LA ROTTURA 

Serie: Il disgelo.


    STAGIONE 1

  • Episodio 1: LA ROTTURA 
  • Episodio 2: RINASCITA

Maggy aveva vent’anni. Vent’anni, quelli buoni. Guardava le cose con gli occhi di chi può avere veramente tutto. Sorride Maggy, e chi la incontra sente rinascere il sole, dove prima non c’era. Parlava di come avremmo dovuto vivere. Di come le multinazionali si prenderanno a poco a poco tutto quanto. Di come i lavoratori saranno sfruttati, e gli stati staranno zitti, perché se loro hanno tutto poi chi lo fa lavorare il popolo?

 Diceva che dove adesso nascono due o tre aziende per fare un lavoro, domani ve ne sarà una grande, ed impossibile da battere. Ricordava che dove adesso guardi le luci imponenti di zara, a via del corso, prima c’erano 4 o 5 artigiani, che producevano vestiti e scarpe. Era tutto diverso prima. Mi ripeteva.

Non so dove finiremo, singhiozzava, e le lacrime percorrevano come fiumiciattoli le rughe del suo viso, ormai segnate dal tempo. Si perché Maggy aveva vent’anni e adesso non li ha più. Ha visto i suoi anni scivolare via, come la sabbia dalle mani di un ragazzo sovrappensiero. E poi quello che ti rimane, mi diceva, è solo il ricordo di quello che hai fatto ieri. Noi abbiamo combattuto contro questo, si lamentava, con un filo di voce. Noi abbiamo provato a regalarvi un futuro prospero, ma come spesso accade, siamo arrivati tardi.

Non abbiamo visto il pericolo che si nascondeva dietro gli slogan che incitavano all’apertura delle frontiere, e al villaggio globale. Non pensavamo che avrebbero ignorato la parte bella e umana dell’integrazione e della tolleranza per gli altri popoli del mondo, tenendo invece solo i vantaggi di un capitalismo globale. E mentre quest’ultimo è proliferato, come scarafaggi nelle vecchie cascine abbandonate, la tolleranza invece si è trasformata in razzismo. Maggy continuava a parlare con me, alle lacrime si erano mischiate sul suo viso, le gocce di pioggia di un’autunno gelido.

Mi raccontava delle sue battaglie, e dei suoi amori, consumati tra gli ideali e i pugni chiusi, di una generazione che niente aveva da perdere..

La professoressa smise d’un tratto di leggere il mio tema.

Il suo sguardo era teso, e concentrato.

Sapevo che in fondo le piaceva. E le piaceva perché glie lo avevo cucito su misura. Come un sarto il suo vestito.

L’avevo imparato alle elementari. Quando cominciai a capire che dovevo scrivere per chi leggeva e non per me. Di solito bastava qualche descrizione stereotipata, o come ricordo di aver scritto in un tema in quinta” Sentivo l’anima correre via, leggera, come in una prateria”. Frasi ad effetto insomma. E leggere quelle parole scritte da un ragazzino di una decina anni ti fa sinceramente credere che esistano i bambini indaco. Invece erano solo memorie, di cose che non pensavo minimamente, o che addirittura non capivo. Ma che suonavano bene, e sapevo che alla fine ognuno legge quello che vuole, e non quello che c’è scritto.

La professoressa mi guardò. Sembrava una fottuta dea greca. Era giovane e bella. E anche intelligente.

I suoi capelli sembravano come di corda, e del colore della criniera di una leonessa. Sembrava, non so perché, una sorta di sfinge, in forma umana. Aveva attorno a se un alone di fascino, che costringeva ad innamorarsi di lei, tutti quelli che si avvicinavano a meno di due metri. Ricordo le sue lezioni, l’aria era densa, come se fosse fatta di burro. E anche se nessuno per orgoglio lo ammetteva, tutti rimanevano colpiti da quelle prime due ore del Lunedì. Eri fermo, immobile , all’ultimo banco a guardare la finestra aspettando il suono della campanella per fuggire via. Eppure, senza neanche accorgertene, venivi risucchiato da quella forza magnetica di fascino e bellezza.

Mentre tra le mani ancora teneva il tema letto a metà, guardandomi mi chiese.

