La Città nella Bolla

Serie: A piedi controcorrente - Cronache semiserie di un fuggitivo pandemico -


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo una salita carica di simboli e aspettative, il cammino si apre a una discesa e a una pianura inattesa. Il paesaggio cambia, compaiono le prime case e il viaggio continua tra ricordi, osservazione e una nuova consapevolezza.

Arrivare a quell’incrocio era stato come attraversare lo Stargate — nel film Stargate, appunto — ma senza l’enorme cerchio liquido. La sensazione di freddo che provava lo scienziato prima di varcare quella soglia verso chissà quale mondo, per me, era la stessa.

La destinazione del viaggio, però, era completamente diversa dal film. Lo scienziato, insieme a un gruppo di soldati scelti, una volta varcato il cerchio si ritrovava su un altro pianeta, all’interno di un’antica piramide deserta. E una volta usciti, cosa trovavano? Un deserto sconfinato. Dune di sabbia che si estendevano a vista d’occhio intorno a una piramide. Bastardi fortunati.

Per me la situazione era completamente diversa.

Ero riuscito ad arrivare all’incrocio. Il cartello che vedevo in lontananza indicava il nome della città, con accanto i chilometri che mancavano. Ho seguito con lo sguardo la direzione del cartello che portava ad un altro incrocio, di un’altra stramaledetta strada asfaltata.

Quasi contemporaneamente sentii una voce:

“Permesso! Scusi, devo passare!”

Era una donna che stava correndo. Da dove era sbucata? E poi perché doveva per forza passare sul marciapiede dove ero piazzato io? Cavolo, la strada accanto era completamente deserta!

Non feci in tempo a notare quella pazza scatenata, mascherata, che il suono di un clacson di un’auto mi entrò dentro il cranio come se un monaco tibetano avesse preso il bastone con quella palla di stoffa posizionata in cima, lo avesse sbattuto contro il classico gong e mi avesse indicato subito dopo la via, non verso il Nirvana ma verso l’inferno. Che poi, a pensarci bene, non sono mai stato in nessuno dei due posti. Ma da come li raccontano, preferivo la via più nirvaniana.

Con lo sguardo avevo seguito il suono del clacson e, a circa cento metri, un pick-up fermo al semaforo fece la sua apparizione. La strada era deserta: c’era soltanto il pick-up e stava suonando a una vecchietta che attraversava sulle strisce. Se non fosse stato per i capelli bianchi che uscivano da sotto il cappello e per l’andatura incurvata e lenta, da come era vestita poteva sembrare benissimo un soldato di ritorno da una spedizione di recupero di detriti tossici. Mascherina con doppio filtro, non la classica usa e getta azzurra che andava tanto in quel periodo. Tuta monouso trasparente e occhiali da sole neri che le coprivano mezzo volto. In più il cappello. Classe pura.

Intorno a questo quadro iniziavo a vedere la città. Mentre camminavo ero circondato da palazzine con persone affacciate che guardavano la strada. Marciapiedi semivuoti, con qualche pedone che, se lo vedevi, o correva o era a spasso col cane. Negozi chiusi.

Che spettacolo sarebbe stato vedere un cane con la mascherina! Almeno forse una visione tanto assurda quanto schifosamente possibile mi avrebbe distratto da quella sensazione di vuoto che mi stava salendo. Mi sentivo come in una bolla, con me al centro e la sua pellicola trasparente che mi proteggeva dal mondo che vedevo. Abbattuto, sconfitto, in gabbia. Io non ero così, non ero come loro e non ci volevo diventare.

Arrivato al portone del bed and breakfast, iniziai a sentire un leggero fastidio al ginocchio sinistro. Ero lì, fermo ad aspettare che mi aprissero, e non riuscivo ad appoggiare del tutto il peso del corpo e dello zaino su quel ginocchio.

Tempo di accorgermi del dolore che mi sentii chiamare dal citofono:

“Buonasera, ha prenotato una stanza?”

E io:

“Sì, buonasera. Sono il pellegrino che ha chiamato nel pomeriggio!”

“Ah! Certo. Maria! C’è il pazzo che ha chiamato oggi! È venuto davvero!”

Io rimasi un po’ attonito e dissi:

“Come, scusi?”

Ma lui continuò:

“No, mi scusi, ma non pensavamo che arrivasse davvero. Sa, di questi tempi… Comunque la apro, venga, venga.”

Mise giù la cornetta del citofono e il portone si aprì.

Continua...

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