’web. Gestiva il computer e navigava a gonfie vele, con i comandi vocali, senza nessuna azione fisica. Per voltare le pagine di carta dei libri o dei giornali appoggiati sul leggio, usava un’asticella apposita, che teneva in bocca e manovrava muovendo il capo. Le mani e le braccia avevano perso ogni forza e funzione. A malapena riusciva ancora a manovrare il mini joystick della carrozzina elettrica, con il pollice della mano destra inserito in un tutore palmare che ne favoriva l’uso. Spesso, però, mano e braccio cascavano giù, penzolando di lato sulla ruota della sedia a rotelle. Leo, con molto garbo, come se temesse di disturbare, doveva chiedere al primo operatore che incontrava lungo il corridoio, se gentilmente poteva posizionargli, di nuovo, la mano sulla leva della carrozzina.
La sua cultura, l’intelligenza, la sensibilità e il grave handicap fisico, mi mettevano spesso in difficoltà quando, saltuariamente, dovevo sostituire Mauro, il mio collega fisioterapista, per i trattamenti di RM (rieducazione motoria). Definizione poco appropriata nel suo caso; forse sarebbe stato più giusto dire FM (fisioterapia di mantenimento), o preventiva, poco efficace e senza alcuna speranza di recupero. Una serie di manovre, gradualmente forzate che, per la grave spasticità muscolare diffusa agli arti e al tronco, non poteva essere indolore. Leo, però non si lamentava mai e aspettava ogni giorno, con ansia, quell’ora in palestra con altri pazienti, che rappresentava quasi uno svago in società e, forse, un piccolo sollievo muscolare.
Era un giovane poco più che ventenne, quando gli avevano diagnosticato la sclerosi multipla: una forma gravemente invalidante che, nell’arco di pochi anni, gli aveva tolto la capacità di deambulare in autonomia, fino a inchiodarlo su quella carrozzina motorizzata.
In compenso la sua capacità di astrazione lo aiutava a ridurre la noia e i fastidi dovuti all’immobilità. Diceva che la lettura aveva il potere di alleviare la pena delle sue interminabili giornate. La reclusione tra le quattro mura della struttura che lo ospitava giorno e notte, era spesso dura da sopportare. Solo il fine settimana, superando grosse difficoltà nel trasporto, il fratello o i nipoti, gli consentivano di evadere, per ospitarlo in casa loro.
Il lunedì ricominciava il solito calvario: doccia orizzontale sull’apposito lettino e colazione, imboccato dall’Oss, complicata dalla disfagia progressiva, che non gli consentiva di deglutire facilmente. Problema che, tempo addietro, gli aveva già provocato una polmonite ab ingestis. L’ora successiva era riservata alle solite “torture” in palestra. Più tardi il pranzo con alimenti frullati, dall’aspetto disgustoso, e poi letture a volontà, con l’asticella in bocca, per voltare pagina, fino a sentire atroci dolori al collo.
Leggendo e navigando sull’web aveva fatto una scoperta che a uno come lui, (condannato da trent’anni a stare immobile, con una piaga nei glutei, nonostante il cuscino e il vello antidecubito), sembrava molto, molto interessante.
Era curioso di saperne di più e aveva iniziato ad approfondire la questione, per scoprire tutte le indicazioni necessarie a sperimentare, direttamente, ciò che in tanti sostenevano di aver raggiunto.
Era il mese di agosto, Mauro, il mio collega, doveva assentarsi una decina di giorni per le ferie estive, quando mi assegnarono la presa in carico di alcuni pazienti, Leo compreso.
Il passaggio dalla carrozzina al lettino della palestra, con il sollevatore munito di telo sintetico per imbragare il paziente, richiedeva l’impegno di due operatori; soprattutto per la struttura corporea di Leo, lunga e pesante.
Quando i due Oss finirono di posizionarlo sul lettino, notai qualcosa di diverso nel suo sguardo. Era strano, più rilassato… sembrava contento.
Dopo poche parole per rompere il ghiaccio, commentando il clima torrido che non consentiva di uscire in giardino, neanche per una boccata d’aria, iniziò a raccontarmi l’esperienza che aveva vissuto, dopo mesi di continui tentativi falliti.
Tutto era cominciato quando aveva letto uno dei libri di Anne Givaudau. Inizialmente era un po’ scettico: pensava che l”autrice, insieme al marito, che collaborava alla stesura dei testi, fossero due ciarlatani, gente furba che, volendo attirare l’attenzione dei lettori per incrementare le vendite, si fossero inventati tutto, di sana pianta.
