In trappola.
Gennaio 2021,
Un anno dal primo caso in Italia di Covid-19 confermato ufficialmente, quando due turisti provenienti dalla Cina sono risultati positivi al virus SARS-CoV-2 a Roma.
Un anno da quando la mia vita è cambiata completamente.
Se penso all’ultimo anno della mia vita i pensieri non vanno direttamente al Covid, ma quando esco di casa provo una strana sensazione di inadeguatezza se non indosso una mascherina sul volto. Avete presente quando sognate di fare shopping in piazza Duomo a Milano completamente nudi e tutte le persone vi fissano come se foste completamente pazzi? Esattamente la stessa sensazione.
Le persone camminano per le strade come prima, ma quando incontri qualcuno che conosci non lo saluti abbracciandolo, mantieni le distanze, chiedi se la famiglia è in salute e automaticamente ti pulisci le mani con l’amuchina, che involontariamente è diventata la nostra migliore alleata.
Gli amici si possono vedere quante volte lo si desideri, ma attraverso uno schermo, probabilmente a distanza di chilometri grazie alle tecnologie evolute negli ultimi anni, perché senza di quelle, anche gli amici sarebbero scomparsi da un giorno all’altro.
Il sabato sera ha assunto lo stesso significato di tutte le altre sere della settimana, con l’unica differenza che in quella sera ti senti più solo, più triste e più intrappolato in una stanza che ormai è diventata la tua casa. In quelle quattro mura che, durante i mesi di quarantena, ti hanno fatto sentire protetto e in gabbia allo stesso tempo, ma che ti hanno fatto compagnia quando nessun altro poteva farlo, che hanno creato una barriera tra te e la malattia, che ti hanno visto piangere, ridere e ascoltare il numero di morti che ogni giorno aumentavano in maniera esponenziale, sperando che tutto questo potesse finire il prima possibile.
Ma tutto questo non è mai finito, e nella seconda settimana di quarantena ho festeggiato il mio compleanno spegnendo 24 candeline di fronte ad un computer con l’immagine in miniatura dei miei amici che malinconicamente sorridevano alzando verso l’altro i bicchieri pieni di alcool trovato per casa in qualche ripostiglio.
Ho ricevuto i miei regali di compleanno via posta, tra cui uno mandato direttamente dall’Islanda.
Ho videochiamato la mia migliore amica ogni singolo giorno cercando di non farla sentire più triste di quanto non lo fossi io, cercando di strapparle un sorriso in quelle lunghissime giornate di solitudine, occupando il nostro tempo facendo le videolezioni, leggendo un libro o guardando un film facendoci semplicemente compagnia a vicenda.
Ho visto disinfettare ogni singolo oggetto che varcasse la soglia di casa, quell’odore pungente di alcool mischiato ad un aroma, altrettanto sgradevole, ai frutti di bosco non me lo dimenticherò mai.
Ho passato le ore sdraiata sul terrazzo del mio appartamento al terzo piano, guardando le nuvole spostarsi nel cielo, libere di muoversi in qualsiasi direzione desiderassero. Le ho invidiate per molto tempo.
Ho sentito il rumore delle macchine per le strade ridursi lentamente con il passare dei giorni.
Ho sentito il suono del silenzio interrompersi solamente dal rumore di quella maledetta sirena che diventava sempre più frequente.
Ho discusso la tesi di laurea magistrale di fronte alla commissione, in presenza, ma dovendo scegliere tra tutte le persone che amo, solo due persone che potessero essere lì con me, in uno dei miei giorni più felici.
Ho preparato ogni tipologia di ricetta, dolce o salata che fosse, insieme a mio padre e non dimenticherò mai quando il giorno prima di ritornare a lavorare, abbracciandomi mi disse “io sono felice, perché è come se fossi tornato indietro nel tempo a quando eri piccolina e gironzolavi per casa”. Vivere mio padre, è stata la cosa più bella di tutta questa situazione di merda.
