
LA SCELTA
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
STAGIONE 1
La lettura riprese, le dita che sfogliavano le pagine con un ritmo più lento, quasi timoroso. Le parole scritte da Marco scorrevano come un fiume sotterraneo, portando a galla frammenti di vite lontane che si incrociavano in un punto preciso. Andrea non si aspettava più niente, eppure ogni riga era un nuovo sasso lanciato nel suo stagno fermo.
15 novembre 1975 — sera
A casa non posso parlare. Ogni parola arriva nel momento sbagliato. Mia madre è dappertutto: se tossisco, corre a scaldare il latte; se rientro dieci minuti tardi, resta in piedi in corridoio come una guardia notturna. «Come stai?» lo chiede sempre, ma non per sapere davvero: per capire cosa sistemare, come un rubinetto che perde.
Mio padre invece ha già deciso per me. Mi vuole ingegnere, “un mestiere che non muore mai”. Quando si ferma a parlarmi, mette in fila i consigli: «Studia matematica, evita i perdigiorno, scegli una ragazza perbene…». Oppure fa inventario: denti, vista, studio, futuro. È affetto, lo so. A volte pesa come una coperta bagnata.
L’altra sera è entrato all’improvviso. Mi ha fissato. Poi s’è seduto e ha detto: «A sedici anni gli ormoni lavorano… vuoi che ne parliamo?» Ho giurato che, se lo ripete, metto la sedia contro la porta. Ho paura che un giorno voglia controllare pure le mutande, “per vedere se tutto funziona”.
Andrea sentì una puntura d’invidia, secca e subito sparita. Nel teatro stretto di casa, Marco veniva visto. Troppo, forse.
Lui, a casa, era un mobile in ombra: lo notavano solo se ingombrava o mancava qualcosa.
E da quell’ombra, senza volerlo, riaffiorò un ricordo.
Otto anni. Suo padre seduto al tavolo, intento ad aggiustare un’automobilina con la pazienza di chi ripara una cosa viva. Andrea al lato, in silenzio, a osservare le mani grandi che svitavano e rimontavano pezzi come se il tempo non potesse finire. Non c’erano parole importanti: solo il rumore secco dei cacciaviti, un bicchiere di vino che si svuotava piano, il profumo di stagno bruciato. In quell’assenza c’era tutto: attenzione, spazio, respiro. Presente, in un modo che dopo non aveva più trovato.
Negli anni, quel suono era stato sostituito da frasi come: «Hai finito i compiti?», «Smettila e mangia», «Spegni la play». Porte chiuse dette in forma di domande.
Tornò al diario. Il fastidio per l’invadenza dei genitori di Marco gli si mescolò a un sollievo inconfessabile: almeno a Marco bussavano. Almeno qualcuno voleva sapere se respirava.
21 novembre 1975 — sera
Mi chiedo se esiste qualcuno che possa capirmi davvero, senza volermi cambiare. Ho provato con Stefano: ha riso. Basta. Oggi ho visto Profondo rosso. Non è il sangue: è quel modo di farti sentire seguito, come se un’ombra ti conoscesse meglio di te. Io vivo così quasi ogni giorno. Nel mio film non c’è musica: solo silenzio.
Tornando a casa sono entrato in libreria. Ho preso Ernesto di Saba. Ho pagato in fretta, senza incrociare gli occhi della commessa. A casa l’ho infilato dietro i manuali di fisica, quelli che mio padre considera indispensabili. Non l’ho ancora aperto davvero. Ma solo a sfiorarlo, sembra che mi bruci tra le mani.
Andrea rimase immobile, il diario sulle gambe.
Non aveva mai visto Profondo rosso, ma sapeva cosa voleva dire vivere con un’ombra appiccicata: la chat che non risponde, una storia vista e ignorata, quel “visualizzato” che ti lascia sospeso come una corda tagliata.