Successivamente aveva visto un programma in TV, che trattava lo stesso genere di esperienze paranormali. Aveva fatto numerose ricerche su Internet e aveva scoperto che il fenomeno era molto più diffuso di quanto non avesse creduto fino a quel momento.
Aveva studiato la tecnica, seguendo vari tutorial su You Tube; provato e riprovato, inutilmente.
Dopo quasi un anno di tentativi andati a vuoto, finalmente, la sera precedente, era successo qualcosa che andava ben oltre le sue aspettative.
L’avevano messo a letto, nella sua camera, alla solita ora, cioè prima delle galline. Sarebbe rimasto nella stessa posizione supina per sei ore, finché qualche operatore diligente e di buon cuore, non fosse andato a posizionarlo sul fianco, per dover trascorrere altre sei ore sempre disteso sul letto. Un vero supplizio. Gli avevano chiesto se volesse vedere qualche programma televisivo, ma lui aveva in mente tutto un altro programma, lasciando spento il televisore. Più che un programma era l’idea di un viaggio, di un’escursione astrale, lasciando il fardello del suo corpo fisico adagiato sul letto. A un tratto, quando meno se lo aspettava, si era ritrovato, inspiegabilmente, a fluttuare in un luogo sconosciuto, pieno di luce, di aromi indescrivibili, di vibrazioni sottili che risuonavano come onde sonore armoniose. Tutto l’insieme gli aveva fatto percepire uno stato di grazia, un senso di beatitudine assoluta. Era come essere cullati – mi aveva spiegato – sulle onde di un etere raggiante di fasci brillanti di luci calde, che lo avvolgevano e lo colmavano di gioia allo stato puro.
Poi aveva sentito una voce lontana che lo chiamava, come un’eco. “Leo, Leo, Leo…” La voce gli era parsa quella di Tonio, il fratello morto a diciassette anni, mentre correvano insieme sulla moto, per andare alla festa di San Basilio. Tonio lo aveva incitato ad accelerare, ad andare al massimo della velocità. Lui, per farlo contento, gli aveva dato retta. Qualcosa aveva fatto slittare il motociclo, avevano sbandato e poi, per evitare di andare a schiantarsi contro un camion, erano finiti contro un albero. Leo si era salvato, Tonio era morto lungo il tragitto per arrivare all’ospedale. Da quel giorno era cominciato il conflitto di movimento. Leo cercava di studiare, chiuso in camera per preparare gli esami universitari. Il giorno fissato per l’appello rinunciava. Non usciva più di casa. Dopo un anno esatto dall’incidente con la moto, erano comparsi i primi sintomi della sclerosi.
Durante quel suo volo eccezionale, quando l’eco della voce che lo chiamava si era spenta, aveva pensato di tornare indietro, sapendo di aver lasciato il suo corpo esanime sul letto. Immediatamente si era sentito risucchiare; finché era rientrato, totalmente, nel suo corpo fisico.
Gli era sorto il dubbio che tornando indietro troppo tardi, avrebbero potuto organizzargli la sepoltura anzitempo. Mentre mi riferiva queste parole, con il sorriso sulle labbra appena accennato dalla ridotta capacità dei muscoli facciali, sembrava voler ironizzare sulla sua condizione e sul suo attaccamento alla vita, esile, ormai, come un filo di ragnatela.
Se fosse riuscito a ripetere regolarmente, quell’esperienza straordinaria, la sua condizione di prigioniero, in una gabbia di ossa, muscoli e articolazioni che non rispondevano più alla sua volontà, finalmente sarebbe finita. Sarebbe tornato a essere libero, in un volo avventuroso verso un’altra dimensione.
Non sapevo se Leo avesse sognato tutto o se fosse un’esperienza di premorte, dovuta a qualche breve arresto cardiaco: il famoso tunnel luminoso di cui parlano molte persone che sostengono di essere tornate dall’Aldilà. O se invece, avesse vissuto davvero un’esperienza extracorporea, di sdoppiamento del corpo etereo da quello fisico. In cuor mio speravo che, in qualche modo, quell’omone gentile, sensibile e amante della conoscenza, fosse ripagato dalle stesse assidue esplorazioni e acquisizioni da lui raggiunte, nell’immenso universo del sapere.
Il giorno dopo era un sabato e, come al solito, Vito, suo fratello, era venuto a prenderlo per trascorrere due giorni in famiglia. La domenica mattina un grave malore improvviso li aveva costretti a chiamare il 118 e Leo era finito all’ospedale. Non era tornato a casa del fratello e neppure tra noi, in palestra, che continuammo a lavorare, per molte ore, muti e commossi.
