La rosa e il suo custode
Guardo fuori dalla finestra. Alzo gli occhi al cielo è una mattina fredda, ma con i raggi del sole che scaldano qua e là qualche angolo della città. Sposto lentamente lo sguardo sulla strada, la gente è indaffarata già alle prime ore del mattino. Alcuni camminano a passi svelti, per raggiungere una metà a me sconosciuta, una sveglia suonata troppo tardi, un imprevisto improvviso è sfociato in una frenesia mattutina in corsa. Altri invece camminano a passi lenti, tutti con lo sguardo verso il basso. Le vetrine dei bar sono già aperte per accogliere i passanti all’interno, per scaldare le guance fredde dal gelo delle prime ore mattutine, e scambiare due chiacchiere al sorgere del sole. La città si è svegliata.
La mia attenzione cade su un venditore intento a vendere delle rose.
Rose di un rosso sgargiante di una raffinatezza non misurabile e quasi incomprensibile ad occhi comuni e a tratti indifferenti, occhi di uomini blindati da tutte quelle innumerevoli trappole sociali, troppo occupati per perdersi nell’ammirazione e nella contemplazione di un semplice fiore.
Tra più no che sì per strada, il venditore di rose riesce ad arrancare una quantità di spiccioli tali da scuoterli nella mano e provocare quel rumore, quasi fastidioso, di una moneta che si scontra con l’altra.
Il sole è calato e il giorno sta lasciando lo spazio al buio della notte.
Il venditore tra le mani tiene un’unica rosa, l’ultima. L’ultima e la sola ad essere stata scartata dagli acquirenti perché è l’unica che è caratterizzata da spine.
Le sue mani sono troppo stanche di provocarsi tutti quei tagli a causa delle sue spine e non sopporta più di portarsela con sé.
Sufficientemente soddisfatto del suo guadagno decide di liberarsi della rosa con un gesto semplice e veloce, gettandola a terra, consapevole che nessuno vorrà comprare una rosa con delle spine, pungente.
La Rosa cade a terra, e non fa in tempo a toccare il freddo asfalto della strada che subito viene calpestata da un passante.
Quella rosa di un rosso fuoco con le spine, sgualcita e calpestata da tanti resta lì, stesa a terra come un’anima innocente caduta in guerra.
Eppure resta pur sempre una rosa.
Passano i giorni, mi affaccio tutte le mattine alla finestra con la speranza che qualcuno abbia finalmente raccolto quel fiore innocente.
È sempre lì.
Il fioraio che l’ha coltivata però non ha in serbo questo per lei.
Improvvisamente un uomo vestito di nero si imbatte a passi lenti nella via dove giace la Rosa.
Arriva di fronte a lei, si ferma, la guarda e prosegue avanti, ennesima indifferenza, pensai.
Pochi secondi dopo l’uomo esce da un bar circostante con un piccolo bicchiere di vetro e con un fazzoletto bianco nella mano.
Torna a fianco della Rosa, si inchina, e con molta delicatezza, quasi con la paura di farle del male, la raccoglie, la ripone nel bicchiere d’acqua e se la porta via con sé.
Passano i giorni, continuo ad affacciarmi alla finestra, ma della rosa e dell’uomo non si vedono tracce.
L’inverno finalmente è giunto al termine, mi trovo in un piccolo bar intenta a consumare la mia colazione estiva.
Ammiro la gente che passa, contrariamente all’inverno durante l’estate la gente è più placata, calma, poco frenetica, “forse sono alleggerite dal lavoro” penso fra me e me.
Con la loro camminata calma riesco a cogliere i volti di ognuno di loro.
Improvvisamente vengo colta da una voce che interrompe la mia attenta attenzione posta sui volti dei passanti.
È un uomo, mi chiede se può sedersi accanto a me perché tutti i posti del bar sono occupati.
C’è qualcosa di familiare nel suo volto, credo di averlo già visto. Sorrido facendo un piccolo cenno con la testa. Si siede di fronte a me.
Tira fuori un fazzoletto bianco.
L’estate è calda, ma quel vento che arriva improvviso raffresca il corpo caldo, fino a sentire la necessità di coprirti come durante una giornata fredda d’inverno.
L’uomo davanti a me indossa una camicia bianca di lino, molto leggera, all’invenire della brezza estiva improvvisa indossa una giacca nera.
Eppure pure quella credo di averla già vista.
Coglie la mia attenzione il taschino destro, dove al suo interno si trova una rosa rossa.
Inizio a comprendere di aver di fronte quell’uomo che mesi fa raccolse la Rosa durante una fredda giornata di settembre.
