La sigaretta

Finita la sigaretta pochi minuti prima dell’arrivo del tram, la ragazza sbuffò l’ultima nuvola di nicotina e gettò un poco convinto occhio verso il cestino dei rifiuti, titubò, desistette, e infine affidò il cadavere cilindrico ancora fumante al vento che, con poca convinzione, lo spinse contro il piede di un uomo dall’aspetto smunto e la barba incolta. Fu tentata di distogliere lo sguardo.

Lui, dal canto suo, non sembrava passarsela tanto bene: visibilmente solitario e sventurato, occupato per lo nel mestiere di sopravvivere, non aveva l’aria di uno che si fa i fatti degli altri, se non, forse, per chiedere qualche spicciolo sui marciapiede. Un poco velato sarcasmo riuscì nondimeno a liberarsi dalle sue labbra asciutte: «Nel cestino non c’era spazio?»

Il seppur inaspettato affondo trovò una guardia ferrea nel temperamento della giovane, già pronta in posta difensiva: «Che differenza fa? Una cicca in più non cambierà il mondo, questo posto non tornerà mica pulito per una sigaretta in meno.»

Lui sorrise appena e alzò lo sguardo teatralmente, come fosse parte di un copione ripassato spesso su più palcoscenici, o forse solo quest’unico: «E se ci fosse una persona che ogni mattina getta via una cicca altrui, nella speranza di rendere il mondo un po’ più pulito, giorno dopo giorno?»

«Nessuno fa cose del genere, nel mondo reale. E di certo non c’è nessuna persona del genere qui,» ribatté la ragazza, riferendosi con un gesto alla grigia città, probabile causa principale del cinismo di cui, senza però ammetterlo apertamente, andava piuttosto fiera.

E lui si chinò, indugiando sulla cicca ancora fumante, ma invece ne colse una che stava lì vicino da chissà quanto, dimenticata persino dalla giocosa mano di Eolo. La prese tra le dita, fece un solo passo verso il cestino e la gettò via. «Quella persona,» disse poi, volgendosi a guardarla solo all’ultimo, «sono io.»

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