Ketogenic (5/6) – Mangia!

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ciò che credevo fosse l’apice dell’orrore, non ne era che l’inizio...

L’uomo disteso sulla barella aveva smesso di urlare. Pensai al peggio, sempre che potesse esserci qualcosa di peggio di ciò che stava vivendo, di ciò che stavamo vivendo. Mi costrinsi a guardare il suo viso, una maschera di terrore e dolore, la bocca spalancata, gli occhi serrati. Vidi il suo corpo sussultare e il petto contrarsi e distendersi in modo spasmodico, come alla ricerca di aria. I sussulti divennero più veloci finché raggiunsero una frequenza che non credevo possibile. L’uomo aveva ripreso a emettere suoni. Non più urla, ma un lamento continuo che variava di intensità e tono seguendo gli spasmi.

Non ricordo quanto andò avanti quel tormento, ma mi accorsi che le persone in camice intervennero con alcune iniezioni che ebbero un immediato effetto calmante. Non lo ebbero su di me: quell’improvviso silenzio era rotto da un urlo che mi accorsi provenire dalla mia bocca. Riuscii infine a tornare in me, ma fu una condizione che non durò che un attimo. Uno degli infermieri teneva in mano un attrezzo che non riconobbi subito. Fu il sibilo che udii a darmi la risposta e a far ripartire le mie urla di terrore. L’uomo in camice si avvicinò alla barella di acciaio e iniziò a lavorare sulla mano sinistra del paziente, con precisione e perizia, fino a quando la mano stessa acquisì una nuova forma. L’anulare e il mignolo, e tutta la parte esterna della mano fino al polso, erano diventate parte del pavimento che era stato di cemento grigio e che via via stava cambiando di colore e consistenza. L’odore intenso del sangue sostituì quello più lieve che immaginavo provenisse da ciò che era stato tirato fuori da quel corpo.

Svenni.

Quando mi ripresi notai che la barella e il suo ospite erano stati portati via. Ero ancora seduto sulla sedia ma non avevo più le manette. L’odore ferroso era ancora forte. Cercai di non guardare a terra. Oltre me erano presenti una donna che indossava il camice, la mascherina e i guanti, e due uomini fermi ai miei lati.

E lo vidi. Il contenitore di plastica rigida che la donna stava portando verso di me. Questa volta mancava il coperchio: pensai che non servisse, dato che conteneva materiale fresco. Tentai di voltare la testa lontano da quell’orrore, ma due mani forti mi fecero desistere riportando il mio sguardo verso la donna che avevo di fronte. Rispetto al primo incontro con il contenitore di plastica almeno un punto giocava a mio favore: quei grumi non emanavano il fetore che ricordavo bene. Anche il colore era diverso, più tendente al giallo. Sapevo che avrei avuto un nuovo incontro ravvicinato con il suo ripugnante contenuto; sapevo che avrei dovuto ancora affondare le dita dentro quel budino giallognolo e oleoso. Guardai la donna che mi rispose annuendo con il capo.

Sul mio viso si alternavano espressioni di disgusto e di supplica. Le mie dita iniziarono a esplorare l’interno della vaschetta. Mi sforzavo di reprimere i conati che si susseguivano e fino a un certo punto riuscii a vincerli. Mi sconfissero solo quando i miei polpastrelli incontrarono e purtroppo estrassero qualcosa di più consistente. Pensai subito all’unghia e in effetti di unghie ce n’erano due. Attaccate alle rispettive dita e a un brandello di carne sanguinolenta e a qualche spuntone osseo. Non ebbi più la forza di urlare. Il mio stomaco buttò fuori qualche grammo di acidi gastrici, nient’altro.

«A-Acqua» riuscii a balbettare con un filo di voce rivolgendomi alla donna di fronte a me.

«Potrà bere, dopo.»

Avrei voluto ribattere, pregare, supplicare di poterne avere subito, ma rimase un pensiero inespresso, perché davanti ai miei occhi, ben saldo nella mano della donna, la mano che non reggeva il contenitore di plastica, comparve un cucchiaino metallico.

Ricordo solo una parola: «Mangia!»

Non ricordo nient’altro, e forse è meglio così.

Mi riportarono a casa dopo un colloquio con un uomo che vedevo per la prima volta. Mi avevano permesso di fare una doccia e mi avevano fornito una tuta e indumenti intimi puliti perché riprendessi un aspetto umano. Notai che tutti gli indumenti erano nuovi e della mia taglia.

«La ringrazio per aver collaborato» iniziò l’uomo con un tono professionale. «Non le sarà sfuggito che tra ieri sera e questa mattina ha utilizzato l’ultimo bonus che aveva a disposizione.»

Lo guardai senza rispondere.

«L’uomo che ha conosciuto, diciamo, di vista li ha terminati un po’ di tempo fa.»

Non mi accorsi che avevo smesso di respirare finché il mancato scambio gassoso nel mio organismo agì per me. Ne venne fuori un suono che in un altro contesto avrebbe strappato più di una risata.

«No…» continuò l’uomo in tono che voleva essere rassicurante. «Non è morto, stia tranquillo. Aveva solo bisogno di un motivo per ricordare, come dire… un appunto da aver sempre sotto mano, mi perdoni la freddura.»

Il ricordo di tutto ciò che era avvenuto quella mattina rischiava di farmi sprofondare nel baratro.

«Ma è un buon cliente, siamo sicuri che si riprenderà e porterà a termine il suo impegno con rinnovato entusiasmo.»

Una sola cosa avrei voluto avere in quel momento: una pistola, carica. Il coraggio di usarla non mi sarebbe mancato.

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Mi è piaciuto, riuscito il senso di oppressione, ma forse siamo arrivati alla fine un po’ troppo di corsa, un po’ troppo effetto deus ex machina che scende dall’alto e con la spada infuocata ammazza i cattivi e salva il protagonista.

    1. Ciao Roberto. Hai ragione, ma ci sono due motivazioni. La prima è che non vedevo l’ora di finire questa storia e quindi ho barato. La seconda è che la storia non è ancora finita… 🙂

        1. Ma resta il fatto che comunque hai ragione (vedi la prima motivazione della risposta precedente…) 🙂