Italo

Serie: Insonnia


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: - Non saprei, penso sia una cosa estemporanea – continuo, consapevole che qualsiasi cosa avessi detto si sarebbe persa nell’attimo stesso in cui la dicevo.

Di nuovo silenzio. Di nuovo quello sguardo perso, come se le pesanti cataratte che gli offuscano gli occhi scuri imprigionassero la sua coscienza.

– Generale, inizia a fare freddo, cosa dice se invece di aspettare qui l’accompagno a casa e poi torno io a comprare quello di cui ha bisogno? – domando cercando di prendere in mano la situazione.

– Brunetti! – esclama – Dovrebbe sapere che ho fatto la campagna di Russia! Questo non è freddo, lì si che si rischiava di perdere le dita dei piedi!

– Mi scusi Generale, ma come suo attendente insisto! Certi tipi di incombenze non spettano al suo grado, ci sono io per queste cose! – riprovo.

– Brunetti la finisca! Io posso comandarla in caserma, ma a casa comanda mia moglie e se mi dice di andare a prendere il latte per il piccolo io devo tornare con il latte!

– Allora intanto ci alziamo e andiamo a vedere se l’altro supermercato è aperto, così poi l’accompagno a casa? Cosa ne dice? – insisto.

– Brunetti! Ma come si permette? Mi ha preso per un vecchio rincoglionito che non è in grado di comprare un litro di latte! – mi urla addosso inondandomi di schizzi di saliva.

– Ma no Generale, cosa ha capito? Non la sto assecondando! Passavo di qua quando l’ho incontrata e mi faceva piacere fare una passeggiata in compagnia – cerco di correggere il tiro.

Nel momento in cui finisco la frase il passaggio del camion della spazzatura lo distrae.

Si gira di scatto spezzando il sottile filo con cui avevo retto la sua precaria attenzione. Sconsolato mi piego in avanti e appoggio la fronte sulle cosce. Rimango immobile in quella posizione cercando di rimettere in fila i pensieri. Pochi secondi e una mano gelata inizia ad accarezzarmi dolcemente i capelli. Non dico nulla.

– Italo! Non hai visto il camion passare? È come il tuo, quello che ti ha regalato lo zio! – mi dice con dolcezza – Smettila di piangere, alza un po’ quella testolina e guardami? Finiscila di fare i capricci!

Confuso alzo la testa e lo guardo stupito. Fa un sorriso enorme e sembra quasi che i suoi occhi prendano vita in un guizzo di allegria.

– Bravo piccoletto! Cosa dici se andiamo a prenderci un gelato? – mi dice raggiante.

– Papà ho tanto freddo! Mi porti a casa! – rispondo con voce tremante.

– Si Italo, hai ragione, è meglio che andiamo a casa se no ti ammali – mi dice apprensivo.

Si alza lentamente aiutandosi con una mano da un lato e il mio braccio come appoggio dall’altro. Inizia ad allontanarsi a piccoli passi, si ferma e mi incalza:

– Dai piccoletto, stammi vicino che ci sono le macchine!

Mi alzo e inizio a camminargli a fianco controllando il suo lento incedere sui piedi malfermi. Arrivati al passaggio pedonale, a una cinquantina di metri dalla panchina, il generale si ferma e mi fissa. Il suo sguardo di nuovo perso si mischia al mio terrore di dover ricominciare tutto da capo. Un attimo di panico.

– Italo, dammi la mano che dobbiamo attraversare – mi rassicura.

La mano si stringe sulla mia, non capisco se in un tentativo di protezione o di appoggio. Lascio fare e lo seguo trattenendolo dove serve e lasciandomi guidare assecondando la sua premura paterna.

Passiamo la piazzetta davanti alla chiesa e giù a sinistra nella parte di via Faggin che non faccio quasi mai perché casa mia è dalla parte opposta. Una serie di case singole degli anni Cinquanta, una simile all’altra, ci accompagna lentamente fino ad un cancello spalancato su un giardino ingombro di erbacce. Lo attraversiamo su un vialetto di pietre sconnesse che precede il portico e la porta di casa anch’essa spalancata.

Entriamo al buio. Libero la mano dalla sua morsa e lo lascio in piedi impalato a guardare il vuoto. Mi giro verso l’entrata e, trovato l’interruttore della luce, la accendo. Una cucina vecchio stile in legno scuro, sul tavolo il piatto della cena o forse del pranzo ancora apparecchiato. Puzza di marciume a impregnare l’aria. Disordine e polvere ovunque.

Il generale inizia a camminare con il suo incedere lento e claudicante verso una porta dalla parte opposta della stanza. Lo seguo in silenzio. Entrati in reparto notte vengo investito da un intenso odore di chiuso. Ancora alcuni passi nella penombra e mi faccio accompagnare nella sua camera. Un enorme letto matrimoniale sfatto di lenzuola sporche e un grosso armadio scuro. Sulla parete opposta all’entrata, appesa al muro, una sciabola da alta uniforma dell’Arma circondata da gagliardetti militari.

Il generale si avvicina al letto e con un gesto lento accende la vecchia lampada sul comodino dove troneggia la foto di una bella donna mora con in braccio un bambino sorridente. Lo raggiungo e lo aiuto a togliersi la vestaglia. Si gira e porgendomi entrambe le mani lo aiuto a sedersi sul letto. Abbassa lo sguardo per sfilarsi le ciabatte, quando lo rialza mi fissa intensamente e un sorriso triste si disegna sulle sue labbra. Per la prima volta in quella lunga notte vedo nei i suoi occhi un barlume di disperata, lucida consapevolezza.

Si piega per accostare la testa al cuscino mentre lo aiuto nel movimento di stendersi accompagnando le gambe. Chiude gli occhi. Lo copro sistemando le lenzuola e raccogliendo la coperta scivolata in fondo al letto. Rimango lì, in piedi, ad osservarlo per qualche minuto. Allungo una mano, gli faccio una leggera carezza sul viso.

– Buonanotte papà! – sussurro prima di andarmene.

Serie: Insonnia


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Leggendo la prima parte di questo splendido racconto, mi chiedevo a chi dei due giovasse maggiormente quell’incontro. Ora, dopo aver concluso la lettura, non ho più alcun dubbio. Complimenti Piergiorgio e grazie per quella lacrima ‘strappata’.

  2. Chissà se aveva più bisogno il generale di un figlio o il protagonista di esserlo di nuovo, semplicemente per poter dire, buonanotte papà!
    Bellissimi questi due episodi, un’ironia dolcissima con un retrogusto amaro accompagna i dialoghi e il rapporto che si crea tra i due. Mi hai ricordato che a volte ci si aiuta e ci si salva di più tra estranei che tra conoscenti da una vita…

  3. Amo chi ama l’umanità, tutta. Basterebbe così poco… un po’ di pazienza e la sana consapevolezza che siamo noi il Generale e siamo sempre noi quelli che incontra. Il resto? Ce lo mettiamo noi se ancora, di umanità, ne abbiamo un briciolo. Bravo Piergiorgio!