Ketogenic (4/6) – Un modo per perdere peso

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ... mai come in quell’occasione mi ero sentito meno al sicuro.

E ne avevo tutte le ragioni.

Il viaggio fu breve. L’autista e il suo compare mi fecero accomodare sul sedile posteriore di un vecchio SUV, anonimo quanto bastava per passare inosservato. I vetri laterali erano oscurati, ma una volta seduto in auto dovetti comunque indossare una mascherina cieca. Percorremmo alcuni tratti cittadini, per poi proseguire su strade più scorrevoli. Durante alcune brevi soste a motore acceso, immaginavo per via dei semafori, avevo pensato di aprire una delle portiere e fuggire da quella situazione che stava diventando talmente assurda che l’orrore, che comunque avrei vissuto poco dopo, non si era ancora presentato. Ma mi limitai a pensare e non tentai la fuga, anche perché ero certo che le portiere posteriori fossero bloccate.

Dopo non più di mezz’ora ero seduto su una sedia in un ambiente freddo e abbastanza ampio da farmi percepire chiaramente il riverbero dei rumori e delle voci. Avevo ancora la maschera sugli occhi e la mia immaginazione iniziava ad allentare i freni forniti dalla lucidità mentale. Qualcuno dietro di me mi ammanettò alla sedia e mi restituì il senso della vista.

Fu in quel momento che il terrore si impadronì della mia mente.

Era un grande ambiente, su questo punto avevo indovinato, vuoto, molto alto, con pavimenti e pareti in cemento. La luce del giorno entrava attraverso due ampi lucernari sul soffitto. Oltre alla mia, altre sedie  formavano un piccolo semicerchio che si apriva verso il centro di quello spazio, come una parabola disposta in modo che gli sguardi degli ospiti convergessero verso il suo punto focale. Notai con un certo disappunto che in quel momento ero io l’unico ospite. E notai con un’ondata di terrore che il punto focale era occupato da una barella di acciaio lucido sulla quale era disteso il corpo di un uomo, o forse di una donna, coperto da un lenzuolo bianco. Le forme erano massicce, il ventre e i fianchi di quel corpo gonfiavano il lenzuolo.

Sentivo che i muscoli del mio corpo erano sul punto di cedere, così come  quel poco di lucidità mentale che ancora mi sosteneva. Pensavo a come poter venir fuori da quella situazione; avrei potuto piangere e implorare i miei carcerieri di liberarmi, di non farmi del male. Temevo un incontro ravvicinato con quel cadavere ancora coperto dal poco rassicurante telo bianco. Fui terrorizzato dall’idea che mi facessero assistere alla sua autopsia. Di fronte alla barella metallica e al suo occupante velato mi venne in mente ogni possibile evoluzione della situazione in cui mi trovavo. Il mio pensiero stava virando verso gli scenari più cruenti, quasi un modo per esplorare gli orrori più abominevoli e poi tirare un sospiro di sollievo quando la realtà si fosse presentata meno terribile di quanto avevo immaginato.

Ma nessuna scena creata dalla mia mente fu sufficiente a prepararmi a ciò che avrei vissuto quella mattina. Iniziai a piangere e urlare, scalciando e dimenandomi per tentare di liberarmi dalle manette che mi bloccavano alla sedia, quando vidi che il lenzuolo bianco non era immobile come avevo creduto fino a quel momento, ma con un ritmo regolare si alzava e si abbassava sul ventre prominente di quell’uomo, o donna, disteso sulla barella di acciaio lucido. Lo capii dopo pochi minuti: era un uomo. Ed evidentemente non era morto, almeno non ancora. E dopo altri pochi minuti eravamo in due a urlare: lui di dolore, io di terrore.

«Ci sono molti modi per perdere peso.»

Mi voltai di scatto verso la direzione di quella voce e mi ritrovai di fronte al mio tutor. Rimasi in silenzio per qualche istante per poi riprendere a urlare, questa volta verso un obiettivo preciso. Ma smisi subito, quando comparve uno dei due uomini che avevo conosciuto davanti al portone di ingresso di casa. In mano aveva un piccolo oggetto metallico: non ero esperto in materia, ma non feci fatica a capire che si trattava di un bisturi quando la sua mano lo portò a pochi centimetri dal mio viso. Volsi lo sguardo verso il mio tutor, senza dire nulla. Le lacrime e i singhiozzi parlavano per me.

«Un metodo che spesso viene utilizzato, inutile a mio parere, è la liposuzione» disse mentre faceva cenno con il capo verso alcune persone che indossavano camici, maschere, occhiali e guanti e che si avvicinarono al paziente.

Non siamo in sala operatoria! Avrei voluto gridarlo in faccia a quell’uomo, ma mi costrinsi a urlare solo nella mia mente.

