La parete 

– Come lo preferisce il caffè, con zucchero o senza?

– Massí, una bustina, grazie.

– Di canna o bianco?

” Se lo avete di canna è meglio!”

– Canna. Ecco. Grazie mille.

Un giovedì qualsiasi in un bar qualsiasi di una città qualsiasi, stessa routine, stessa noia. Non cambiava mai niente e non succedeva nulla di nuovo. Un caffè, in fondo, era solo un caffè. Eppure, anche nelle domande più banali e semplici c’era una piccola traccia di lei. Versó sbuffando la bustina di zucchero per metà e la mise accanto alla tazzina con fare automatico, in attesa della sua mano agile e curata che avrebbe afferrato la bustina in un secondo, per poi versarne il contenuto restante nel suo caffè decaffeinato. Che poi, cosa sarà mai un caffè decaffeinato, insomma, che significa senza caffeina? Perché senza caffeina? Nessuno tira avanti senza caffeina.

Ma lei sì, con tutte le sue fissazioni sull’effetto negativo della caffeina e della raffinazione dello zucchero bianco e mille altre paranoie che non avevano mai trovato un ascoltatore degno di nota, neanche in lui. Però lui era stato un buon osservatore. E ora vedeva davanti a sé il ricordo di lei che, con un ghigno beffardo, si versava lo zucchero nel suo non caffè, mentre gli sorrideva felice. Tutto sommato, quel non caffè sapeva di felicità. Così la stanza si illuminava, i colori diventavano più vivaci e le immagini vivide, i discorsi delle persone più distinti e così anche le espressioni colorite, un vortice di emozioni e sensazioni, di cui lei sapeva esserne il centro indiscusso. Il mondo aveva ancora un senso.

Io non lo so cosa mi spinge ancora a rivivere nella mia mente certi momenti, certi discorsi, certe battute. Eppure, le rivivo giorno per giorno. Ogni volta che vengo qui e mi siedo su questa poltroncina rossa, penso che mi prenderò un caffè espresso e che starò qui per dieci minuti, anche se sto posto mi fa un po’ schifo. “Siamo vicini al bagno, così se mi scappa non faccio la fila”. Poi andrò a casa, sistemerò due cose al pc e molto probabilmente mi addormenterò di getto. Meno male che è giovedì.

In realtà, il giovedì non era un giorno sereno per Matteo, anzi, a dirla tutta il giovedì sapeva proprio di casa vuota da ristrutturare. Sapeva proprio di quello, mentre ricordava il momento in cui, totalmente disinteressato a partecipare alla discussione tra lei e l’agente immobiliare furbetto che voleva vendergli una casa che stava cadendo praticamente a pezzi, si era fissato su una crepe della parete della sala da pranzo. Una piccola crepa, nulla di che, ma che risaltava in modo particolare sull’unica parete solida e bianca della casa. C’era qualcosa di umano in quella parete e lui ne era rimasto affascinato.

“Che guardi amore? Stai bene?”

Ad essere onesto, insomma, quella crepa rappresentava un po’ una grande domanda velata. Un po’ un esame di coscienza magari. Metteva in discussione tutto quello che sapevo, la perfezione in primis. Avevo lavorato così tanto per essere competente nel mio lavoro, un buon amico, un bravo compagno, eppure quella crepa bianca sul muro sembrava dirmi che non era abbastanza, che per quanto volessi essere pulito, perfetto, ci sarebbe sempre stato l’eco dell’errore nella mia vita. E per quanto lei venisse lì, ad accarezzarmi il volto mentre fissavo la parete, nel vano tentativo di mettermi l’anima in pace, non c’era verso di togliermi il tarlo dalla testa. Che tu possa essere la mia croce.

Il tempo del caffè era finito. Si alzò, prese l’ombrello, pagò il caffè con una moneta sporca di calce bianca e si diresse verso l’uscita del bar. Lo aspettava una serata come tutte le altre, fatta di lavoro, un pc vecchio dalla memoria troppo piena e qualche sigaretta. “Guarda che il fumo fa male, ti verrà un cancro se continui così. Poi io come farò senza di te? Mi rispondi?”

Dimmelo te, Sara. Dimmelo te come fare, dato che sai sempre tutto, perché io mica lo so.

Lanció un ultimo sguardo al loro tavolino vicino al bagno, troppo piccolo per due persone e anche troppo piccolo per contenere il peso del rimorso di una sola persona. Si precipitò fuori prima che i ricordi venissero a galla, puntuali nel momento in cui usciva da quel bar che ai tempi del loro amore ne era stato il tempio, prima che gli salisse il cuore in gola, prima che fosse tardi. Però tant’è, ormai era tardi per tutto.

“Ehi ciao, scusami, mica ce l’hai una penna blu? Che a me quelle nere proprio non piacciono. Scusami il disturbo eh. Penserai che sono strana, un po’ è così, un po’ lo sono. Comunque piacere, sono Sara”.

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