La noia
Le strade erano deserte, bagnate e spente. I coni di luce dei lampioni, a distanza regolare, irraggiavano il marciapiede dissestato. Alcuni cassonetti sparsi e allineati. Era un piovoso sabato sera di autunno. Era il 1985. Il bar era affollato. L’unico posto in paese dove era possibile incontrare qualcuno. I ragazzi ascoltavano i suoni dei videogiochi, ridevano, ai colpi secchi della pallina di metallo del flipper. Una cappa densa di fumo di sigarette.
Marcello, Gaia, Franco e Stefano erano coscritti. Si conoscevano fin da quando avevano memoria, frequentavano l’Istituto commerciale. Si frequentavano tutti i giorni, nel doposcuola si riunivano per studiare. Spesso sbuffavano di noia, il loro era un paese per vecchi, dicevano. “Non c’è mai niente da fare” tuonava Franco, il più brillante del gruppo. Marcello sorrise, si accese la sigaretta e inserì una moneta nel flipper. Gaia e Stefano assistevano all’ultima partita. Avevano finito i soldi.
Franco era appoggiato allo stipite della porta, aveva lo sguardo fisso alla televisione nell’altra stanza. Ascoltava il brusio dei suoi paesani e guardava il vecchio Cecco, seduto in disparte, senza proferire parola rideva, alle battute degli altri uomini che si incazzavano giocando a carte.
La partita di Marcello finì. Fine dei soldi. Fine dei giochi. Era ancora presto, potevano rimanere in giro fino a mezzanotte a patto che non si fossero allontanati dal paese.
I quattro ragazzi uscirono all’esterno “e ora che si fa?” Chiese Stefano. Indossava un grosso paio di occhiali da vista, dei peletti di barba sulle labbra e un sorriso piatto. La nebbia era sempre più densa, le macchine parcheggiate, offuscate, e quelle luci che sembravano lontane e sfuocate. “Facciamo un giro al cimitero” disse Franco. Era il più alto del gruppo, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, il suo viso, liscio e sbarbato.
I suoi amici lo guardarono torvo, ma sotto sotto Gaia era attirata da quella spaventosa idea e non solo, anche da Franco ma non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti.
Giravano strane voci in paese. Dicevano che di notte qualcuno entrava nel cimitero e vagava senza motivo fino a mattina. Sapevano che in fondo le voci di paese erano leggende, vero, ingrandite solo per incutere paura e per avere argomenti da raccontare nelle serate, spente e fredde del paese. Ma qualcuno credeva che, forse, in tutte le leggende c’era un fondo di verità.
Sotto la pergola Franco accese una sigaretta, Marcello lo imitò. Erano estasiati e allo stesso tempo terrorizzati del loro programma improvvisato per la serata. Un colpo di tosse alle loro spalle. Era Cecco. Un omino magro e molto anziano. Indossava un cappotto verde e il suo viso rugoso era quasi nascosto dal cappello. Fumava un sigaro. “Non vi mettete nei guai!” Disse l’uomo con tono paterno.
L’anziano aveva origliato le loro intenzioni.
“Ma dai Cecco, sono solo leggende” rispose Franco.
“Vi siete mai chiesti da dove nascono le leggende?”
I ragazzi si ammutolirono. Scossero la testa.
“In un angolo a est dell’ingresso, in fondo, c’è la tomba di una ragazza, Anonima. Era stata uccisa durante la guerra; e non dai soldati. La sua tomba è sempre molto curata. Attenzione!”.
I ragazzi ascoltavano con attenzione il vecchio Cecco, che si accese di nuovo il sigaro che si era spento tra le labbra.
Quella ragazza, Cecco, se la ricordava bene. Era bella. Aveva dei lunghi capelli neri, il taglio degli occhi mediorientale e la sua pelle era liscia e olivastra. Ogni volta che passava lasciava una scia di profumo. Era impossibile non notarla. Nessuno sapeva da dove veniva, nemmeno cosa ci faceva in nel suo sperduto paese. Quelle poche volte che aveva sentito la sua voce, dolce e leggera, dall’accento straniero. Erano passati più di quaranta anni ma Cecco se la ricordava molto bene.
“Una donna, credo, vaga di notte nel cimitero per sistemarle la tomba”.
Cecco alzò una mano in segno di saluto e si incamminò dentro la nebbia in direzione di casa sua.
