Interno/esterno

Mattina –camera da letto/bagno

La persona che abita la mia testa è magra, piccola, un po’ ricurva. Ma non quel ricurvo dato dall’età o da una postura giovanile sbagliata. Il tipo di ricurvo che nasce dalla riservatezza, dal non voler entrare, anche di soppiatto, nel mondo che si dipana all’esterno. È il ricurvo del collo e non delle spalle.

Se mi guardo allo specchio, però, vedo un’altra persona. Appesantita; dritta ma con le caviglie gonfie. Il gonfiore mi ha sempre disgustata: mi sembra la prova tangibile che io permetta a tutti i miei rifiuti di appropriarsi di uno spazio che reputano il loro. Ogni volta che mi guardo allo specchio, questa dissonanza tra la me che vorrei essere e quella che sento di essere appare evidente. Inizio a ripetermi che mangerò meglio, dormirò meglio, berrò più acqua. La realtà dei fatti è che non farò nulla di tutto questo. Perché poi il tempo riprende sempre a correre. E io torno sempre a pensare che il mio corpo in fondo sia una cornice. E cosa te ne fai di una cornice se è il quadro stesso a disgustarti.

Così torno sempre a lavorare al quadro e della cornice mi dimentico ancora una volta. Torno al tempo che non è mai abbastanza, alla qualità del mio lavoro che non è mai abbastanza, al mio essere brillante, che non è mai abbastanza. Sempre così, nessun cambio di programma. Fino allo specchio successivo.

Mezzogiorno – tavola calda

Il tacito regolamento della vita di società stabilisce la assoluta immoralità della consumazione di un qualsiasi pasto in solitudine. Ogni tavolino ha almeno due sedie, il bancone con gli sgabelli è previsto per lo più in quei locali anonimi da pausa pranzo rapida e altrettanto impersonale. E finché si tratta di un caffè o di una torta, quello sgarbo al buoncostume viene anche perdonato. Ma quando si sceglie consapevolmente di consumare l’intero pasto in solitudine, si diventa rapidamente l’oggetto di sguardi indagatori. Come se l’assenza di compagnia debba necessariamente essere una punizione. L’inevitabile risposta ad un torto commesso. Lo schiaffo della realtà ai suoi figli prodighi, incapaci di adeguarsi. Chi pranza da solo deve squarciare la pressione sociale con l’unica arma che gli viene concessa: “Sarà stato costretto a prendere una pausa pranzo diversa da quella dei colleghi”. A chi cena da solo, invece, rimane una sola possibile giustificazione: “Sarà in viaggio per lavoro”. In fondo, il tacito regolamento della vita di società è semplice da capire. Solo il lavoro giustifica la solitudine. A tavola. Forse sempre.

Mezzanotte – letto

Una scrittrice che avevo letto in piena crisi di mezza gioventù pandemica sosteneva di aver imparato dall’amicizia tutto ciò che sapeva sull’amore. Ed è così vero. Continuo a pensare di aver consumato il mio cuore senza aver mai amato bene nessuno. Tutti i sentimenti romantici che ho avuto sono sempre stati una tossina. Un infiltrato nel mio corpo che mi spezzava le viscere o mi chiudeva le vie respiratorie. Un fiume acido che non sapevo contenere. Ho pensato tante volte che fosse triste non aver mai vissuto un amore “vero”, di quelli silenziosi ma costanti. Poi ho iniziato a soffrire d’insonnia. E a forza di pensare ogni notte per ore mi sono accorta che dell’amore “vero” non avevo capito nulla. Ne sono sempre stata inebriata senza essermene mai accorta. L’ho sempre sentito nel mio approccio alla vita. Nella mia certezza di potermi evolvere, nel mio inguaribile ottimismo verso le sorti di un mondo che tutti descrivono come malato e che a me sembra – nonostante tutto – ancora così degno di essere salvato. L’ho sentito nell’abbraccio delle mie sorelle, che non lo sono mai state di sangue ma che mi hanno fatta sempre sentire parte di un grande respiro collettivo – perché il peso nel petto che sento ogni giorno non l’ho mai dovuto portare da sola. L’amore lo sento ancora tutti i giorni, quando, anche a migliaia di chilometri di distanza, mi sembra ancora di sentire quelle spalle su cui ho poggiato il capo tante volte in prenda ai miei attacchi di panico. Ed è questo amore a rendere sopportabile la mia incapacità di vivere delle emozioni pacate. Sono sempre uscita dagli argini, ma se questo vuol dire aver provato tutta questa fame di felicità, tutto questo bene, allora forse è stato un prezzo giusto da pagare.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Una durissima autoanalisi di una persona con l’autostima ormai agli sgoccioli, ma che ha ancora visioni ottimiste sul mondo in cui vive, sull’amicizia, sulla tangibile solidarietà di cui ha goduto. Una persona, quindi, che sa che la svolta può esserci forse in un prossimo sorriso, una nuova amicizia, un nuovo amore.

  2. Autentico, amaro e a tratti doloroso.
    Mi è piaciuto molto questa specie di flusso di coscienza, pulita nella forma ma meno nei contenuti con cui, personalmente, non ho fatto alcuna fatica ad imedesimarmi.
    Complimenti 🤍