Non leggeva romanzi, figurarsi poeti. Eppure capiva benissimo il comprare un libro di nascosto: oggi è una scheda in incognito, un vocale riascoltato per la voce e non per le parole.
Gli occhi gli rimasero fissi su: qualcuno che possa capirmi davvero, senza volermi cambiare.
Se l’avesse scritto su WhatsApp, si sarebbero fatti una risata o avrebbero risposto con un meme. Marco la buttava lì, nuda, senza paura di sembrare fragile.
Si fermò sulla pagina, le dita immobili sul bordo, come per non farla scappare.
L’aveva aperto per curiosità, forse per noia.
Adesso aveva la sensazione che Marco sapesse di lui più di chiunque in carne e ossa.
Appoggiò il diario, prese il telefono. Cercò Profondo rosso: corridoi vuoti, ombre dietro le porte, un riflesso che ti guarda prima che tu te ne accorga. Sì: ecco la sensazione.
Poi digitò: Ernesto Umberto Saba. “Amicizia”, “attrazione”, “scoperta di sé”. Lesse due righe. Gli bastarono per un formicolio nello stomaco. Non per quello che dicevano, ma per il fatto che Marco quel libro l’avesse nascosto dietro i manuali. Adesso capiva perché: non era un segreto qualsiasi, era un segreto che poteva bruciare le mani.
Nascondere un libro allora era come oggi cancellare la cronologia: non lo fai per gli altri, lo fai perché non vuoi farti scoprire neppure da te stesso.
Chiuse il browser e nel nero dello schermo vide il suo riflesso sgranato. Per un istante gli parve di scorgere un’ombra alle spalle. Si voltò. Niente.
Aveva in testa la trama, non del libro, ma di ciò che significava: un ragazzino che scopre di voler scopare con un uomo.
Richiuse il diario.
Il respiro gli si era fatto corto, quasi strozzato, le spalle irrigidite come per respingere un pugno.
« Allora è vero. Frocio di merda.» sputò, senza freno.
Il peggio? Poco prima gli era pure simpatico. Uno storto di merda come lui, un po’ incazzato, un po’ triste. Ma così no. Così sembrava lasciarsi fottere.
Si passò la mano tra i capelli, rabbioso.
Per un attimo pensò di riportarlo in archivio. Poi la testa prese un’altra piega: poteva bruciarlo. Vedere le pagine accartocciarsi, la copertina che si arriccia, l’odore acre di colla e inchiostro bruciati che ti pizzica la gola. Il fumo denso che annerisce l’aria, graffiandoti gli occhi. Uno sputo in faccia attraverso il tempo. Un torto pulito al “culattone” Marco, a Marco che voleva farsi Lele, al martire succhiacazzi.
Gli venne quasi voglia di farlo subito: accendino, fiamma, fine della storia. Fine di lui.
Non lo fece.
Lo spinse nel cassetto, seppellendolo sotto videogiochi e custodie vuote.
Si sdraiò, occhi puntati al soffitto. Era deciso. O voleva crederci.
Ma nel silenzio un tarlo rodeva: chi nasconde una cosa che odia, vuole davvero perderla?
Serie: Ritrovarsi...
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- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
La rabbia di Andrea è esagerata. Forse è paura, come quando ci viene rivelato qualcosa che non vogliamo vedere. Ci arrabbiamo, ma poi cerchiamo di saperne di più per trovare una soluzione. Bravo, Lino. Al prossimo capitolo🙂
Hai colto bene: quella di Andrea non è tanto rabbia “pura”, ma piuttosto paura e spaesamento. Scoprire quel lato di Marco lo ha destabilizzato, perché iniziava a immedesimarsi in lui e a vedersi riflesso in quella fragilità. È lì che riemerge il vecchio Andrea, quello cazzuto e bullo, che reagisce d’istinto mostrando un lato oscuro che lui stesso detesta. La sua reazione è quindi ambivalente: rabbia in superficie, ma dentro c’è delusione, paura e un bisogno confuso di capire.