La Notte di Edimburgo
Mi trovavo a Edimburgo per lavoro in qualità di agente per un’azienda che produceva e vendeva articoli di alta gamma per la cucina.
Ero incaricato di concludere una commessa con un importante ristorante stellato.
Una giornata di dimostrazioni e di trattative che era andata a buon fine e che si era tramutata in un contratto di fornitura: eccellente.
Ero stravolto, ma non avevo dimenticato che era pur sempre un sabato sera.
Ed era il caso di suggellare quel contratto con una bella bevuta e magari quattro salti in discoteca.
Dopo un doppio whisky al White Hart Inn, su consiglio di alcuni ragazzi del posto mi infilai in un locale che si affacciava su una traversa del Royal Mile.
Un formicaio di quattro piani sotterranei, ciascuno con un bar e una programmazione musicale diversa.
Io vestivo in doppio petto e mi sentivo una mosca bianca in mezzo a tanta gente casual e parecchio su di giri.
Dopo un paio di bevute cominciai anch’io ad ambientarmi, e ad esplorare tutti i meandri di quella specie di labirinto di ispirazione medioevale, pieno di angoli e rientranze seminascoste.
Fu allora che notai una ragazza tutta sola al bancone.
Era alta, aveva la carnagione chiarissima e dei lunghi capelli lisci e rossi.
Attaccai discorso quasi senza accorgermene e non fu nemmeno necessario sfoggiare il mio pur più che discreto inglese che in un attimo ci trovammo nella pista da ballo.
Quando la situazione si era fatta davvero coinvolgente lei ad un tratto mi disse che doveva andare.
Le chiesi di restare ancora un po’, almeno altri dieci minuti per scambiarci i recapiti, ma fu tutto inutile.
Mi diede un bacio a stampo e la vidi salire le scale confondendosi in mezzo alla calca.
Provai a seguirla ma la persi subito di vista, e così optai per farmi un’ultima birra e rimanere giù ad ascoltare musica folk e rock tra gli avventori ubriachi e festanti.
Alle tre meno dieci sentii tutta in un colpo la stanchezza della giornata e dell’alcool in circolo, ed uscii dal locale riaffacciandomi sui ciottoli del Royal Mile.
Piovigginava e faceva freddo.
Avverti lo sbalzo di temperatura e mi strinsi nella giacca, avviandomi a piedi verso la discesa che portava a Princes Street e poi alla New Town dove avevo l’albergo.
La strada era popolata di anime avvinazzate e perse, ancora non paghe della notte.
Ne udivo distintamente gli sproloqui e le grida.
Si alzavano raffiche di vento fortissime.
Battevo i denti, e quel chilometro che mi separava dal mio hotel sembrava non finire mai.
Quando arrivai infilai stremato le chiavi nella serratura dell’ingresso principale, ma il chiavistello era bloccato.
Dopo aver provato e riprovato per dieci minuti, in preda allo scoramento mi arresi e diedi una scarica di colpi alla finestra nella speranza che il portiere notturno si accorgesse di me.
Niente da fare.
Tirai un calcio contro il portone dell’albergo e poi desolato restai per un momento a fissare il vuoto, verso l’altra parte della strada.
Una figura femminile spuntò fuori dalla nebbia e venne verso di me.
Era una signora molto anziana, che mi domandò se avevo bisogno d’aiuto.
Le dissi che stavo congelando, e lei mi fece segno di seguirla, che mi avrebbe ospitato nella sua casa per bere qualcosa di caldo.
Prendemmo una laterale e fummo subito a destinazione.
Abitava in un seminterrato.
Si tolse lo scialle e inorridii.
Era praticamente pelle e ossa.
Non mi fece nemmeno sedere che all’improvviso mi prese, mi baciò e mi disse: “Ti è piaciuto ballare con me stasera eh?”
Mi portò nella sua stanza, e vidi un quadro appeso alla parete.
Era la ragazza con cui avevo passato la serata.
Mi disse di essere stata abbandonata dal suo promesso sposo e di essersi uccisa davanti a quel locale dove eravamo stati solo qualche ora prima.
“È successo più di un secolo fa. Ora tu sei stanco e hai bisogno di tanto tempo. Vuoi restare qui con me?”
Non ci fu bisogno di alcuna risposta.
Stavolta fui io a baciarla, e sentii la lama di un coltello affondare nella mia carne.
E tenendo tra le mani la sua splendida chioma scozzese rossa e fluente ne percepii di nuovo il profumo e mi lasciai inebriare.
Oggi Chloe è libera dal suo sortilegio.
Facciamo lunghe passeggiate insieme lungo il miglio reale e per i giardini di Princes Street.
A volte ci divertiamo a spaventare qualche passante che si attarda da solo su una qualche panchina. Siamo nel vento che scompiglia i loro capelli nelle rare giornate di calma piatta qua nella perla tetra di Gran Bretagna, la città dei fantasmi.
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Bello, Roland. Vado a intuito (o forse è qualcosa che mi piace pensare…) ma credo tu abbia un debole per i capelli rossi. Penso proprio di sapere a quale locale ti stai riferendo.
Veramente azzeccata la definizione “perla tetra”.
Bella la forma, molto, con i brevi paragrafi a proiettili. Sono certo che potresti affrontare, comunque, qualsiasi tipo di stile, e anzi ti invito a farlo: i contenuti li hai tutti.
Grazie Robert! Io sono stato due volte a Edimburgo, e ha colpito tantissimo il mio immaginario. Ne sono quasi diventato un cultore, avendo anche letto molto Irvine Welsh.
Il locale a cui stiamo facendo riferimento, il mitico Espionage, non esiste più purtroppo. Ha chiuso pochi anni fa, nel 2019. Io ho fatto in tempo ad andarci, era veramente una figata.
Quanto ai capelli rossi…beh stavano molto bene in quel contesto geografico.
E non mi dispiacciono per nulla.
Anche se ho sempre avuto un debole per le bionde.
Ciao!