La Pantera Rosa

Serie: Di ora in ora


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo aver controllato chi avesse suonato alla porta, Lina decide di non aprire, si prepara per uscire, ma poi ci ripensa, decide di aspettare dedicandosi alla lettura di un libro. Il tempo vola, quindi le passa la voglia di uscire e mentre sta pensando al pranzo, sente di nuovo suonare alla porta.

Stesso giorno di lunedì, ore 10. Lina, per la seconda volta, aveva deciso di ignorare la persona che stava dietro la porta. “Si stancherà” – aveva pensato – “Andrà via”. Poi aveva ripreso il libro che le avevano regalato le colleghe. Nella dedica avevano scritto: “Alla cara collega professionale, maniaca floreale e botanica passionale”. 

Non appena aveva iniziato  a leggere, aveva squillato il cellulare. Era Mena (diminutivo di Filomena), la sua ex collega, ex insegnante di matematica, ex  dirigente scolastico dell’istituto Grazia Deledda; ormai in pensione; oltre che ex moglie del provveditore. Nonostante il curriculum non era vecchia. Aveva iniziato presto a insegnare, prima come maestra di una scuola elementare e poi, proseguendo gli studi, come insegnante in vari istituti di scuola media primaria. Aveva deciso di lasciare la scuola perché i conflitti da gestire erano decisamente troppi: tra gli studenti, tra gli insegnanti, tra genitori e insegnanti,  tra gli operatori scolastici, tra lei e il provveditore. Persino i gatti, nel cortile della scuola, si azzuffavano provocando un gran trambusto, mentre rovesciavano i bidoni per la raccolta differenziata. Non c’era pace, né dentro, né fuori, in quella scuola in totale agitazione perenne. E poi, ormai, aveva perso lo slancio. Tra bullismo e lotte tra quei capponi dei suoi colleghi, che si beccavano anche durante le assemblee, non ne poteva più. Aveva voglia di dedicarsi ad altro. Chi l’aveva traviata era un ragazzo della quinta A, ripetente tre volte in cinque anni. Non sapeva un’acca di letteratura italiana, come ben sapeva Lina, che aveva rischiato l’esaurimento, nel tentativo di insegnargli qualcosa di quella materia.  Zero in matematica e pessimi voti anche nelle altre materie. Si era fatto esonerare dalla lezione di religione e anche dall’educazione fisica. Motivi di salute – diceva lui – come se fosse un tipo gracile, debole, anemico. Era un tipo alto, muscoloso e capace di piegare la gamba metallica di una sedia, con una sola mano.  All’ora di educazione musicale, invece, pretendeva di salire in cattedra e dare lezioni anche al professor Viavaldi.

Durante un’assemblea di classe si era esibito con il suo amico Fra’ – come lo chiamava lui – In una gara freestyle di rap e trap. Mena non sapeva se menarli  o cacciarli fuori, perché impedivano ad altri compagni di continuare la discussione sul tema “La presenza delle donne nella storia politica italiana”. Una volta tanto che  discutevano in modo civile, senza picchiarsi, senza insultarsi, senza reagire con gli sputi.

 Dopo qualche minuto di quell’esibizione non richiesta e mal tollerata, Mena era rimasta, però, incantata ad ascoltare quei due. Non aveva mai ascoltato attentamente qualcosa di così arguto, ritmico e poetico. Era stato un colpo di fulmine. Quando aveva mollato la scuola si era iscritta anche lei a un laboratorio online di musica rap. Avevano anche una sede, dove potevano incontrarsi, discutere e provare i pezzi che componevano. Per lo più erano ragazzi e ragazze che avevano, al massimo, la metà dei suoi anni. Lei, però era abituata a stare tra i giovani e non si sentiva per niente a disagio, anzi traeva enormi benefici dalla loro presenza. Nell’ultimo anno aveva l’aspetto di una che aveva fatto un gran bel lifting senza deformarsi.

Mena e Lina avevano scambiato qualche parola al cellulare, poi Mena aveva chiesto se poteva passare a trovarla nel pomeriggio. Voleva portarle alcuni biglietti per la gara di freestyle che stavano organizzando. Non potendo competere con quei fenomeni dei suoi ragazzi, Mena si limitava a dare qualche suggerimento  formale sui testi e soprattutto a curare alcuni aspetti organizzativi di quel laboratorio artistico, che era diventato la sua passione più grande. Quando qualcuno si scandalizzava per quella scelta di vita così drastica, per aver rinunciato al posto fisso statale, accontentandosi di una pensione minima, lei non  cercava neppure di spiegare. Era convinta che tanto – come diceva Guccini – non avrebbero capito, se non avevano capito già.

Lina aveva risposto che certamente l’avrebbe trovata in casa. Un attimo dopo le era venuto in mente che aveva terminato il tè. La sua amica il caffè non lo gradiva. Erano quasi le 11: doveva affrettarsi ad uscire, per poi rientrare a prepararsi il pranzo. In quel momento aveva sentito, per la terza volta, lo squillo del campanello. Si era avvicinata cercando di non fare rumore. Quel suo modo di muoversi le aveva ricordato la Pantera Rosa, il vecchio cartone animato  televisivo con l’indimenticabile colonna sonora del premio oscar Henry Mancini. Dopo aver controllato, aveva aperto, riconoscendo la signora Leda del terzo piano. Il postino aveva infilato per errore, nella sua cassetta delle lettere, una busta intestata a Carolina Cara. Era lei: Lina il suo diminutivo e Cara il cognome. Aveva ringraziato la signora Leda per quel gesto di cortesia, ed era quasi tentata di aggiungere che, meno male, nel palazzo, come dappertutto, c’erano anche persone gentili come lei. Poi aveva lasciato perdere, per non cadere nella tentazione di fare insinuazioni su altri condomini assenti, ma tutt’altro che innocenti. L’aveva invitata ad entrare, ma la signora Leda andava di fretta e dopo averle consegnato la lettera, era andata via.

