
La scomparsa
Serie: Il buco nero
- Episodio 1: La scomparsa
- Episodio 2: L’uccellino del cucù
- Episodio 3: La partenza
- Episodio 4: L’inverno di Dio
- Episodio 5: Gli echi nella tempesta
- Episodio 6: L’incontro perduto
- Episodio 7: Voci dal vuoto
- Episodio 8: La bambola morta
- Episodio 9: L’uomo dal cappotto grigio
- Episodio 10: Adele e Guglielmo
STAGIONE 1
Raggiungendo la zona della frana poco prima di sera. Eravamo due curve dopo la piazza. Io riuscivo a scorgere le sue spalle magre abbandonarsi alle ombre; appena un filo di nuca, il vento alto, la paura. Si era fatto tardi. Avrei preferito rimandare a domani, ma non ci fu verso. Era necessario stare sul posto e recuperare il possibile. Avevo prenotato una camera doppia in una pensione economica dei paraggi. Con la macchina avremmo impiegato poco, meno di venti minuti, qualcosa di più col buio – le strade non erano illuminate e d’inverno gelavano. La seguii con fatica, con un lieve tremito nelle gambe. Temetti che il punto della sua abitazione fosse già estinto. Quando riconobbe la strada, lei si fermò e respirò a lungo. Mi sarei aspettato che si voltasse, ma invece rimase immobile, accanto a un palo della luce. La frana aveva divorato tutto. C’erano i vuoti e le rovine polverose di un tempo già stato, irraggiungibile. Si avviò con un’aria trasognata, un po’ indolente, puntando a destra, subito dopo l’ultima curva. Ascoltai le rime dei suoi passi mutare, poi disfarsi, fino a svanire. Da quella sera non l’ho più vista.
Ritornai alla pensione dopo le undici. C’erano pochi clienti. La signora Elsa mi vide afflitto, cercò di capire cosa mi fosse successo. Io non avevo la forza di spiegarle e di parlare di nulla. Avevo desiderio di stendermi e ricordare. Lei lo capì e allora mi lasciò stare.
Non era credibile non ricordare il punto esatto oltre il quale avevo interrotto il contatto con la sua vita. Entrato in camera misi il telefono in carica, mi distesi e chiusi gli occhi. Riattraversai la resistenza alle ultime ombre del pomeriggio, l’arrivo delle tenebre sull’area estesa della frana, il passaggio di un corvo. I tratti delle abitazioni al margine del baratro esalavano l’odore della terra umida e delle ortiche pezzate di neve. Laggiù non c’era nessuno, soltanto quel poco di noi due. Avevo perlustrato tutta la zona circostante alla sua abitazione. Aveva undici anni quando aveva lasciato per sempre la sua prima casa. Mi sono accostato fino all’ultimo margine. Non c’erano luci o segni di vita, ma solo i tratti aspri della montagna irpina col suo mistero. Presto avrebbe nevicato di nuovo, come avevano detto lo stesso mattino, su a Torella, i suoi genitori.
Affacciandomi alla finestra vidi le montagne della notte. Restai impressionato dalla loro calma come dalla mia resistenza a tacere sull’accaduto. Di solito è l’ultima cosa che avviene quando ci si trova di fronte all’indesiderato, all’imprevisto. “Quanta neve”, pensai, vedendo qualcuno avanzare verso una macchina nera. Un uomo alto, robusto, con un cappello rosso di lana, che caricava qualcosa nel portabagagli. Riconobbi in quella persona il proprietario della pensione. Avrebbe cacciato con la neve alta, come un ossesso; era la sua grande passione. Chissà che cosa si prova a cacciare col freddo, a uccidere una lepre, un uccello o una pattinatrice fantasma. Poi suonò il suo telefono – Elvira lo aveva lasciato in camera. Era passata la mezzanotte. Mi toccò rispondere. Era Arianna, sua sorella. Mi parlava pianissimo, chiedendomi scusa per l’ora. Rimasi calmo, quando le dissi che Elvira era crollata. «Potete sentirvi domani, prima di partire, semmai» le feci. Voleva sapere a che ora saremmo passati. Rimasi sul vago, pensando che all’alba sarei tornato a cercarla, setacciando ogni angolo della frana – con la luce sarebbe stato diverso. Era inutile darle un’ansia prima del sonno. Conoscendola, non avrebbe dormito. Una notte insonne, come la mia, ma che avrebbe gravato sui genitori, ai quali non avrebbe nascosto nulla, come invece stavo nascondendo io. Quando ci salutammo, spensi il telefono di Elvira, poi a seguire il mio. Rimasi affacciato alla finestra della nostra camera, a fumare una sigaretta nel buio. Il proprietario stava caricando un fucile nel portabagagli della sua macchina.
