La formazione
Serie: La storia di Maddalena
- Episodio 1: La mia storia
- Episodio 2: La formazione
- Episodio 3: La strada
- Episodio 4: I clienti
- Episodio 5: Venduta
- Episodio 6: Il prezzo del sangue – prima parte
- Episodio 7: Il prezzo del sangue seconda parte
- Episodio 8: Impiegata del sesso
- Episodio 9: Un nuovo padrone
- Episodio 10: L’incontro con Rocco
- Episodio 1: La doppia vita
- Episodio 2: La fine della strada
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Non diventi una puttana da un giorno all’altro. Ti ci preparano. Ti piegano, ti spezzano, finché non sei niente più che un pezzo di carne, pronto per essere venduto al miglior offerente.
L’inizio dell’inferno.
Pochi mesi dopo, tutto è iniziato davvero. Fino a quel momento ero stata una delle tante ragazzine che si piegavano sulla strada, ma per il protettore di mia madre non era abbastanza. Non era sufficiente fare i soldi. Volevano che diventassi una professionista, una macchina ben oliata.
Così mi presero. Mi rinchiusero in una stanza buia come l’inferno, senza finestre, senza uscita. Non avevo cibo, non avevo acqua. Solo loro.
Lo chiamavano “il Lupo”. Non sapevo nemmeno il suo vero nome. E non me ne fregava niente. Lui era quello che controllava tutto, quello che decideva chi valesse la pena mettere sulla strada e chi no. E per lui non ero pronta. Non ancora.
«Sei troppo morbida» mi diceva. «Troppo sentimentale. Devi imparare a essere dura. A non sentire più niente». Così decise che dovevo imparare. E l’apprendimento non fu una cosa gentile. Non c’era niente di dolce nel modo in cui mi insegnarono il mestiere. Mi spezzarono, pezzo per pezzo. Di me si occuparono i suoi due scagnozzi, due bestie senza cervello. Erano sempre con lui. Non conoscevo i loro nomi. Erano solo mani e pugni. Non parlavano molto, ma ridevano. Ridevano ogni volta che mi sbattevano a terra. E ogni volta mi sentivo come se non avessi più ossa. Erano animali.
Non so quante volte mi presero a calci, mi strapparono i vestiti di dosso e mi schiacciarono contro il pavimento sporco di quella stanza. Ogni giorno era una nuova lezione.
«Devi imparare a stare zitta» dicevano. «Devi imparare a fare quello che ti diciamo, altrimenti non ce la farai mai sulla strada».
E io ci provavo. Giuro che ci provavo. Ma ogni volta che uno di loro si avvicinava a me, c’era una parte di me che si ribellava, che urlava dentro, anche se non potevo farlo davvero. Ogni volta che uno dei loro corpi si spingeva dentro di me, sentivo un’altra parte di me che moriva. Ma non era abbastanza per loro.
Mi tennero chiusa per giorni. Forse settimane. Persi il conto. Non mi davano da mangiare. L’unica acqua che avevo era quella che mi lanciavano in faccia quando pensavano che stessi per svenire.
«Non puoi svenire» diceva il Lupo. «Una puttana non sviene mai».
Ogni giorno c’era una nuova lezione. Ogni giorno un nuovo modo per insegnarmi che non avevo più controllo sul mio corpo.
«Apri le gambe quando te lo diciamo» gridavano. «Non dire niente. Non muoverti. Lascia che facciamo tutto noi». E se non lo facevo, se provavo anche solo per un secondo a resistere, arrivavano le botte: pugni, schiaffi, calci. Mi schiacciavano fino a quando non c’era più niente da ribellarsi.
Ricordo una notte, uno dei tirapiedi mi colpì così forte che persi un dente. Lo sentii schizzare fuori dalla mia bocca e, mentre cadeva a terra, loro ridevano. Ridevano come se fosse la cosa più divertente che avessero mai visto.
Mi usarono e mi spezzarono. Tutti e tre, uno dopo l’altro, senza pause. Era il loro modo di insegnarmi a non essere più io. Le prime volte piansi. Gridavo. Ma non serviva a niente. Mi chiudevano la bocca con una mano, mi tenevano ferma, mi costringevano a guardare i loro occhi mentre mi violentavano. E quando finivano, ricominciava tutto da capo.
Un giorno, uno dei tirapiedi mi legò a una sedia. Mi lasciò lì per ore, senza niente addosso, al buio. Non avevo nemmeno la forza di piangere. Sentivo la porta che si apriva ogni tanto e sapevo che qualcuno sarebbe arrivato. Sempre.
Non c’era solo la violenza fisica. C’era la violenza psicologica. Mi fecero fare cose che non riesco nemmeno a dire, figuriamoci a scrivere. Mi ordinavano di inginocchiarmi davanti a loro, di fare quello che volevano senza battere ciglio. E io obbedivo. Non avevo altra scelta. O lo facevo, o morivo.
Mi dicevano che quello era il modo per sopravvivere. E forse avevano ragione. Se non avessi imparato a spegnere tutto, sarei finita sotto qualche auto o con un coltello piantato in gola. Dovevo imparare a essere un automa, a essere carne senza anima. E così feci.
Senza cibo, senza acqua. Mi lasciavano morire di fame. Letteralmente. Mi guardavano mentre cercavo di trattenere i crampi allo stomaco, mentre mi tremavano le mani per la sete. Mi lanciavano un pezzo di pane ogni tanto, un sorso d’acqua, giusto per tenermi in vita. Il loro gioco era vedermi soffrire.
«Se impari a vivere senza niente, allora sarai pronta per la strada» dicevano.
Ogni giorno in quella stanza era peggio del precedente. Non esisteva la luce. Non esisteva il tempo. Esisteva solo il dolore.
Alla fine, cedetti. Non lottai più. Non serviva. Quando capii che non avrei mai vinto contro di loro, che non avrei mai trovato una via d’uscita, smisi di resistere. Lasciai che facessero di me quello che volevano. E così diventai ciò che volevano che fossi: un pezzo di carne, pronto per essere venduto.
L’addestramento era finito. Ero pronta.
Tornai sulla strada. Una via laterale di un grande viale alberato. A pochi passi c’era un albergo ad ore, dove avevo una stanza per la notte.
Avevo preso di nuovo peso, i seni mi erano cresciuti, ma sembravo ancora una ragazzina. Ero una ragazzina. All’alba tornavo a casa: una stanza in un appartamento condiviso con altre come me.
Serie: La storia di Maddalena
- Episodio 1: La mia storia
- Episodio 2: La formazione
- Episodio 3: La strada
- Episodio 4: I clienti
- Episodio 5: Venduta
- Episodio 6: Il prezzo del sangue – prima parte
- Episodio 7: Il prezzo del sangue seconda parte
- Episodio 8: Impiegata del sesso
- Episodio 9: Un nuovo padrone
- Episodio 10: L’incontro con Rocco
Il quadro spietato e feroce che delinei, lungo il primo sviluppo della serie, è potenziato sensibilmente dall’uso della prima persona e di quanto le descrizioni che le affidi siano parti pulsanti del suo corpo e del suo animo, dando la sensazione che gli eventi stiano continuando ad accadere e ad amplificarsi, in una loro circolarità ipnotica, evadendo naturalmente dai tempi verbali che li circoscrivono. Un episodio efficace e di snodo, soprattutto sul litorare introspettivo.
Esatto Luigi hai proprio centrato il senso della storia.
Sarebbe bello che storie simili siano confinate all’immaginazione…
Crudo e diretto ma d’altra parte, se vuoi rendere l’orrore che aleggia attorno a queste storie, non ci sono altri modi!
storie simili fossero*
Ciao Nicola, lieto di aver colto nel segno. Quando ho ascoltato la storia di Maddalena quello che mi ha raccontato era molto peggio. Negli anni ho imparato purtroppo che la realtà spesso supera la fantasia ( e in peggio).
So che, forse, la realtà è peggiore e che molte ragazze ci sono passate o ci sono in mezzo. Sembrano fin troppo cinici gli aguzzini ma so che persone simili esistono. Scritto bene, come sempre, ma non posso dirti che mi piaccia.
Terribilmente crudo e realistico.
Impossibile non farsi coinvolgere dalla lettura.
Malvagità, abusi, violenze fisica e mentale che provoca malessere anche soltanto nell’ immaginare, leggendo le descrizioni che hai reso chiare, credibili e corrispondenti alla realtà orrida di certi inferni.
Grazie. spero di riuscire a pubblicare presto il seguito
Una serie dura e realistica. Difficile da mandare giù. Sei sempre molto attento quando tratti di prostituzione e violenza. Mai scontato.