Quando aveva aperto la busta era rimasta sbalordita.

Se vuoi vivere in tranquillità evita di commettere gli stessi sbagli. 

Fai la scelta giusta.

Lina era trasalita: una lettera minatoria – aveva pensato – molto vaga. Non capiva il senso di quella velata minaccia. Avrebbe dovuto andare dal maresciallo Esposito a sporgere denuncia ma, sapeva che non sarebbe servito a niente. Anche quando aveva segnalato la scomparsa di Ciccio, il suo cane meticcio, non le aveva riso in faccia, ma c’era mancato poco. Le aveva detto soltanto; “Signorina, ma lei davvero fa? Con tutti i casi di scomparsa di persone  e crimini vari, lei pensa che noi abbiamo il tempo di occuparci del suo cane? Vedrà che prima o poi tornerà. Ogne cane ca’ fuje sape ‘e fatt suoie”.* Poi, riguardando meglio la foto di un volantino che Lina aveva fatto stampare, aveva aggiunto: “Ma non è un cane di razza”.

Quelle parole scritte con caratteri enormi, l’avevano impressionata e aveva dovuto correre in bagno per una colica improvvisa.

Le uniche persone che manifestavano ancora qualche risentimento nei suoi confronti erano gli inquilini del primo piano. Erano convinti che dopo il “canino”, avesse preso anche due gatti: uno bianco e uno grigio. In realtà Lina, qualche volta aveva dato avanzi di pesce a quei poveri felini che sembravano un po’ denutriti, ma non era lei che li aveva portati a casa o chiamati. Lo sanno tutti che i gatti vanno dove gli pare, saltano, si arrampicano e scavalcano anche i muri più alti.

Gli inquilini del primo piano non erano soltanto poco tolleranti; se avessero potuto avrebbero dato fuoco anche a tutti i fiori che Lina coltivava nel suo terrazzo, perché attiravano gli insetti: api, vespe, calabroni. Erano persone fobiche, poco amanti degli animali e tanto meno socievoli con gli umani.

Lina aveva ripreso in mano la lettera che aveva lasciato sul tavolo e si era resa conto che i fogli, in realtà erano due, quasi incollati da sembrare uno. Il secondo foglio spiegava chiaramente la provenienza e l’intento del messaggio. Era soltanto pubblicità, per indurla a cambiare gestore di luce e gas. Anche sul primo foglio, in alto a destra, c’era una piccola dicitura, l’intestazione con il nome della compagnia, ma lei non avendo usato gli occhiali ed essendo un po’ ansiosa, non l’aveva notata e si era lasciata prendere dal panico.

*“Ogne cane ca’ fuje sape ‘e fatt suoje”: Ogni cane che scappa sa il fatto suo. (proverbio napoletano)

Serie: Di ora in ora


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Discussioni

  1. Anch’io trovo più affinità con le razze non umane, ai miei vicini preferisco i miei due coinquilini felini. Ho trovato divertente la parte della pubblicità “minatoria”, forse perchè di recente mi è capitato di frequentare un corso di marketing dove ho appreso alcuni meccanismi di comunicazione che non ho apprezzato. Il far leva sulla “paura”, in questi tempi oscuri, è uno di quelli che funziona meglio

    1. La dura legge del business: pur di vendere ogni metodo e` valido; per quanto discutibile o ai limiti dell’ illecito. In questo caso Lina era in tensione per il comportamento dei vicini e facilmente suggestionabile.
      Il suo cagnolino era l’ unico (in tutto il palazzo), di cui poteva fidarsi ciecamente, ma ormai era stato eliminato.
      Ciao Micol, grazie. Buona giornata a te e un grattino ai tuoi felini da parte mia.

  2. “Persino i gatti, nel cortile della scuola, si azzuffavano provocando un gran trambusto,”
    😂 ho una cara amica insegnante alla Primaria che combatte ogni giorno questa guerra

    1. Io li sento ogni giorno nel cortile della vecchia casa di mio padre. Si azzuffano spesso per un po` di cibo che metto nella ciotola. Certe volte arriva una banda intera di gatti dalle case vicine.

  3. Il racconto procede col passo felpato della Pantera Rosa. Spero in qualche sorpresa nei prossimi episodi così da coinvolgere maggiormente il lettore. Descrizioni sempre piacevolmente minuziose che ti caratterizzano sempre.

    1. L’intenzione di sorprendere ci sarebbe; spero di riuscire. Grazie per il tempo che dedichi alla lettura e ai commenti di questa serie, che richiede forse una attenzione maggiore rispetto ai singoli racconti.

  4. In un primo momento mi sono chiesto dove vanno a parare i personaggi, ho detto a me stesso “qui c’è troppa carne al fuoco” ma poi mi sono rivenuti in mente i romanzi V di Thomas Pynchon e, sopratutto, Infinite Jest di David Foster Wallace e improvvisamente ho cominciato a farmi cullare da questa prosa descrittiva fino all’evanescenza, da questi micro avvenimenti privi di logica che poi sono l’essenza della vita stessa, e mi sono rilassato, ho letto, ho apprezzato, mi sono abbacinato nel tuo utero narrativo, in posizione fetale, come un lettore prepubescente