Erano cominciate le vacanze di Natale. Non avevamo programmi. I suoi genitori ci avrebbero voluti su a Torella con loro. In realtà avevo alcune riserve, diversi impegni, ma soprattutto il desiderio di rimanere in solitudine con Elvira, in fondo non succedeva da tempo, c’era sempre qualcosa o qualcuno che ce lo impediva. Lei mi era sembrata predisposta a non prendere impegni con la sua famiglia, e a lasciare in sospeso il periodo delle feste. L’unica condizione che in parte mi aveva imposto era l’andata irragionevole sul luogo spaventoso della frana. Non mi ero sentito di contrastarla.
Avevo chiuso gli occhi intorno alle due del mattino, sperando di prendere sonno. La sveglia l’avevo messa alle cinque. La pensione era sommersa nel silenzio. Sarebbe stato il luogo ideale per dormire se non fosse accaduto nulla e se lei fosse qui con me. Le notti precedenti io ed Elvira eravamo crollati già dalle dieci, accordando lo stesso respiro nell’abisso.
Quando la sveglia suonò sbarrai gli occhi; guardandomi intorno feci fatica a realizzare in quale luogo mi trovassi. Mi alzai con lentezza. Fuori era tutto bianco, in uno sfondo irreale, opprimente. Sentivo alcuni cani abbaiare nel freddo. Disappannai il vetro della finestra, da cui scorsi campi di tenebre e distese di solitudine che soggiogavano gli occhi. Decisi di scendere subito e ritornare nel luogo in cui l’avevo perduta. Lasciai tutto com’era nella nostra camera. Se Elvira non fosse saltata fuori mi sarei intrattenuto ancora lì, sperando di non avere troppe domande da parte dei proprietari della pensione. Con i genitori e la sorella avrei atteso, pensando a quando avrei trovato il coraggio di coinvolgerli: «Elvira è scomparsa all’improvviso, dietro una curva. Eravamo entrati nella zona della frana, nei pressi della sua vecchia casa. L’ho sentita allontanarsi; poi non l’ho più vista, mi dispiace, davvero». Immaginando i loro visi bianchi, asciutti, le loro maglie d’inverno e il terrore irradiato dalle mie parole. Non avrebbero creduto a una situazione del genere. Erano abituati a sentirla tutti i giorni, specie di sera, quando la giornata finiva. Dovunque fosse, Elvira doveva sempre dare loro la buonanotte. Spesso eravamo insieme, a casa mia, e lei doveva telefonare e parlare con ciascuno di loro, prima con la sorella, poi con la madre, infine col padre, telefonate lente, fatte a occhi chiusi, con un filo di voce. Alcune sere mi spazientivo. Chiedevo il telefono, anche se non era urgente, ma lei non mi dava ascolto. Fino a quando non avrebbe sentito tutti e tre, per lasciare a ciascuno la sua personale buonanotte, non attaccava il ricevitore.
Camminavo col buio, avvolto in un cappotto nero, le mani tese in tasca, verso la frana. A quell’ora la neve era fresca, ma aveva smesso di fioccare. Il cielo era livido e vuoto, indistinguibile. Non riuscivo a immaginare quale sarebbe stato il suo percorso e il suo obiettivo. Una volontà pregressa di isolamento, di estinzione, in un luogo lontano della sua vita che le era caro; me ne aveva parlato poco. Era tutto smosso, vacillante. I lampioni che ogni tanto sbucavano dalle ombre erano fiochi, lucine basse e cimiteriali, che facevano fatica – un po’ come lei. C’era una neve bellissima lungo la zona dove Elvira era scomparsa. Imbiancata di una purezza sconosciuta, quando tradiva i tratti di un santuario bombardato di fresco.