Oltre il cancello nero, in ferro battuto, il buio. Qualche lumino, sfuocato e distante nella nebbia. L’odore di bagnato dell’asfalto. Un soffio di vento fischiava tra le case spente e silenziose nella sera autunnale. Scavalcarono il muretto. I loro passi sulla ghiaia riecheggiavano tra le lapidi di marmo, mute e tristi. I loro occhi si abituarono presto al buio torbo della notte. Franco era il primo della fila. Impugnava una torcia elettrica tra le viuzze, strette e bagnate. La tomba di un ragazzo. Poi quella del nonno di Gaia, mai conosciuto. Una lapide, la foto di un giovane soldato. Il canto di un gufo, il suono delle foglie accarezzate dal vento. Faceva freddo.
Dei passi lenti e strascicanti. Si fermarono. Forse era solo suggestione. Verso est, il buio. I lumini sembravano sparire gradualmente nel buio pesto della notte. Ancora qualche passo, uno dietro all’altro. “Andiamocene” disse Stefano. “Non fare il cagasotto” rispose Franco. Si bloccarono all’improvviso. Qualcosa era caduto per terra. Il rumore veniva da est.
“Dai andiamocene” ripetè Stefano, quella volta si unì anche Marcello. Gaia rimase in silenzio, anche se impaurita, da dietro stringeva la giacca di Franco che rimase fermo. Era troppo orgoglioso per ammettere che anche lui, in quel momento, si stava cagando sotto dalla paura. “Sarà stato un gatto” rispose in tono consolatorio. Un annaffiatoio in metallo era caduto. Altri due passi verso est. Dei passi veloci e corti venivano dal buio.
C’era qualcun’altro con loro che si muoveva facendosi scudo della nebbia. Forse le voci di paese non erano solo leggende. Le leggende si raccontano sulla base di mezze verità oppure da racconti realmente avvenuti, dove qualcuno, per renderli più tetri ci aveva ricamato sopra la sua versione. Sta di fatto che i ragazzi, erano seguiti da qualcuno e quel qualcuno li stava osservando.
Avanzarono verso est. Stefano tremava. Marcello aveva gli occhi spalancati, terrorizzato vedeva solo la schiena di Gaia, e Franco illuminava la stradina che tra i lumini rossi delle lapidi sembrava stringersi sempre di più.
Da lontano i lampioni offuscati della strada. Erano vicini al muro di cinta dalla parte opposta a quella da dove erano entrati. Il canto di un gufo e il vento freddo continuava a soffiare imperterrito da est. L’avevano trovata. Ce l’avevano davanti. Dei fiori colorati, i più belli, erano appoggiati sopra una lapide in pietra. La foto di una ragazza, dagli occhi uno sguardo profondo che sembrava fissarli. Aveva ragione Cecco, era proprio una bella ragazza. Una scritta recitava: tu che sull’Appennino hai trovato solo la morte. Anonima. 6 gennaio 1943.
Iniziò di nuovo a piovere. Avevano i brividi, non avevano il coraggio di voltarsi per capire da dove veniva quel rumore metallico di qualcosa che veniva trascinato per terra. Sulla ghiaia, bagnata.
Il cono di luce della torcia si indebolì, forse la batteria si stava scaricando. Il muro di cinta davanti a loro era troppo alto e non potevano scavalcarlo. Dovevano per forza tornare indietro. Il cono di luce era debole, ma forse avrebbe tenuto fino all’uscita. C’era qualcuno davanti a loro. Sembrava una donna molto anziana. Aveva gli occhi piccoli e il viso, era diverso, aveva delle profonde ferite che sembravano rughe. Nessuno dei ragazzi l’aveva mai vista in giro. Era bassa e i suoi occhi piccoli e profondi fissavano quei ragazzi che non riuscivano a muoversi. La pioggia fredda e la torcia elettrica che lentamente si stava scaricando. La donna mosse le labbra in un sorriso e si allontanò nel buio.
Di corsa raggiunsero il cancello. Scavalcarono di nuovo il muretto e uscirono sulla strada. Vagarono in silenzio e spaventati per i vicoli stretti e ciottolati del loro paesino sperso sull’Appennino modenese.
Marcello, Gaia, Stefano e Franco non si sarebbero mai dimenticati quella buia serata d’autunno del 1985.
Le leggende vengono tramandate di generazione in generazione e adesso loro ne facevano parte.
FINE.
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Non so perchè , ma il racconto di Cecco mi ha fatto tornare alla memoria “La canzone di Marinella”. Belle le suggestioni del cimitero, sto lavorando di fantasia per dare un’identità all’anziana donna comparsa verso la fine. Forse la madre della giovane tumulata nella tomba senza nome? Oppure lei? (sebbene i fantasmi non invecchino, credo possano assumere una qualsiasi forma)
Ciao Micol, che piacere sentirti e molte grazie.
