Irene, la resa
Serie: Desideri
- Episodio 1: Il salone della Signora F.
- Episodio 2: La parola
- Episodio 3: Prima che apra gli occhi
- Episodio 4: La pacca sul sedere
- Episodio 5: Il collare di seta
- Episodio 6: Gelosia
- Episodio 7: Un ultimo tango
- Episodio 8: La lampada di Jasmine
- Episodio 9: La Voce del Desiderio – Lei
- Episodio 10: La Voce del Desiderio – Lui
- Episodio 1: I Feel Good
- Episodio 2: Marisa
- Episodio 3: La speranza di un mondo silenzioso
- Episodio 4: Si può desiderare la pace tra gli uomini?
- Episodio 5: La notte in cui chiedemmo scuse alle stelle. I
- Episodio 6: La notte in cui chiedemmo scuse alle stelle II
- Episodio 7: Lei è il fuoco
- Episodio 8: THINK
- Episodio 9: Dammi solo un motivo
- Episodio 10: La cintura
- Episodio 1: Irene, la resa
- Episodio 2: Qui giace la colpa
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
Aprì la bocca e ne uscì un suono raschiato, impastato, più vicino a un lamento che a un tentativo di parola. Portava dentro l’odore dei sottoscala e il sapore delle sigarette lasciate a metà , quelle che si spengono tra le dita quando il tempo si ferma ma la notte continua.
«Vuoi qualcosa da bere?» le chiesi, senza muovermi dalla sedia.
Lei scosse la testa. Gli occhi incassati nelle orbite, le labbra secche, le mani che tremavano anche da ferme. Disse: «Vorrei solo sdraiarmi.»
Non c’era fretta. Il pomeriggio s’era trascinato fin dentro casa con tutto il suo silenzio pesante, quello che non ti chiede niente ma ti costringe a restare.
Indossava un trench sformato sopra una vestaglia grigia. Calze di nylon strappate in più punti e un livido viola sul braccio sinistro, proprio dove la pelle si tende. Nessuna borsa. Nessun profumo. Solo quel corpo portato a fatica, come fosse stato consegnato per errore a un indirizzo sbagliato.
Non feci domande. Era la terza volta che Irene tornava. Senza preavviso, senza motivo. Una volta l’avevo trovata davanti alla porta, seduta sui gradini. Un’altra aveva suonato nel cuore della notte, e quando le aprii, disse solo: «Mi sono persa.»
Si distese sul letto lasciandosi cadere di peso. Non si tolse nulla, nemmeno le scarpe. Gli occhi si chiusero senza esitazione, come se aspettassero da ore quel buio. Le scarpe sporche di terra, un ginocchio livido, i capelli aggrovigliati sulla guancia.
Mi sedetti ai piedi del letto. La osservai. Era stanca, ma non per il sonno. Era svuotata da qualcosa di più profondo, qualcosa che nessun riposo avrebbe potuto restituirle.
Mi alzai, andai in cucina. Feci il caffè. Dopo averne bevuto una parte, l’altro lo versai in una tazza sbeccata e lo portai da lei. Lo posai sul comodino. Non si mosse. Dormiva. O almeno, ci provava.
C’erano donne che nella sconfitta diventavano dolci. Irene, invece, aveva la dignità delle cose consumate. Non cercava conforto. Cercava solo una tregua.
Accesi un disco. Billie Holiday, qualcosa che potesse parlare al posto mio. Le note giravano lente, scivolavano dentro la stanza come acqua stagnante. Mi sedetti sul divano, aprii la camicia, slacciai la cintura. Restai lì. A guardare il soffitto, a contare le crepe, a chiedermi quante volte si può desiderare la stessa persona prima che smetta di farti male.
Il pomeriggio continuava ad accartocciarsi. La luce calava a strappi. Le finestre vibravano a ogni passaggio di tram. Irene respirava piano. Ogni tanto un sussulto, un piccolo movimento del mento. Poi di nuovo immobile. Un pezzo di carne esausta. Ma viva. Perché il dolore, in certi corpi, diventa prova di esistenza.
Mi chiesi dove fosse stata. Con chi avesse dormito. Quante volte si era vestita in fretta. Quante stanze aveva attraversato senza essere vista davvero.