Rimasi stretto nelle braccia, sbattendo gli scarponi per il freddo, nell’attesa del giorno, di un suo fischio canzonatorio. Il vento e il silenzio della neve rendevano incolmabile ogni distanza. Camminavo verso il margine ultimo, prima del baratro ammantato di neve. Chiamai a gran voce il suo nome. Poco lontani degli spari di caccia. Il suono perfetto dell’ora li rendeva cristallini. Non immaginavo che si potesse cacciare con un tempo simile. Non sapevo bene le regole, e nemmeno se gli spari fossero del proprietario della pensione. Non riuscivo a pianificare nulla, al momento. La mia unica certezza era tenere soltanto per me il segno della sua scomparsa, come se appartenesse al nostro rapporto, una sorta di esclusiva, come un abbraccio, una carezza più intima delle altre, una parola proibita all’orecchio. Rimasi assorto, inesistente, di fronte alle rovine della sua abitazione. Intravedevo una ringhiera, un albero spezzato che sfondava una tapparella. «Il terremoto bianco» mi disse lei un pomeriggio, parlando dei luoghi di un suo passato annientati dai ricordi. Ormai mi sentivo uno di loro. La frana, Elvira, il suo sorriso stanco, era tutto questo – come il profilo della ballerina di vetro in un suo sogno ricorrente. Dove avrei mai potuto cercarla? Non c’era altro.
Alle nove passate del mattino mi decisi a ritornare indietro. Ogni tanto passava qualcuno, a piedi o con la macchina, e mi guardava fisso, con un’aria perplessa. Era insolita la mia figura imbacuccata e dispersa, troppo cittadina. La neve aumentava e mi saliva ai polpacci, in un luogo trasfigurato e deserto, dove non accadeva più niente, ormai. L’unico processo tangibile e paziente era il disfacimento, con la fine delle cose, della luce, della vita. Ritornai verso la pensione con i denti che mi battevano. Avevo appetito, nonostante l’angoscia. Immaginavo di ritrovarla vestita di tutto punto, al nostro tavolo accanto alla finestra, con il viso assonnato, un pullover bianco, la minigonna di lana, i capelli in un nastro azzurro da scolara.
Serie: Il buco nero
- Episodio 1: La scomparsa
- Episodio 2: L’uccellino del cucù
- Episodio 3: La partenza
- Episodio 4: L’inverno di Dio
- Episodio 5: Gli echi nella tempesta
- Episodio 6: L’incontro perduto
- Episodio 7: Voci dal vuoto
- Episodio 8: La bambola morta
- Episodio 9: L’uomo dal cappotto grigio
- Episodio 10: Adele e Guglielmo
Ho visto che hai pubblicato un episodio oggi, ma dovevo cominciare dal principio. Storia davvero interessante! Mi intrigano molto queste sparizioni improvvise e misteriose.
Sono molto contento che la storia ti intrighi. Partendo dall’inizio, avrai di sicuro un quadro progressivo più completo, vivendoti la sparizione dal primo istante del suo mistero, toccando con mano il gelo del vuoto che la precede, il suo buco nero. Grazie davvero del tuo commento e del tuo interesse per la serie.
Ciao Luigi! Bellissimo inizio di serie. Il tuo modo di scrivere è affascinante, labirintico. Le frasi sembrano sfiorare il poetico, portando il lettore in un punto inaspettato. Questo mi fa pensare che la tua scrittura sia misurata al millimetro. Mi piacerebbe saper scrivere in quel modo😊 Qualcosa mi ricorda il primissimo Bevilacqua
Ti ringrazio davvero tanto delle tue parole e delle risonanze che ti hanno evocato, che mi onorano e mi confondono per la loro grande generosità, credimi. In questo dispositivo ho proprio puntato al labirinto, come fattore fondante su cui si articolano le varie arcate della narrazione e i parametri linguistici adottati per condurla lungo la nebbia dei suoi tornanti. Spero di cuore di trovare l’uscita. Una buona serata e buona scrittura. A presto.
Trama interessante, leggerò il seguito.
Grazie davvero per il tuo commento e il tuo interesse. Un saluto.
Trama interessante. Il testo è molto intenso ma ti chiedo se servono tutte quelle parole. Ragiona per sottrazione e secondo me sarà molto più fluido. Ma questo è solo un mio parere.