Ho sentito i proprietari dei bar chiedere ai clienti di lasciare il tavolo entro le ore 18:00, ho visto i ristoranti sopravvivere solo con le consegne d’asporto, ho osservato le persone iniziare ad avere paura e ho visto le città spegnersi in un silenzio assordante.
Avete presente quando in città inizia a nevicare? Il rumore delle ruote delle macchine sull’asfalto bagnato rimbomba tra le strade, senti le macchine rallentare ad ogni incrocio e lentamente il numero di veicoli si riduce, fino a quando la neve non attecchisce al suolo. Da quel momento in poi, il silenzio diventa protagonista e l’unico suono impercettibile che sei in grado di ascoltare è la neve che cade lentamente. Solamente qualche bambino coraggioso che corre in giardino a fare il primo pupazzo di neve della stagione riuscirà ad interrompere questa magia.
La quarantena ti aiuta a capire molte cose, soprattutto se imposta come un obbligo. Ti insegna che tutto può arrivare inaspettatamente e svanire in un istante. Ti insegna che quando nonna ti diceva di apprezzare le piccole cose aveva perfettamente ragione, perché anche le cose che possono sembrare meno importanti, quando ti vengono strappate via dalle mani, fanno male. Ti dimostra come tu sia assolutamente insignificante in confronto al mondo, che se una pandemia globale decide di arrivare, allora significa che lo dovrai accettare, che tu lo voglia o meno. Allo stesso tempo però, ti insegna a cavartela anche da solo, ti permette di capire che anche se pensi di non farcela supererai anche quel mese, quelle settimane e quelle infinite ore di solitudine. Ma soprattutto ti insegna ad aspettare e apprezzare ogni singola cosa: il biglietto di un volo verso una meta sconosciuta, il calore degli abbracci, i brividi dei baci, il fruscio del vento tra i capelli, il freddo pungente dell’inverno, l’incredibile silenzio della neve, le risate dei bambini fuori da scuola, gli immensi pranzi di famiglia durante le feste, le indimenticabili serate d’estate con gli amici e i timidi sorrisi ai passanti che ora sono nascosti sotto le mascherine che tanto odiamo.
Ho voglia di uscire di casa senza dover pensare se il colore della mia regione me lo permette.
Ho voglia di vedere le mie amiche e abbracciarle così forte da toglierle il fiato senza dovermi preoccupare che qualcuno possa guardarci con occhi sorpresi per essere state troppo vicine.
Ho voglia di tornare a casa dai miei genitori senza la paura di poterli contagiare e vederli un giorno stare male per colpa mia.
Ho voglia di correre di gioia in mezzo ad un prato con le mani verso il cielo e sdraiarmi nei fiori, serena che nulla di brutto possa succedermi.
Ho voglia di prenotare un volo last minute con la mia migliore amica e fare le valigie talmente velocemente da dimenticarci la mascherina a casa.
Ho voglia di riprendermi indietro il tempo che mi è stato portato via senza alcun permesso.
Ho voglia di svegliarmi al mattino e sentirmi libera, perché anche se non ho le catene ai polsi o alle caviglie, sono imprigionata in un mondo che non mi appartiene.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
Ciao Francesca, la tua è una lunga riflessione perfettamente condivisibile. Questo momento storico ha messo molti di noi alle strette, abbiamo rinunciato a molto ed apprezzato di più quei piccoli doni che abbiamo ricevuto. Spero che la raggiunta “normalità” non ci faccia dimenticare tutto questo e far apprezzare la vita come mai prima
““io sono felice, perché è come se fossi tornato indietro nel tempo a quando eri piccolina e gironzolavi per casa”. Vivere mio padre, è stata la cosa più bella di tutta questa situazione di merda.”
Alcuni doni questo maledetto Covid ce li ha fatti
“Avete presente quando sognate di fare shopping in piazza Duomo a Milano completamente nudi e tutte le persone vi fissano come se foste completamente pazzi? Esattamente la stessa sensazione.”
Sensazione azzeccatissima