Quando si svegliò, non disse nulla. Si mise a sedere sul letto, si passò le mani sui capelli. I miei occhi erano ancora su di lei.
«È tardi?» chiese.
«Per cosa?»
«Per ricominciare.»
Non risposi. Forse non aveva nemmeno bisogno di una risposta. Si alzò, venne verso di me, si sedette sulle mie gambe. Il trench le scivolò via, restò con la vestaglia aperta e le ginocchia puntate ai miei fianchi.
«Mi desideri ancora?» disse.
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Da quanto vuoi farti desiderare.»
Mi baciò. Non fu un bacio tenero. Né furioso. Era un gesto di sopravvivenza. La bocca che cerca qualcosa da succhiare, anche se non sa più cosa.
«Mi scopi?» disse, con la voce rotta.
«Non adesso.»
«Perché no?»
«Perché non sei qui per scopare. Sei venuta solo a morire un po’.»
Si fermò. Il viso a un palmo dal mio. Gli occhi opachi. La pelle ruvida. Un’ombra di trucco ormai spalmata ai lati.
«Sai qual è il vero desiderio, Rocco?»
«Dimmi.»
«Essere guardata. Anche quando non si vale più niente.»
Allora la strinsi. Forte. Le mani sulle scapole, la testa nel collo. Rimanemmo così, sospesi tra un respiro e l’altro. Il suo corpo tremava. Non per il freddo. Ma per quella fragilità che arriva quando ci si lascia andare senza difese.
Non facemmo l’amore. Non dormimmo. Non parlammo più.
Lei restò qualche ora. Poi si vestì. Si sistemò i capelli davanti allo specchio, trovò una spilla sopra il lavandino e se la appuntò sul collo della giacca.
«Posso tenerla?» chiese.
«Certo.»
«Non torno.»
«Lo so.»
Aprì la porta. Prima di uscire si voltò.
«Quando desideri qualcuno che non ti vuole, ti senti vivo. Ma quando qualcuno ti desidera e tu non puoi ricambiare, è lì che comincia la resa.»
Uscì senza sbattere la porta.
Il disco girava ancora. Le tende si muovevano appena. Sul pavimento c’era la sua impronta, un’ombra lasciata dai talloni. Mi alzai, presi la tazza che aveva lasciato sul tavolo, la annusai. Dentro c’era ancora il fondo del caffè, freddo e denso.
Lo bevvi tutto. Era amaro. Perfetto.
Serie: Desideri
- Episodio 1: Irene, la resa
- Episodio 2: Qui giace la colpa
“Restai lì. A guardare il soffitto, a contare le crepe, a chiedermi quante volte si può desiderare la stessa persona prima che smetta di farti male.”
Già ! Quante volte? Vorrei saperlo anch’io.
Ciao Rocco, tu scrivi bene, sei un bravo autore, ammiro la tua capacitâ di spaziare con personaggi femminili sempre molto diversi tra loro e sempre con un loro fascino particolare. Questa storia non é da meno. L’ ho letta sperando, riga dopo riga, che ci fosse ancora tanto da scoprire, per poter capire chi fosse questa strana donna misteriosa. E mi dispiace non sapere cosa sia successo, in precedenza, tra Rocco e Irene.
Un racconto intenso, viscerale, pieno di immagini che restano addosso: sembra di sentire l’odore nella stanza, il silenzio che pesa, il dolore che si muove sotto pelle. La scrittura è asciutta e ferita, e proprio per questo potente. Irene è un personaggio che non chiede empatia, eppure la trascina con sé.
Sono quelle pagine che, dopo averle lette, ti fanno pensare: avrei voluto scriverle io.
Grazie Lino per aver letto ed espresso il tuo giudizio. Pensa che ho avuto ispirazione da una frase letta in un romanzo giallo.
L’immagine finale del caffè, amaro ma perfetto, è simbolo di quegli amori che si consumano in fretta e lasciano l’amaro in bocca anche se sappiamo che ne vorremo ancora.
Un racconto ben costruito con i dialoghi che danno ritmo a una narrazione volutamente lenta. Apprezzo molto quando sento che l’autore si è preso il giusto tempo della scrittura.
Grazie per aver letto e per aver individuato il fulcro del racconto. Difficile è stato, in effetti, trovare le parole adatte per esprimere al meglio i personaggi .