
Innocenza – Sindrome dell’impostore
Serie: Passato Presente e Chissà
- Episodio 1: La fiamma smeraldo
- Episodio 2: INNOCENZA – Intro
- Episodio 3: Innocenza – Il primo legame
- Episodio 4: Innocenza – Sindrome dell’impostore
STAGIONE 1
Da qui in poi, purtroppo, i miei ricordi sfumano quasi del tutto. Mantengo solo qualche flash, immagini sbiadite di quella mia prima creatura narrativa e l’intenzione di dargli un tono action che ricordasse i film di Indiana Jones.
La cosa più importante e di cui sono certo è che dopo alcune peripezie l’archeologo riuscì a localizzare la tomba, ma le sorprese che avevo in serbo per lui non erano ancora finite.
Con un colpo di scena senza assolutamente nessun senso o il più vago indizio che potesse farne intuire l’arrivo, la guida locale tradì il mio protagonista, cercando di farlo uccidere da degli spietati mercenari al soldo di un potente uomo d’affari che voleva assumersi il merito di quella scoperta straordinaria.
Ci fu una sparatoria, seguita da un inseguimento in macchina. L’archeologo spingeva la jeep al massimo della velocità, abbassandosi ogni qual volta un proiettile gli sfiorava prima un orecchio, poi un braccio.
La situazione era assolutamente disperata, perciò decisi di far tentare all’archeologo una folle manovra evasiva con la quale riuscì a far schiantare l’auto dei malvagi inseguitori.
Il mio sospiro di sollievo incrinò per un secondo il silenzio dell’aula e finalmente mi avviai verso il finale glorioso che il protagonista si era duramente guadagnato.
Il punto conclusivo fu come un interruttore, uno switch che appena posizionato sulla carta mi fece ripiombare pesantemente nel mondo reale.
Alzai la manina sudata e mi accorsi di sentirmi esausto, come se avessi appena finito uno degli allenamenti di calcio che tanto detestavo.
“Maestra, io ho finito” dichiarai con voce tremante. Con quell’esatta frase mi guadagnai la prima delle tante occhiate store dei miei compagni di scuola. Mancavano ancora venti minuti alla fine dell’ora e tra loro c’era chi ancora non era stato in grado di riempire due colonne del foglio protocollo.
“Sei sicuro? Hai ricontrollato gli errori? C’è ancora un sacco di tempo”.
“Sì maestra, sono sicuro.”
Non era vero, o almeno, non potevo essere certo di non aver commesso errori durante quella specie di trance, ma qualcosa dentro di me si rifiutava di tornare a posare gli occhi sul foglio, spingendomi ad allontanarlo quanto più possibile da me prima che lo potessi fare anche solo per sbaglio.
Con aria poco convinta la maestra si avvicinò al mio banco e raccolse il foglio, probabilmente pensando che si era già guadagnata il primo tema pieno di bestialità ortografiche e grammaticali da correggere.
Non fu così.
Esattamente una settimana dopo la maestra lesse il mio tema davanti al resto della classe, innalzandolo ad esempio da seguire per i miei compagni di classe.
Mi sentii in imbarazzo come non avevo mai fatto nella mia seppur breve vita, ma non fu la parte peggiore. Riascoltando le parole che mi avevano emozionato così tanto mentre le scrivevo non mi piacquero più, anzi, quasi me ne vergognavo.
Sapevo di aver lasciato un pezzo di me su quella carta stropicciata, mi ero messo a nudo e ciò che vedevo non mi piaceva.
Bravissimo, con tre punti esclamativi. Quello che avevo davanti era una delle più grandi aspirazioni per un bambino delle elementari, perché poteva essere scambiato coi propri genitori in cambio di nuovi giochi, il permesso di uscire una volta in più e altri preziosi premi.
Non chiesi niente di tutto questo.
Papà possiamo comprare un altro quaderno? Di quelli piccoli e con le righe grandi per favore. No, non mi serve per la scuola, lo vorrei tenere per me.
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