In tutti i paesi c’è un bar dove alberga un vecchio saggio e quelli, assumono varie forme ;-). Immagino che la ragazza piombata molti anni prima in paese non ci arrivò per caso. In quel periodo aiutò un’anziana donna che in punto di morte fece una promessa per l’eternità; avrebbe protetto la ragazza ovununque.
Ciao Giglio, bel racconto, bella atmosfera, tanta tenerezza per quei ragazzi.
Grazie Molte Nyam. Chi l’ha detto che le leggende di paese non siano veramente basate in un fondo di verità? 🙂
“Le strade erano deserte, bagnate e spente.”
Mi ha fatto tornare in mente Vecchio frac di Domenico Modugno 😂
Ciao ❣️
Ho avuto un’immagine mentre leggevo … anni fa quando ero piccola seguivo un anime tratto sa un manga giapponese si chiamava ranma 1/2 e in un episodio i ragazzi andarono a caccia di un fantasma (non in un cimitero, ma nella scuola)
Comunque immagini mentali mie apparte, mi è piaciuto molto questo racconto… di certo i ragazzi non dimenticheranno la loro avventura, che li legherà a vita.
Le descrizioni e l’atmosfera sono perfette …. davvero complimenti ❣️
Grazie. Sarà un esperienza che racconteranno per sempre nelle sere piovose, davanti al camino.
Ciao Giglio, bentornato. Ho letto con grande curiosita` questa storia intrigante. Non mi sarei mai sognata, neanche da ragazza molto annoiata, di girovagare di notte in un cimitero; pero` mi e` sempre piaciuto leggere questo genere di storie. Oltre tutto ho notato un affinamento nello stile di scrittura che rende la narrazione ancora piu` avvincente. Complimenti.
Grazie tanto. 🙂
Sono quei passatempi che, qualche ragazzo, di un tempo, faceva per cercare adrenalina. 🙂
E’ una scrittura decisa e solida, cadenzata, perfettamente in linea con lo spirito noir della storia.
Grazie David. Mi fa molto piacere il tuo giudizio. 🙂
Bravo Giglio. Parole che scappano veloci fino alla fine. Una costruzione perfetta, direi lo script per un corto horror. La lettura migliore per questa mattinata di pioggia e nebbia.
Grazie Cristiana.
““Facciamo un giro al cimitero””
Che belli i cliché nei noir e negli horror. E tu lì a dire ‘non fatelo, ragazzi’, ma tanto lo sai già che non ti ascoltano. Scream ne ha fatto la sua fortuna.
Mai ascoltare i vecchi. Regola base dei giovani. Le cose più proibite o le più pericolose hanno sempre attirato la gioventù. Soprattutto se in paese girano strane voci…
“Le strade erano deserte, bagnate e spente. I coni di luce dei lampioni, a distanza regolare, irraggiavano il marciapiede dissestato. Alcuni cassonetti sparsi e allineati. Era un piovoso sabato sera di autunno. “
Quando mi imbatto nel racconto di uno dei miei autori preferiti su Open, vorrei sempre ritrovare quello che ‘io cerco’ del suo stile. Nel tuo incipit l’ho assolutamente trovato, da subito. Mi dico ‘ok, questo è lui’, e allora continuo, gratificata, nella lettura.
Grazie Cristiana non sai quanto mi fa piacere il tuo giudizio al mio racconto. 🙂
Molto scorrevole e piacevole da leggere, una di quelle storie che potrebbero raccontare i genitori ai figli increduli
Grazie tante. 🙂
Bravo. Davvero bravo. Una prova ottima.
Siamo qui per raccontare storie e questa, da quando ho fatto il mio ingresso qui, è tra le più belle. Scorgo il piglio dello scrittore classico, carta penna e calamaio.
La paura non è terrore. Né angoscia. La paura è un sentimento nobile e qui viene trattata con i guanti bianchi.
Per me, questo testo rasenta la perfezione.
Piccoli refusi insignificanti, tutto tranne che errori, nulla possono contro l’imponente costruzione.
Complimenti.
Sono d’accordo, we are writers
Vi ringrazio tutti quanti. Non immaginate quanto mi fa piacere il vostro apprezzamento. In ogni vostro commento è stato come buttarmi in un bagno di gioia e quella più grande è avere dei sostenitori come voi. Grazie di cuore per aver dedicato del tempo al mio racconto. 🙂
I ragazzi, annoiati e curiosi, la volevano vedere la paura con i loro occhi.
Grazie tante per il tuo commento. Mi ha fatto molto piacere che hai valutato questo racconto nei migliori che hai letto sulla piattaforma. Grazie.