Ketogenic (3)

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Per quale ragione soccombere al modo di fare minaccioso di quei due? La risposta era all’interno del pacchetto che tenevo in mano.

Una vaschetta di plastica rigida con coperchio blu a pressione, uno di quei banali contenitori per alimenti adatti alla conservazione in frigorifero e al passaggio nel microonde. Da irriducibile single non potevo non conoscerli bene.

Guardai l’uomo di fronte a me. Lui annuì con un accenno di sorriso. Sollevai il coperchio e fui investito da una zaffata di fetore putrescente. Richiusi immediatamente il contenitore.

«Ma che cazzo…» esclamai facendo l’atto di buttare a terra il contenitore. L’uomo mi fermò con una presa al braccio, come se avesse previsto la mia reazione.

«Potrà gettare tutto più tardi. Adesso deve controllare… Così vuole il suo tutor.»

«La prego.» Il suo sorriso si allargò mentre spingeva la mia mano e ciò che teneva verso di me.

«Lei è pazzo! Se crede di spaventarmi…» Tentai di svicolare, ma anche in questo caso l’uomo mi bloccò con una presa al braccio libero.

«Forse» aveva risposto. «Per ciò che concerne la mia pazzia. Per quanto riguarda la sua paura, invece…» Lasciò la frase in sospeso, certo che a convincermi sarebbe stata la sua pistola che mi aveva discretamente mostrato sollevando il lato sinistro della giacca. Non avevo più voglia di lottare.

«Controlli. Adesso. Così vuole il suo tutor.» Era un ordine.

Trattenendo il respiro sollevai di nuovo il coperchio blu. Dentro, una specie di gelatina bianco-giallastra riempiva il contenitore oltre la metà. Istintivamente guardai ancora verso gli occhi del mio interlocutore. Come prima, lui annuì. L’aumento del tasso di anidride carbonica nel sangue mi costrinse a respirare. Avevo bisogno di ossigeno e lo ottenni espirando l’aria esausta che avevo trattenuto nei polmoni e subito dopo ispirando una immensa quantità di aria fresca. Insieme a una dose massiccia di tanfo di putrefazione. Infilai un dito dentro quella poltiglia gelatinosa e sentii che copriva qualcosa di appena più consistente. Non guardai più verso l’uomo di fronte a me, sapevo che avrebbe semplicemente annuito, e andai avanti a cercare non so cosa al di sotto dello strato di copertura. Infilai il secondo dito per poter prelevare un pizzico di quel materiale sepolto.

«Carne tritata?» Mentre pronunciavo quelle parole fui scosso da un conato di vomito. Mi ripresi subito, dall’uomo di fronte a me non arrivava alcun cenno di risposta. Tornai a pinzare con pollice e indice il contenuto della vaschetta e andai avanti fino a svuotarla gettando la poltiglia, insieme a qualche piccolo pezzo più duro, a terra. L’odore era diventato insopportabile. Lasciai cadere anche il contenitore di plastica e presi il fazzoletto dalla tasca tentando invano di togliere dalle mani unto e fetore. Pensai che non sarei più riuscito a pulirmi.

Mi costrinsi a cercare ancora gli occhi dell’uomo di fronte a me. Speravo in una spiegazione, ma sapevo che non sarebbe arrivata.

«Cosa significa tutto questo?» provai a domandargli indicando verso terra. «Cos’è quella merda?» Parlavo a voce bassa, per paura che qualcuno dei miei vicini potesse essere incuriosito da quella strana situazione. Il timbro, invece, era salito di un’ottava, tanto che facevo fatica a riconoscere la mia stessa voce, stridula, querula.

«Trascorra una buona serata.» La voce arrivava da dietro. Mi voltai e mi ricordai dell’altro uomo che era rimasto nell’ombra e che avevo del tutto dimenticato.

«Il suo tutor le ricorda che ci sono molti modi per perdere peso. Sta a lei scegliere il metodo che intende seguire.»

Rimasi solo, fermo davanti al portone di ingresso. Guardai a terra, cercando di respirare il meno possibile per evitare il fetore che non tendeva a disperdersi. Decisi di entrare in casa e prendere un secchio d’acqua per lavare via tutto. Prima di voltarmi fui attirato da un piccolo frammento che avevo percepito al tatto con i polpastrelli immersi nella poltiglia. Mi chinai, trattenendo il respiro, e lo presi con cautela. Non volevo credere a ciò che ormai avevo capito, per cui indugiai per qualche istante con quel piccolo oggetto biancastro finché diventò rovente come fosse stata una rondella di ferro incandescente invece che una semplice unghia umana, con qualche brandello di carne e di pelle attaccati alle estremità. Emisi un verso che di umano aveva poco mentre la lanciavo il più lontano possibile da me. Una sola frase risuonava continua nella mia mente: ci sono molti modi per perdere peso.

Salii di corsa le scale verso casa. Vaffanculo anche il secchio d’acqua: volevo solo chiudere la giornata con mezz’ora di doccia calda per ripristinare il regolare scorrere dei pensieri. Avrei pensato dopo al da farsi: contattare l’azienda? Oppure direttamente la Polizia? Non ebbi neppure il tempo di entrare in casa che udii lo squillo del telefono.

«Un consiglio, da amico.» Era il mio tutor, nessun convenevole. «Anzi, due, allo stesso prezzo.» Rise.

«Tenga stretto il terzo jolly, glielo dico come amico. E se ha intenzione di avvisare qualcuno, lasci perdere. Operiamo da anni e il suo è un caso come molti altri. Pensa che nessuno ci abbia provato? Che fine hanno fatto? Ha mai sentito lamentele sulla nostra attività? Da amico, lo ricordi!»

Seguii soltanto uno dei due consigli.

Così, la sera stessa, giocai l’ultimo jolly. Questa volta da solo, ingurgitando qualsiasi cosa di commestibile trovassi in casa e tracannando più di mezza bottiglia di cognac che resisteva ormai da troppo tempo nel fondo dell’armadio dove l’avevo accuratamente nascosta fingendo di non sapere più dove fosse.

Il mattino mi sorprese sul divano, distrutto dal micidiale miscuglio di alcol e assurdità degli eventi della sera prima. Cercai lo smartphone per capire che ora fosse, ma data la luce che filtrava dalle finestre era ovvio che avessi superato il limite per effettuare il test quotidiano del mio peso. Mi pesai comunque e anche il numero che comparve sul display della bilancia volle tradirmi.

Il telefono squillò meno di trenta secondi dopo.

Un invito a presentarmi presso una delle sedi della NoMoreFat srl per un colloquio con il mio tutor.

«Si vesta ed esca di casa. Adesso. Troverà la nostra auto di servizio con due dei nostri incaricati che la porteranno da noi.» Era la voce femminile calda e rassicurante che avevo già sentito in altre occasioni.

Eppure mai come in quell’occasione mi ero mai sentito meno al sicuro.

Serie: L'angoscia e l'ignoto


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Discussioni

  1. Fine dei jolly, fine dei giochi? E nel mentre gli interrogativi su quale possa essere la finalità (o il senso) di tutto questo si moltiplicano… l’unghia tra la poltiglia era un tantino scontata, ma aspetto il finale. Intanto, grazie per la dose odierna di schifezze 🙂 ciao