Grazie del tuo commento e della tua attenzione. Non so, parlo per me, quante parole siano necessarie per raggiungere un determinato equilibrio narrativo, con una sua fluidità o esattezza, ma almeno in questo episodio, trattandosi di una bozza già molto lavorata, e non scritta di getto, sento di avere utilizzato le parole che mi servivano per rappresentare una mia voce all’interno della storia per quella che era la mia necessità espressiva, con tutti i suoi limiti, le sue tortuosità, ma è quella che ho, intendo nel modo di organizzare e gestire il mio pensiero; al di là della quantità, quello che tu avverti credo sia una questione di modalità e di approccio stilistico che per essere cambiata, o. alleggerita, avrebbe bisogno di uno sradicamento complessivo di tutto il tessuto e non solo di una semplice riduzione. È come chiedere a un testo di Thomas Bernhard perché si ripete così tanto e non scorre come quello di Jonathan Coe. O perché Javier MarÍas non abbia la stessa asciuttezza ed economia di Carver: semplicemente perché si tratta di mondi stilistici differenti, che vivono i loro equilibri in una loro singolare dimensione. Di sicuro rifletterò sul tuo consiglio e non considero “La scomparsa” un episodio blindato a tal punto da non intervenirvi più, ma al momento non vi avverto ridondanze o gratuità tali da dover operare ulteriori tagli, ma solo una modalità stilistica ormai interiorizzata, che però, suo malgrado, o per mia disgrazia, non saprei… è l’unica che mi racconta.
Condivido il tuo pensiero. Ogni scrittore ha il suo stile ed usa le parole come meglio crede.
Ma è chiaro che fino all’ultimo potrà sempre ritornare sul suo scritto e cercare di migliorarlo. Spesso le prospettive, specie nelle riletture a distanza, possono cambiare sensibilmente, anche di molto. È un processo molto lungo e pieno di sorprese. In ogni caso, a fine stagione, tornerò sui singoli episodi e vedrò, a distanza, come risuonano. Un saluto.
«L’unico processo tangibile e paziente era il disfacimento»
Scorgo in questo testo un perfetto esempio di utilizzo del registro narrativo, armonizzato in modo egregio con la drammaticità della storia. L’abbondanza di dettagli, descrizioni, emozioni fluisce intensa ma in qualche modo controllata, frenata – forse, dovrei dire congelata.
Come nello spazio interstellare, dove regna lo zero assoluto, qui i vortici rallentano fino a fermarsi. Questo modo di scrivere non solo asseconda il senso dell’abbandono, ma lo sdoppia: il protagonista stesso non cerca aiuto, non si confida. La netta percezione da parte del lettore è quella di una fine annunciata, ineluttabile. Quasi, l’avverarsi di una profezia. Perché questo, in fondo, è la vita.
«Restai impressionato dalla loro calma come dalla mia resistenza a tacere sull’accaduto.»
Prendo questa frase, tra le tante simili tutte cesellate ad arte, come esempio di utilizzo dello scenario quale vettore psicologico. Le montagne mute, invincibili, fanno da eco alla rassegnazione del protagonista.
Il mistero si manifesta in tutta la sua forza già nelle prime due righe, a riprova di una decisa intensità narrativa. Gli elementi visibili sono verosimili e vividi a un tempo: una frana, il freddo invernale, la solitudine, il silenzio. Tutto è tremendamente possibile; tutto, se non vero, altamente probabile. Ma tra questi solidi appigli della trama, a cui l’autore fa continuamente ricorso, si intravedono fratture appena percepibili, eppure già preoccupanti. Elvira appare sfuggente: «in un luogo lontano della sua vita che le era caro; me ne aveva parlato poco… Elvira, il suo sorriso stanco… Chiedevo il telefono, anche se non era urgente, ma lei non mi dava ascolto.» Una frana, un terremoto bianco che presto, a mio parere, manifesterà tutta la sua potenza con il dipanarsi della storia.
Non credo, da autore, di poter consigliare nulla al bravissimo Luigi. Ma come lettore forse sì, confidando di fare cosa utile. Innanzitutto, in questo testo specifico proverei ad ampliare i periodi, artifizio che diminuirebbe le numerose sequenze brevi di frasi puntate. Inoltre, rivedrei il ritmo di pubblicazione, anche qui rallentandolo quel tanto che basta: creare un minimo di suspense non potrà che renderci più dipendenti.