Il mio tutor prosegui spiegandomi nei dettagli la procedura. Penso fosse una spiegazione degna di una lezione di chirurgia estetica.

Omise solo un piccolo particolare.

Non nominò mai la parola anestesia.

Un rumore attirò la mia attenzione verso il punto focale. Un ronzio che proveniva da una apparecchiatura accanto alla barella. L’uomo obeso non aveva più il lenzuolo che copriva le sue nudità e io mi sentii a disagio per lui. Ma senza quel lenzuolo a guisa di protezione vidi che l’uomo aveva braccia e gambe fissate al tavolo con alcune cinghie talmente strette da affondare nello strato adiposo. Vidi anche che era sveglio, sebbene ancora intontito da qualche sostanza che senza dubbio gli era stata somministrata in precedenza.

Si svegliò in fretta, appena le persone in camice iniziarono a incidere i suoi fianchi e il suo addome e piantare in quei tagli tubi metallici collegati al macchinario che adesso emetteva un ronzio più intenso.

Non resistetti e ripresi a urlare. L’uomo sulla barella inarcò la schiena finché le cinghie glielo permisero, poi iniziò anche lui a gridare come non avevo mai udito in vita mia.

Avvertii qualcosa di caldo lungo le gambe. Guardai in basso e capii che la vescica non aveva retto. Iniziai a piangere.

Poi vidi la sostanza giallastra che veniva estratta. Grumi gelatinosi e schizzi di sangue stavano creando uno strato intorno alla barella. Nuove incisioni venivano praticate sul corpo dell’uomo e nuovi tubi le penetravano. Ricordai la scatola di plastica rigida con il coperchio blu e le mie dita che affondavano in quello strato fetido. Senza preavviso anche il mio stomaco non resse.

Ma quello che credevo fosse l’apice dell’orrore, non ne era che l’inizio.

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Nessuna finezza, hai ragione. E forse ciò che genera paura/orrore è proprio questa discesa verso le sensazioni fisiche. Come dicevo, ho voluto provarci. Spero che tu abbia voglia di dare uno sguardo anche agli episodi successivi. Un parere da un’amante del genere è molto gradito 🙂
    Grazie!

  2. Bello! Mi è piaciuto e mi ha convinto. L’artificio di cui hai deciso di servirti è talmente raccapricciante da far stringere lo stomaco del lettore. Avevo temuto che il contenuto della scatola fosse proprio quello e vedo che non hai deluso le aspettative. Il genere splatter, ammetto mi piace molto e credo non debba mai servirsi di certe ‘finezze’ di cui altri generi si servono. Pertanto, proseguiamo giù, giù, fino a toccare le nostre paure più basse. Bravo ☺️

  3. Come esperimento splatter continui a convincermi, ti sta riuscendo benone. Più che paura ho avvertito forte il disgusto, lo sconcerto. E anche lo shock di una liposuzione senza anestesia! Avevo il sospetto che la poltiglia arrivasse da qui…ora temo di sapere cosa accadrà nel prossimo episodio, se davvero siamo solo agli inizi del peggio che deve venire…

    1. Devo confessare che non vedo l’ora di scrivere la parola fine su questo racconto. Ci sto provando, ma più vado avanti e più mi rendo conto che non riesco ad appassionarmi al genere.
      Spero che anche il seguito riesca a convincerti…
      Tornerò presto all’horror e alla paura di altro tipo. Intanto godiamoci le temperature di questi giorni di agosto.

    1. Ciao Roberto. Il fatto è che sta diventando pesante arrivare alla fine di questa “cosa simil-splatter”… Però ormai mi sono lanciato. E qui entra in gioco la potenza di questo gruppo: ho pubblicato alcuni episodi, mica posso interrompere, no? 🙂

  4. Ciao Antonio, direi che in questo episodio hai messo tutti gli ingredienti tipici. C’è qualcosa, che non sono riuscito a identificare, che mi porta però a immaginare un incubo, piuttosto che a una situazione reale terrifica… come se ciò che mancasse fosse un robusto collegamento alla realtà. Non so se questa cosa sia ricercata o meno, ma credo che ostacoli lo scaturire della paura nel lettore; almeno per me. Grazie per la nuova lettura

    1. Ciao Paolo. Grazie per il tuo commento.
      Sono considerazioni importanti, perché permettono di valutare come il lettore interpreta ciò che si scrive. Questo mi porta a rileggere in modo critico…
      Per quanto riguarda gli ingredienti tipici, sono sempre più convinto che il genere non sia quelli che esplorerò in futuro. Ma ormai sono in gioco e vado avanti 🙂
      A presto!