Mi piace pensare che Leo abbia deciso di tornare là, in quel paradiso di pace, dove finalmente si era sentito libero e… giustamente beato.
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Leggere questo racconto mi ha ricordato che dobbiamo essere grati di ciò che si ha: smettere di abbattersi e sfruttare in pieno questa breve vita, perchè c’è sempre chi è in condizioni più sfavorevoli delle nostre (e di solito più coraggioso). Quanto ai viaggi astrali, alla possibilità di lasciare questa carne per farvi ritorno, è un’esperienza liberatoria e spaventosa: si acquista la calma, ma con l’allontanarsi dal guscio inizia altresì un distanziamento emotivo che porta al non voler tornare. Non mi sono mai interessata, volontariamente, alle tecniche per potersi astrarre: paradossalmente mi spaventano. Ma posso dire per certo che quando la morte è a un passo il velo diventa sottile e l’impossibile possibile.
Ciao Micol, anch’io ho sempre avuto la tua stessa paura, pensando alla possibilita` di un viaggio astrale. Nei vari seminari a cui ho partecipato, in passato, su tecniche olistiche o spirituali, alcuni maestri ci misero in guardia. Paolo P. diceva: “State attenti perche` al ritorno potreste avere la sorpresa di non ritrovare piu` il vostro corpo”.
Forse per chi è completamente paralizzato la motivazione e` ben diversa.
Un abbraccio😊
Un racconto che abbraccia l’intero spettro delle emozioni, un’operazione non facile. Vari registri emotivi aiutano a surfare su questo rollercoster che talvolta fa sorridere ed altre commuovere, sopratutto me che con Leo condivido le stesse passioni e Visione del mondo… un ritratto sincero, che descrive ciò che il cinema, le foto, la musica non potranno mai dare: lo stato mentale, la riproduzione esatta di un pensiero e dell’emozione. Da autore dilettante, mi verrebbe da dire: “é la scrittura, bellezza.”
Grazieee!!! Che gioia leggere questo tuo commento. Vorrei svelarti qualcosa su cio` che mi ha ispirato questo racconto. Se puo` apparire abbastanza autentico e coinvolgente, il merito e` di Leo, che e` ancora vivo nel cuore e nella mente di chi lo ha conosciuto e ha sempre avuto grande stima della sua persona. Nonostante fosse impossibile per lui compiere “azioni muscolari”, la sua era una presenza attiva importante, di parole dense di significato e di uno spirito vivo, ingabbiato in un corpo inerme.
Grazie ! Ci hai fatto amare Leo, e le splendide persone che si sono prese cura di lui.
Grazie a te Nyam. Da lassù o in qualunque luogo si trovi il suo spirito, se potesse leggere ancora le nostre parole, come faceva un tempo, dalle pagine sul leggio, non escluderei una sua risposta con l’ emanazione di qualche soffio benefico.
Grazie! Mi hai fatto venire la pelle d’oca e commossa sul finale. Un tema importante, affrontato con grande gentilezza e sensibilità. La narrazione scorre via veloce e piacevolissima. Molto bello!
Grazie a te, Cristiana, per la lettura e per il commento. Mentre scrivevo questo racconto avevo ancora presente il ricordo nitido della bella persona che ho chiamato Leo. E` stato come se ci fosse lui, davanti a me, a suggerirmi le parole.
Bellissimo racconto, uno dei migliori scritti dalla tua mano sensibile ed elegante. Con molto tatto, come di consueto, hai trattato un tema molto delicato, complimenti. Spero anche io che Leo stia di nuovo volando con suo fratello
Grazie Carlo, i tuoi commenti sono sempre gentili e preziosi. Ti svelo un segreto di Pulcinella, che ci accomuna e forse appartiene a gran parte degli Openiani e degli autori in genere, aspiranti scrittori che vorrebbero far decollare le loro creazioni letterarie.
Le esperienze vissute in prima persona sono spesso la materia prima da cui attingere per le nostre storie, colorate quasi sempre dalla nostra fantasia e arricchite da elementi di varia provenienza.
Anche questo racconto, come per Villa Beldi`, è ispirato da un paziente, molto paziente e molto speciale come persona, che non ho dimenticato. A lui vorrei dedicare questa versione dei fatti un po` romanzata, sperando che la sua anima abbia trovato, davvero, luce, riposo e pace.