In breve, un inizio di serie magnetico, impostato con vera maestria. A una forma encomiabile si aggiunge il contenuto altamente valido… nulla di improvvisato, senza dubbio. La suggestione visiva del testo, particolarmente spiccata, mi ha riportato all’epoca degli “sceneggiati”; in particolare, questo copione del nostro Luigi, le cui immagini ho visto scorrere sullo schermo in bianco e nero, potrebbe avere come sigla «A blue shadow» (nell’arrangiamento di Berto Pisano).
https://youtu.be/r2zofYeDIoo?feature=shared
Caro Robért, nel tuo commento vi sono degli stimoli profondissimi e appropriati, che sembrano far parte di un tessuto di per sé autonomo, pregno di una sua poetica, che si innesca e intercetta in modo naturale le mie evocazioni, la mia ricerca linguistica che tenta di sopravvivere al suo stesso buco nero, che tu hai esemplarmente codificato nella tua rilettura. Le tue osservazioni sono la prova di uno sguardo attento, ma soprattutto sensitivo alla materia magmatica che sto sperimentando e articolando all’interno di questo laboratorio utile e costruttivo.
Posso dirti che hai centrato elementi nucleici, sia per quanto riguarda la configurazione e il comportamento introspettivo dell’assente, la scomparsa, che dà il titolo all’apertura della serie, ma nello stesso tempo il gelo e il senso primigenio di vuoto che la circonda e la potenzia nella sua diramazione di scintillii e risonanze. In effetti quelle che tu hai centrato sono le dominanti cromatiche sulle quali sto tentando di marcare, o allineare, il tratto, la sua possibilità di chiaroscuro, di sfumato, di perenne invisibilità alla sensazione del sentirsi vivi, al cercarne le prove, le testimonianze, per ogni istante di respiro o di apnea. Nella voce e nello sguardo del protagonista, si avverte la tensione costante, direi seduttiva in più punti, nel fare di questo vuoto la traiettoria di un suo orgasmo costante con lo stesso mistero, che mentre lo atterrisce lo innamora. Da cui l’interazione fra sfondo, ambiguità, silenzi, interruzioni. La telefonata a occhi chiusi, con un filo di voce che rallenta ed estenua la cose da dire, o forse da tacere, alla famiglia lontana, con cui Elvira comunica, o trasfigura nel contatto del suono il suo preludio di perenne espiazione-sparizione, è parte del mio rapporto con la lingua, con la modalità del segno e la marcatura del suo peso, della continua contrattazione con la controparte del suo silenzio.
Tutto quello che hai sentito, e che in parte hai visto, in questo groviglio di sinestesie pronunciate a fil di labbra, quasi nel mezzo sonno, è la prova di quanto tu abbia recepito in modo diretto tutto il processo visionario in combustione, dove i personaggi diventano essenza o saggio del proprio sfondo, o della propria assenza di sfondo – vedi Elvira – e lo sfondo si fa componente creaturale, pathos, passaggio gelido dello sfondo, che a volte si trapianta nell’ombra di un corvo, nel soffio di un fantasma dietro una nuca.
Riguardo alle tue considerazioni sull’ariosità e la maggiore dilatazione dei periodi, sto verificando un’alternanza di contesti, in cui la frase possa testimoniarsi in conduzione più orizzontale che verticale. Ci farò attenzione, dal momento che questi rapporti possono condizionare le varie inquadrature e direzionare su più fronti e dimensioni la natura oscura dell’impulso.
Ti anticipo che dopo questi primi episodi vi sarà una dilatazione della pubblicazione dei successivi, anche perché le valutazioni dello sviluppo di questa prima stagione risentiranno di un’analisi minuziosa dell’assetto formale e stilistico più giusto per assecondare gli affluenti narrativi che saranno messi in gioco con le loro problematiche.
Ottimo lo spunto dallo sceneggiato con musiche di Berto Pisano. Davvero appropriato per il contesto. Ti ringrazio ancora per la tua preziosa dedizione a questa mia prova. A presto.
È un testo che va letto con i suoi tempi, non è semplice da digerire.
Le descrizioni e l’atmosfera opprimente che caratterizzano la storia emergono notevolmente, riflettendosi sul lettore.
