Ketogenic (6/6) – Epilogo

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Se avessi avuto una pistola carica il coraggio di usarla non mi sarebbe mancato.

Poco meno di venti minuti. È il tempo che mi resta per buttar fuori ancora qualche grammo. Non ho più la forza di reagire, la bocca e la gola mi supplicano per avere una goccia d’acqua. Mi chiedo quanto pesa un dito, per esempio il quinto dito dei piedi. A cosa serve? Posso farne saltare uno, il sinistro che serve ancora a meno, pesarlo e capire come proseguire. E se non riuscissi più a restare in piedi? Significherebbe l’impossibilità di pesarmi in tempo. E il sangue che si spargerà sulla bilancia altererà i miei dati? Non posso rischiare contro quei fottuti bastardi.

Però… Il sangue. Se taglio via il mignolino (lo so che non si chiama mignolo) ne perderò un ettolitro, e a me ne bastano pochi grammi. Ma se svenissi? Se non riuscissi a pesarmi in tempo

Trenta grammi.

Trenta grammi di sangue posso anche ricavarli da una ferita! Cazzo! Non serve un’amputazione. Un taglio neppure troppo profondo dovrebbe essere sufficiente e se lavoro bene non mi lascerà cicatrici visibili. Potrei tagliuzzare qui e là.

Trenta grammi. Se non ricordo male il sangue pesa poco più dell’acqua. Trenta grammi, poco meno di trenta millilitri. Meno di un quarto di un bicchiere. Una siringa…

Una siringa dovrei averla.

E se tentassi un prelievo?

No. Non sono in grado di farlo.

E basta con le stronzate. Prima agirò, prima potrò bere. Senza esagerare, però, perché domani si ricomincia. Finora non mi hanno fatto realmente del male, perché ero protetto dai bonus. Quel povero Cristo sulla barella no. Qualsiasi cosa per evitare un nuovo contatto diretto con loro. Qualsiasi rinuncia per arrivare al peso concordato. Qualsiasi cosa…

Prendo il coltello per sfilettare dal cassetto delle posate. Costa un occhio, è originale giapponese.

Mi siedo a terra, le gambe raccolte. Ho deciso di incidere la parte alta del polpaccio. Ho preparato una piccola scodella per la raccolta del sacro fluido e una bilancia da cucina per pesarlo. La lama è affilatissima. La avvicino alla gamba.

Mi viene un dubbio. Devo disinfettare?

«Ma di che cazzo ti preoccupi?» Parlo da solo, a voce alta. Ho bisogno di un alleato e il suono della mia voce è l’unica opzione disponibile in questo momento.

«Ti hanno fatto mangiare brandelli di grasso umano e succhiare dita mozzate… che minchia vuoi disinfettare?»

«Sì, hai ragione» mi rispondo. «Adesso però fallo.»

Sto sudando. Mi passo la mano sul viso e tra i capelli per detergere qualche goccia e lanciarla lontana da me. Anche le gocce di sudore pesano.

E…

«Maporcadiquellavaccavigliaccafottuta!»

«Maporcadiquellavacca!»

«Maporcadiquella…»

«I capelli! I capelli i capelli icapellicapellicapelli!»

«Quanto pesano i capelli? Sono tanti i miei capelli, e abbastanza lunghi, i miei capelli.»

Scaravento a terra il coltello, come se fosse diventato rovente tra le mie mani. Mi alzo di scatto e corro verso il bagno. Il rasoio a batteria è carico. Mi chino sul lavandino, un inchino di commiato alla mia chioma. Il rumore e la vibrazione delle lame non sono mai stati così musicali. Non imposto alcuna regolazione per la lunghezza di taglio e parto dalla base del collo. Ciuffi di capelli scuri, con evidenti intrusi bianchi, cadono sul lavandino e a terra. In due minuti tutto è compiuto. Faccio schifo, sembro una pallina da tennis. Ma penserò più tardi ai dettagli.

Novantasei virgola dodici.

Il flusso d’aria che sale dai polmoni ha la forza di un compressore; passa attraverso le vie aeree fino alla laringe per esplodere espulso dalla cavità orale. L’urlo quasi sovrumano mi spaventa. Ma prosegue e si ripete. Spero che i miei vicini non siano in casa.

Novantasei virgola dodici.

Mi butto a terra, potrei svenire. Ma non me ne fotte più nulla. La pesata ufficiale è stata effettuata.

«Vaffanculo i jolly, vaffanculo la vaschetta di plastica! Vaffanculo tutto!»

Inizio a piangere. Potrei non smettere più.

Oggi ho vinto io. Da domani si cambia.

Domani è un altro giorno…

Adesso ho bisogno di acqua.

– – –

Ho vinto io. Anche i giorni successivi, e le settimane, e i mesi.

Ieri è stato l’ultimo giorno del mio programma di dimagrimento concordato con i figli di troia. Ho vinto.

Ottantuno chili e nove etti.

Ho ricevuto un messaggio, una sola parola.

Congratulazioni.

Il riflesso dello specchio mi restituisce un uomo nuovo. Ho ripreso a fare attività fisica e questo ha permesso al mio corpo di iniziare a rimodellarsi su un volume più contenuto senza evidenti effetti di pelle-modalità-Shar-Pei.

Riprendo a passeggiare tra le strade del mio quartiere. Mi perdo nei miei pensieri. Vorrei che qualcuno fermasse quei bastardi. Vorrei trovare il modo per farlo, ma credo che non ne uscirei vivo. Inoltre, lasciatemi essere un po’ egoista, io ho già dato. Vorrei poter salvare qualcuno da quel supplizio, ma in questo momento sono solo contento che il mio sia finito.

Forse.

Apro la porta di ingresso di casa trovo un uomo e una donna seduti sul divano. Riaffiora in me tutto il terrore che ho già vissuto.

«Buongiorno» dice la donna con un sorriso. «NoMoreFat le comunica che ha raggiunto il primo obiettivo, ed è pronto per riprendere il programma.»

È come vivere in un pessimo spot pubblicitario. Con il suo modo di parlare, calmo, ottimista, amichevole, mi porge una sorta di attestato.

Il primo obiettivo

«Adesso sarà tutto molto più semplice» continua. «Entro la prossima settimana riceverà tutte le istruzioni per la fase di mantenimento.»

La fase di mantenimento

Non riesco a dire nulla, oltre che balbettare la stessa sillaba. Sento le ginocchia cedere.

«Quanto… quanto tempo…»

La risposta, si limita a due ampi sorrisi che l’uomo e la donna di fronte a me, pronti per uscire da casa mia, mi rivolgono. L’uomo aggiunge una leggera pacca, da amico. Seguo il suo gesto concentrandomi sulla mano ancora appoggiata sulla mia spalla, una mano sottile che si interrompe in modo inaspettato dopo il dito medio.

«Non si preoccupi» dice. «Da qui in poi sarà davvero tutto più semplice.»

«È stato un piacere» aggiunge la donna. «Le porto i saluti del suo nuovo tutor. Le fa sapere che sarà felice di incontrarla presto di persona.»

Ormai fuori dalla porta si volta verso di me, come se avesse dimenticato un dettaglio fondamentale.

«Anche lui le porge vive congratulazioni per il risultato ottenuto e le ricorda che ci sono molti modi per mantenerlo.»

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni