LA LIBERTÀ DI ELEONORA 

 

 

Nel corso della mia vita sono stati tutti bravi a puntarmi il dito contro, mentre io, per raggiungere la serenità, ho attraversato deserti di solitudine e scalato montagne di pregiudizi. Mi chiamano la donna dalle due facce, perché ho vissuto metà vita in un modo e l’altra metà in un altro.

Sono cresciuta in una famiglia cattolico-protestante, in una piccola comunità di paese dove mio padre svolgeva la missione di pastore in una chiesa evangelica. Unica figlia femmina, arrivata dopo tre maschi. Fin da piccola le mie giornate erano scandite da orari e compiti ben definiti, e il tempo doveva essere sempre speso in modo produttivo. A parte i pasti e il sonno, preceduti da una buona dose di preghiera, il resto del tempo dovevo dedicarlo allo studio, soprattutto a quello delle sacre scritture, senza dimenticare di aiutare mia madre nelle faccende domestiche. Mi era vietato uscire con le amiche; l’unico svago che potevo concedermi era la domenica, al termine del culto, quando potevo giocare e chiacchierare con le figlie dei membri dell’assemblea. Non potevo avere altri amici.

Sono cresciuta in un mondo fatto di rinunce e di una buona dose di sensi di colpa. Questi ultimi, gli adulti li regalavano in ogni occasione: al posto dei premi per la buona condotta o per un buon risultato. Perfino un sorriso troppo acceso era motivo di penitenze e digiuni, poichè poteva risultare una provocazione per gli uomini. Per vent’anni quella fu la mia normalità, fatta di una ignara solitudine. Mi mostravo sempre severa con me e, soprattutto, con gli altri.

Non conoscevo i piaceri della vita: non ero mai stata a ballare, non avevo mai visto un film al cinema, ero priva di vita sociale, ma la cosa più grave è che non conoscevo ancora l’amore.

Poi cambiò tutto…

Una sera di novembre, mio padre ricevette la notizia della morte di suo fratello e della cognata in un incidente stradale. La loro unica figlia, Eleonora, venne a vivere con noi. Per me fu l’inizio di una nuova era e la mia vita divenne una scoperta continua.

Fino a quel momento io ed Eleonora non ci eravamo mai frequentate. Figuriamoci! Mio padre l’aveva sempre considerata il diavolo in persona.

Il suo carattere esplosivo fu contagioso per me. Eleonora aveva sposato in toto la parola “libertà”, ne aveva il profumo.

L’unico regalo che mia madre mi abbia mai fatto è stato mettermi in camera con Eleonora; fu lei a insegnarmi a vivere. In un solo colpo feci esperienza delle mie prime volte, le stesse che lei aveva già fatto e che io provavo disagio ad ascoltare, ma da cui ero anche affascinata, tanto da scappare insieme.

Quella sera, dall’aria frizzantina, tutto mi apparve più chiaro. Andammo lontano, dove Eleonora poté esprimersi per ciò che voleva essere e dove iniziò anche a dipingere.

In quanto a me, anche se ho imparato a volare, mi risuonano ancora nella testa tutte le congetture che la mia famiglia mi ha imposto. Non sarò mai libera come Eleonora.

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