L’unica cosa che mi sento di consigliarti è di alleggerire il testo in qualche punto, in modo da rendere la lettura più fluida.
Seguirò con piacere.
Ciao, Giuseppe e grazie della tua attenzione al mio scritto e del tuo consiglio. Posso dirti che questi episodi li considero ancora elementi di un laboratorio aperto, quindi processi itineranti dove cercherò di fare tesoro delle suggestioni e degli arricchimenti di altri scrittori, come lo è stato il tuo. Rifletterò e rileggerò. Un grazie sincero per il tuo commento.
Ciao Luigi. Ho riletto un paio di volte il tuo testo, cercando di calarmi dentro esso per sbrogliare quel groviglio bellissimo di metafore e voli pindarici che, con maestria, fai fare alle parole. La tua scrittura è colta, complicata. Non ti si legge per coprire un’attesa, ci vuole la giusta dose di attenzione. La storia è molto bella e la maniera così frammentata e onirica di raccontarla, mi ricorda molto uno splendido film di cui adesso mi sfugge il nome. Può darsi che, durante la lettura dei prossimi episodi mi torni in mente. Davvero bravo.
Grazie, Cristiana. Uno degli elementi preziosi di questi confronti è il fare tesoro dello sguardo altrui. Nelle tue interessanti sensazioni avverto una miriade di sfumature che mi rendono più consapevole e responsabile. Il groviglio lo avverto profondamente ed è un fattore magnetico, propulsivo, se non genetico del mio mood di scrittura, che nello stesso tempo rischia di strangolare l’idea, l’evocazione, se non gestito con la giusta cautela e sensibilità. Durante lo sviluppo degli episodi, che sono parte di un mio processo di ricerca ancora in itinere, quindi ancora aperto a svariate svolte e possibilità, vorrei cercare una serie di compromessi e di schiarite nelle varie inquadrature sintattiche dove si smuovono le immagini, ma soprattutto quello strato di non scritto, e di evocato, quella sorta di vuoto d’aria, in cui vorrei essere intercettato in filigrana, così come è appena accaduto con te. Sono poi curioso di scoprire il titolo del film. Ancora grazie della visita.
Un bell’inizio. È fredda e gelida anche la scrittura. Scostante e devastante.
Ciao, Fabrizia. Mi riconosco tantissimo nelle tue sensazioni ancora vive. Ti ringrazio del bel commento. Alla prossima.
Bellissima e straziante l’immagine finale. Mi piace molto la tua scrittura. Hai la capacità di scegliere e dosare le cose da dire e da non dire, ci lasci nella giusta sospensione del mistero. Molto bravo.
Ciao e grazie della visita. L’immagine che hai colto è il cuore pulsante, dell’episodio, forse di tutta la stagione, o di quelle che potrebbero succedersi, chissà. Hai colto in pieno il nucleo delle risonanze e il senso delicato di questa particolare assenza/essenza/presenza. Posso anche dirti che è il passaggio di questa prima parte su cui ho lavorato di più. Era il più fragile e insieme il più radioattivo con cui ho combattuto fino all’ultimo istante di stesura. Il tuo commento mi conforta non poco. Ancora grato e onorato del tuo ascolto sensibile, ti auguro una buona serata.
Quasi angosciante. Ma dov’è finita Elvira con quel tempo e la neve a coprire tutto? Ah la curiosità! Attendo veloci sviluppi. Bravo Luigi!
Buona sera, Giuseppe. Grazie della tua lettura e del tuo commento. È un mistero anche per me quello della scomparsa di Elvira. Spero di addentrarmi con le dovute difese e resistervi. Buona scrittura e in gamba per il tuo bel percorso. A presto.
La tua scrittura ha un qualcosa di tetro, complice l’ambientazione che hai descritto. Un buon inizio!
Ciao, Nicola. Hai colto nel segno – in parte anche nel sogno, direi. È un mood che sento molto e che va trattato con grande equilibrio, sia nelle introspezioni che nelle descrizioni. Basta un niente a sbavare. È una questione di tratto, che sto cercando di definire lungo la progressione della storia con la giusta intensità. Grazie del commento. Buona serata.
Mi solleticano le tue immagini scure e la loro sovrapposizione frenetica.
Grazie, Roberto. Ne sono contento. Sono tonalità che sento molto.