Sorrido quasi impulsivamente guardandolo negli occhi. Mi nota, chiede il motivo della mia risata.
“Ho seguito la storia tragica di questa rosa dalla finestra di camera mia, ogni mattina mi alzavo sperando che qualcuno avesse raccolto quel fiore. Ho visto indifferenza e cattiveria nel comportamento delle persone, uomini e donne. Poi sei arrivato tu, perché? Perché si è sentito in dovere di raccoglierla? Ormai era un fiore sgualcito, poco valoroso e andato perso.”
Sorride pure lui, sospira e risponde.
“Vedi, l’indifferenza e la cattiveria fanno parte del mondo da sempre. Tutti noi abbiamo una parte buona e una cattiva, sta a noi capire quale vogliamo che si veda e soprattutto quale delle due rappresentare. Una volta scelto l’altra si perde piano piano, ma vedi, ci sono momenti in cui anche la parte che pensavi soppressa riaffiora e lì devi essere bravo a gestire ed è lì che una persona si conosce davvero.
L’uomo mediocre sceglie la via più facile, sempre.
Io non mi ritengo un uomo mediocre, non scappo di fronte a un’anima indifesa e fragile, aiuto a rialzarla e se non ci riesce, beh, mi stendo accanto a lei finché quest’ultima non trae forze da me per potersi alzare da sola.
Ho visto quella rosa a terra, non l’ho cercata, forse il destino mi ha portato da lei per prendermi cura di lei.
L’ho raccolta da terra, e sapevo che molti avrebbero continuato a disprezzarla per le sue spine. Non sarebbero mai andati oltre ciò che si vede al primo sguardo.
Era pur sempre una Rosa, e ti dirò di più, con una gamma di colori così particolare che solo l’occhio più attento può catturare.
Per non parlare del profumo che emanava anche lì, da terra.
Quella Rosa aveva da sempre un solo valore, e lo aveva anche nel momento in cui giaceva a terra, andava solo apprezzata da occhi che sanno andare oltre e raccolta da mani che non avevano paura di bucarsi, ma che al contrario avevano paura di far del male al fiore.
Adesso la porto qui, accanto a me, vicina al cuore, al mio. Un cuore pieno di spine come questa rosa, ma con un valore che solo pochi riescono a cogliere. Sai, a volte le cose fanno male, ma dal dolore si può imparare.
E poi, mia moglie amava le rose ogni sera vado a trovarla davanti a una lapide. Mi piace pensare che questa rosa sia lei e che mi abbia trovato lei.
Eravamo due rose spinose, litigavamo spesso. Eppure, tra mille rose senza spine sono sicuro che avrei scelto altre mille volte quella Rosa pungente e spinosa che era lei.
È facile amare una persona solo per i suoi pregi, per le bellezza che emana, quel tipo di bellezza viene vista da tutti. Ma quando ami i difetti, che per te sono pregi, e particolarità, vedi, è difficile smettere di amarsi. Ho scelto lei per come è e lei altrettanto.
E sono sicuro che anche lei dalle nuvole, anche con tutte le rose senza spine che vede, sceglierebbe me.
Penso che porterò questa rosa con me e spero un giorno di portargliela di persona.
Penso di aver risposto alla tua domanda.”
Si alza di scatto, non si gira e d’improvviso sentii il mio volto bagnato, sentii un solletico sulle guance, sono le mie lacrime che colavano giù come la lava di un vulcano.
Finalmente quella ragazza che osservava dalla finestra la Rosa aveva trovato finalmente il suo protettore.
E si dia il caso che la Rosa porti il mio nome e l’uomo il tuo.
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Toccante, allegorico ed estremamente significativo.
Non c’è molto da commentare, poiché è uno di quei racconti che va soltanto assaporato.
Brava!
Ti ringrazio molto, anche i tuoi sono estremamente belli complimenti
c’è nel tuo racconto una poesia fragile come quella rosa e altrettanto ostinata nella volontà di rimanere viva: come la memoria delle persone che abbiamo amato.
A mio avviso c’è qualcosa da rivedere qua e là nel testo: in particolare l’ultima frase, che forse sarebbe più efficace volta all’indicativo presente. E poi: il “tuo” (nome) a ci si riferisce?
correggo: non “a ci” ma “a chi”.
Ciao ti ringrazio in primis del commento. Questa poesia l’ho scritta in un momento delicato e in ogni cosa che scrivo ci metto sempre qualcosa di mio, della mie esperienze e quant’altro. “Il tuo nome” farebbe riferimento alla persona a cui ho scritto.