La comunione con la tranquillità

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


Da bambino cercavo qualcosa a cui non sapevo dare un nome, era un qualcosa di caldo, avvolgente, che mi avrebbe protetto per tutta la vita, uno scudo come un cuscino morbido, un bozzolo dove respingere ogni tipo di dolore. 

Nella mia  immaginazione aveva diverse forme, poteva essere la madre terra, la mia sorella natura, la gemella stella nel cielo, l’anima mia gemella, il fuoco protettore di una luce divina. La luna, nelle notti in cui l’insonnia era già presente che si trasformava in un cubo pesante e grigio che voleva cadere su di me mentre dormivo e schiacciarmi. Sentivo già così tanto peso e già tanta voglia di leggerezza per volare via. Sentivo di non appartenere a questo mondo, che ero capitato proprio nel posto sbagliato e soprattutto in una famiglia dove non riconoscevo quelli che mi stavano vicino: mio padre, mia madre. Chi erano? Cercavo un sollievo, un appiglio nel mondo con l’istinto cieco di un cucciolo orfano. Io non ho avuto dei genitori. Sono orfano dell’Universo. 

Ero un pupo, un bambolino di ceramica con i capelli rossi e ricci e lentiggini. Ero bello proprio come un angelo ma non avevo le ali, tuttavia come Icaro feci lo stesso errore.  Ero silenzioso, con gli occhi grandi fatti per osservare e le guance paffutelle per essere baciate dalle donne grandi. Io arrossivo ogni volta che una donna si avvicinava a me sentendo un’emozione sconosciuta e bellissima che strisciava sotto la pelle e nel cuore che si scaldava: il desiderio, o forse  la promessa di un futuro di amore. Poi è arrivato il destino che si è preso tutto senza chiedermi nulla. 

Anno dopo anno ha divorato i miei sogni, come un dio feroce e famelico spuntandoli via come incubi sulla Terra mentre la casa diveniva sempre più fredda e carica di assenze mancate e abbandoni. La casa maledetta da cui non sono mai riuscito ad andare via, come se fosse una trappola impossibile da scassinare. Voglio volare ancora via lontano, spezzare le catene per sempre.  Adesso sono un superstite. Un dannato. Un angelo caduto in volo da un aereo di linea pieno di baci con le ali.  Mia madre è stata consumata da un mostro che la prese alla gola, divorandola lentamente, mio padre è rimasto a lungo, ma era come se fosse già morto, con la mente che non ha mai funzionato bene. 

Da lui ho imparato a nascondermi, a non manifestare la mia presenza nel mondo.  A lottare per apparire. A cambiare costantemente per gli altri dimenticandomi di me stesso. Non fatelo.  Perché sì, in fondo era solo questo che volevo: essere un miracolo che avrebbe cambiato qualunque cosa, volevo essere prezioso, volevo essere la cosa più desiderata del mondo. 


Il giorno della prima comunione indossavo un abito bianco e chi mi accompagnava teneva la mia mano tra le sue. Era un uomo con la barba che forse già sapeva come sarebbe stata la sua vita. Io non sapevo ancora camminare come facevano gli altri. Mentre ci avvicinavamo all’altare lui mi disse: — Non avere paura.

E io davvero non ne avevo. Ero finalmente nelle mani del Signore.

Avevo ingoiato uno dei primi Tavor presi di nascosto dal comodino di mia madre. Quella fu la mia prima comunione e la maledizione che mi perseguitò per il resto della vita. Ma in quel momento tutto divenne lieve, ovattato, sacro. Come se stessi camminando sulla superficie di una nuvola. Ero nella grazia della tranquillità della dipendenza. Avevo solo dodici anni. 

Amen.

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