<<Mmm…perchè non provi a fare un saggio breve?>>

Come una secchiata d’acqua gelida mi travolse. Ero andato li, per ricevere i soliti complimenti che mi facevano ormai da anni. Avevo anche finito in anticipo. Così che gli applausi fossero ancora più scroscianti. E mi trovavo invece, un compito in più da svolgere. Come aveva potuto smettere di leggere prima dell’ acme ? Cos’è, il mio tema non era abbastanza ipnotico per tenerla incollata altri due minuti?

Chinai la testa, tornai al posto, e comincia a leggere la consegna del saggio breve.

Era una noia mortale. Troppi paletti da seguire, troppe regole da rispettare e soprattutto poco spazio alla sfera emotiva, la mia arma vincente.

Mi aveva neutralizzato con una frase. Mi aveva messo letteralmente KO.

Feci il saggio breve, controvoglia si, ma lo feci.

Era troppo bella, non potevo disobbedirle, ma mi sentivo tradito.

Tornai a casa un po’ affranto. Non avevo mai studiato niente, non eccellevo in nessuna materia: tranne italiano.

Mi aveva tagliato le gambe, e soprattutto l’unica convinzione scolastica era crollata, sotto il peso di quella Dea, dai lineamenti perfetti e dall’animo oscuro.

La sera cominciai a sentirmi un po’ più strano del solito.

Pensavo e ripensavo a quello che era successo. 

 Era come se avesse messo il sale su una ferita aperta. Mi sentivo triste e tradito. L’adolescenza poi è quel periodo meraviglioso dove la sfera emotiva è paragonabile a quella di una donna incinta sotto LSD.

La Prof. mi aveva restituito il tema. L’avevo riletto e non capivo.

Mi sembrava scritto bene, mi sembrava toccasse le giuste corde, nei momenti giusti.

Il pomeriggio del giorno dopo, incontrai Greta. Greta era uno di quegli amori adolescenziali che nascono in primavera e muoiono in estate, durante la stagione dei primi bagni al mare. Greta era stata per me una conquista.

Avevo letto tutta l’antologia dei libri di seduzione, la PNL, avevo visto film che spiegavano in pochi passi come rimorchiare le ragazze. E finalmente, perdendo qualche chilo che avevo di troppo, ero riuscito, a farla mia. Per conquistarla avevo usato la tecnica della lettura della mano, che mi era stata insegnata in uno di quei sedicenti manuali americani. L’avevo avvicinata sorridendo, a scuola, l’avevo guardata intensamente negli occhi, e le avevo detto, con una fintissima convinzione, di saper leggere la mano. Avevo snocciolato delle banalità, mentre, guardandola, con l’indice le accarezzavo i lineamenti della mano. Furono 10 minuti intensi, ma bastarono, per riuscire a farmi guardare come fece Francesca quella sera d’estate.( Rimando a sopra le nuvole)

Ogni tanto uscivamo, io ero rigido, ed evitavo di aprirmi. Sembravo sempre, un venditore di Folletto, sull’uscio della porta, che cerca di entrare, ma che di se dice poco o nulla. Non riuscivo a lasciarmi andare, non riuscivo ad essere normale, sciolto, come erano quelli della mia età. Con Greta durai solo due giorni, cominciò a staccarsi da me sempre di più, minuto dopo minuto, e alla fine delle 48 ore ero di nuovo single. Ci rimasi male ,mi sentii come un bambino che perde il giocattolo nuovo nel tragitto tra il negozio e casa. Per risolvere il problema, qualche giorno dopo, cominciai anche ad andare in analisi.

Serie: Il disgelo.


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Discussioni

  1. Ciao Francesco. Ho apprezzato la caratterizzazione del tuo personaggio, è interessante come si sia “applicato” per costruirsi in modo da risultare un vincitore assoluto: senza vere convinzioni, proprie idee. La perfezione indotta porta alla catastrofe. Alla prima difficoltà si cade. Per vivere bisogna sbagliare ed imparare: cosa che sta apprendendo grazie alla sagacia della professoressa

  2. “Non abbiamo visto il pericolo che si nascondeva dietro gli slogan che incitavano all’apertura delle frontiere, e al villaggio globale. “
    Purtroppo, in gioventù, hanno venduto a tutti noi un sogno fasullo