Incontri a distanza
Serie: L'uomo sul balcone
- Episodio 1: Incontri a distanza
- Episodio 2: Le cause e gli effetti
- Episodio 3: La farfalla
STAGIONE 1
L’uomo era sempre lì. Ogni volta che Davide si sedeva sulla sua sedia per una sigaretta, lui era lì, sul balcone di fronte al suo. I due palazzi erano separati da una modesta distanza e non era mai riuscito a vederlo in maniera nitida. Gli sembrava un uomo di mezza età, magro, non troppo alto. Aveva i capelli scuri e quando si portava un libro, Davide riusciva a intravedere lo scintillio di un paio di occhiali. Non si erano mai parlati né incrociati per strada, ma, dopo tutti quegli anni, quel momento era diventato un qualcosa di molto intimo, o almeno così credeva Davide. Spesso accompagnava le sue sigarette con un sottofondo jazz o blues e allora, strizzando gli occhi, riusciva a vedere l’uomo muovere leggermente la testa a tempo. Si compiaceva sempre nel vederlo apprezzare la sua musica. Davide adorava quei momenti di tranquilla solitudine, erano per lui dei piccoli piaceri quotidiani a cui non avrebbe mai rinunciato e, con il tempo, l’uomo era entrato a farne parte. D’altronde la sua vita era per lo più noiosa, ripetitiva, la classica routine dell’uomo medio. Era diventato tutto ciò che da ragazzo ripudiava. Un uomo frustrato, deluso dal suo lavoro e dalla sua vita e che alla domanda “come stai?” rispondeva sempre con un “si tira avanti”, seguito da un sorriso rassegnato. Aveva addirittura perso interesse nelle donne, tutto quel flirtare per poi forse finire a letto gli sembrava una fatica inutile, un vizio al quale si era già concesso troppe volte. Ormai si limitava a commentare nella sua testa le donne viste per le strade di Roma, consolandosi al pensiero che, se solo avesse voluto, si sarebbe potuto infilare senza troppa fatica tra le loro lenzuola. Non sbagliava, nonostante i suoi quarant’anni era ancora un uomo attraente, aveva mantenuto un fisico snello e longilineo, ma non privo di muscoli. Invece viveva da solo, mangiava cibi surgelati e ogni sera si godeva un bicchiere di Amaro del Capo e una sigaretta in compagnia di quell’ uomo misterioso. Si trovava spesso a fantasticare sulla sua identità. A giudicare dalla quantità di libri che divorava su quel balcone sembrava un tipo piuttosto istruito e anche i suoi gusti musicali sembravano raffinati. Indossava spesso una vestaglia grigia mentre altre volte portava un completo di colore blu scuro con tanto di cravatta, ma mai qualcos’altro. Davide, in quei quattro anni, non era mai riuscito a inquadrarlo. Gli sembrava di essersi aperto di più, attraverso la sua musica, rispetto all’ uomo che invece si limitava a leggere qualche libro del quale, inoltre, era impossibile distinguere il titolo. Eppure, era sicuro che ci fosse qualcosa di più di una semplice coincidenza nei loro “incontri a distanza”.
Un giorno di inizio novembre, Davide si era appena accomodato sulla sua sedia e, voltando lo sguardo verso il balcone davanti al suo, si accorse che per la prima volta l’uomo non stava né leggendo né gustandosi una sigaretta. I suoi occhiali scintillavano riflettendo la luce del sole e davanti a lui, su un tavolino, si intravedeva una strana forma che l’uomo stava delicatamente intagliando. Davide ne fu subito affascinato, finalmente si stava aprendo anche lui, stava mostrando qualcosa di personale. Senza pensarci troppo prese il cellulare, scattò una foto e rientrò di corsa in casa con la sigaretta ancora accesa. Il telefono era nuovo, costoso quanto inutile…fino a quel momento. Nonostante avesse ingrandito parecchio il tavolino con sopra la “scultura”, la definizione dell’immagine era ancora buona. Dal colore sembrava fosse legno e dalle forme pareva essere il corpo di una donna. Si contorceva su sé stessa e, anche da quella distanza, Davide riusciva a percepire una smorfia di terrore che le attraversava il volto. Rimase qualche secondo a fissare lo schermo del suo cellulare. L’eccitazione iniziale si era tramutata in curiosità ed inquietudine. Non capiva perché fosse così turbato da quella semplice statuetta di legno.
Da quel giorno, almeno una volta a settimana, l’uomo si presentava con un nuovo ciocco di legno da intagliare, raffigurando uomini e donne straziati dal dolore. Davide era affascinato da come quei movimenti così aggraziati, delicati e precisi potessero creare un qualcosa di così terrificante come quelle statuette. Ogni volta che l’uomo stava per finirne una, Davide scattava una foto per vederla da vicino. Non vi fu una volta che non ne fosse terribilmente inquietato. Intanto le settimane passavano, poi i mesi e, dopo una quantità indefinita di statuette e di foto diverse, arrivò il periodo dell’anno che Davide più preferiva, l’inverno inoltrato. L’inverno delle notti fredde, delle piogge torrenziali e del vento gelato che taglia il viso dei viandanti notturni. Per Davide il tempo avverso era una scusa per tenersi alla larga dal resto del mondo, dalla socialità. Si sedeva sul suo balcone e si godeva lo scatenarsi dell’ira dei cieli. Durante una di quelle notti invernali, però, Davide non era sul suo balcone, ma là fuori, nel mondo. Più precisamente nella caotica metropolitana romana, anche se, a causa dell’orario, era tutto tranne che caotica. Due ragazzi, con birra alla mano e sigaretta all’orecchio, stavano parlando delle conseguenze di un ipotetico attentato al papa.
– Seee vabbè, metti caso succede quei fasci cattolici fanno le crociate due punto zero, con bazooka e armi chimiche – disse il ragazzo al quale mancava un pezzo di carne circolare dall’orecchio.
L’altro, che sfoggiava una capigliatura apparentemente casuale ma che era di sicuro frutto di un lungo lavoro, rise sguaiatamente annuendo. Davide sospirò e fece cadere la testa all’indietro, appoggiandola sul vetro. Rivolse lo sguardo all’altro lato del vagone dove, in piedi in un angolo, c’era un uomo magro, con pantaloni larghi e logori e una felpa nera. Indossava un cappello rosso con la visiera con sopra il cappuccio della felpa. Del viso si intravedevano solo le labbra screpolate che, inarcandosi in un sorriso, mostrarono i denti sporchi dell’uomo. Due denti d’oro gli scintillarono ai lati opposti della bocca. Davide ne fu turbato, distolse lo sguardo e chiuse gli occhi. Si concentrò sul suono continuo della metropolitana sui binari e si fece trasportare dal dondolio del vagone. Per poco non si addormentò. Aperti gli occhi si accorse che sul sedile davanti a lui c’era qualcosa. Lentamente mise a fuoco e più i contorni si facevano nitidi più Davide sprofondava nell’incredulità. Davanti a lui giaceva una sua perfetta riproduzione alta forse trenta centimetri, intagliata nel legno. Era raffigurato seduto, con le gambe accavallate e con una mano si stava portando una sigaretta alla bocca. La prese frettolosamente e la mise nel suo zaino, si muoveva come se non volesse essere visto. Stava per chiudere lo zaino quando si fermò di colpo guardando al suo interno. Vi aveva riposto la statuetta con la base rivolta verso l’alto e solo in quel momento si accorse che riportava un’incisione sul fondo.
“Chi viene immortalato ha già visto calare l’ultima notte. Per te ho fatto un’eccezione.
L’uomo sul balcone.”
Chiuse lo zaino. Si alzò e uscì dalla metro. Camminando verso l’uscita si voltò, il vagone era vuoto, niente ragazzi e niente uomo inquietante. Si diresse verso casa con il cuore che gli scoppiava. Non se l’aspettava, era un gesto esplicito, non era da lui, lui che neanche lo degnava di uno sguardo nei loro “incontri a distanza”. Pensò che prima di farsi rivedere sul suo balcone avrebbe rimuginato parecchio sulla statuetta e sulla sua incisione. Non voleva farsi trovare impreparato dall’uomo, aveva chiaramente voluto mandare un messaggio e un messaggio… necessita una risposta.
Per tutta la notte non fece altro che bisbigliare tra sé e sé il testo dell’incisione. Più ci pensava più ne era turbato, era di sicuro inquietante. L’uomo all’angolo del vagone…doveva essere lui. Davide non trovava nessun’altra possibile spiegazione. Quindi lo aveva pedinato, era un’azione ben pianificata, metodica. Non pensava si sarebbe potuto spingere a tanto. Decise che era il momento di tentare un approccio diretto, anche se non sapeva bene cosa aspettarsi. Fino a quel momento gli era sembrato una persona normale, certo le sue statuette erano piuttosto macabre, ma poteva essere una scelta artistica. Quell’ultima statuetta, però, era diversa. Un atto improvviso, eclatante sicuramente non segno di una persona equilibrata. Era forse la cosa più interessante successagli negli ultimi dieci anni.
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