
La tettoia dei giochi di Vince (1/3)
Serie: L'angoscia e l'ignoto
- Episodio 1: La mia casa è laggiù (1/4) – Sogno numero uno
- Episodio 2: La mia casa è laggiù (2/4) – Sogno numero due
- Episodio 3: La mia casa è laggiù (3/4) – Fuori dal sogno
- Episodio 4: La mia casa è laggiù (4/4) – La scelta
- Episodio 5: Polvere (1/2) – Memento, homo
- Episodio 6: Polvere (2/2) – Come la sabbia nella clessidra
- Episodio 7: L’App delle risposte (1/2) – Quando moriremo?
- Episodio 8: L’App delle risposte (2/2) – Ore 02:37
- Episodio 9: Inferno (1/2) – Luce e ombre
- Episodio 10: Inferno (2/2) – Occhi
- Episodio 1: Babau
- Episodio 2: Il Diavolo fa le pendole (1/2) – Dissonanze
- Episodio 3: Il Diavolo fa le pendole (2/2) – Oscillazioni
- Episodio 4: La tettoia dei giochi di Vince (1/3)
- Episodio 5: La tettoia dei giochi di Vince (2/3)
- Episodio 6: La tettoia dei giochi di Vince (3/3)
STAGIONE 1
STAGIONE 2
03,13. La sveglia proietta l’ora, una tenue luce rossa sul soffitto. Unica fioca fonte di luce nella stanza buia.
Mi sono svegliato all’improvviso con la sensazione di non non riuscire a respirare, come quando ci si desta a causa di un incubo che sta rivelando troppo del suo contenuto inconscio. Ma la sensazione di soffocamento non dipende da quello. Qualcosa mi riempie la bocca e mi impedisce di deglutire. Qualcosa che tenta di scivolare al fondo della lingua e che mi provoca i primi conati di vomito. Sento che il mio respiro è più simile a un rantolo: il muco ostruisce lo spazio che è stato creato per il passaggio dell’aria richiamata dalla depressione che i polmoni attivano quando il diaframma li espande.
Scaravento a terra la coperta e mi sollevo di scatto in posizione seduta. Il muco sul fondo della gola si muove secondo la forza di gravità. Tento ancora di deglutire, ma la mia bocca è spalancata in una parodia di urlo. Sento la massa semiliquida che procede lungo la sua strada: un bivio, una possibilità su due che prenda la via sbagliata. Con la mano destra cerco l’interruttore per poter vedere qualcosa e soprattutto capire qualcosa. Accendo la luce e dopo qualche secondo gli occhi si abituano alla nuova condizione di luminosità. Mi volto verso lo specchio e vedo qualcosa che mi terrorizza, se possibile, ancora di più di quanto già io sia terrorizzato.
Le mie guance sono gonfie. Dentro la mia bocca spalancata qualcosa di bianco. Il fatto di riuscire a vedermi mi fa capire il motivo per cui sto soffocando. Porto entrambe le mani verso la bocca e inserisco le dita facendo leva tra la cosa bianca e la commessura labiale. I polpastrelli sentono una superficie curva, calda, leggermente setosa. Sì, ho capito di cosa si tratta. Quello che non capisco è come tutto questo sia possibile. Spingo le dita verso l’esterno e percepisco subito un sollievo dato dalla riduzione della tensione delle guance. Poi il rumore, che non è netto e regolare come dovrebbe, dato il miscuglio di saliva, muco e striature di sangue che imbratta quelle piccole sfere bianche. La prima che riesco a espellere è più pulita, la sento rimbalzare sul parquet di legno. Le altre due producono un rumore che rivela la sostanza viscida da cui sono coperte e che adesso mi cola sul mento fino al collo. Finalmente riesco a ristorare i polmoni con una quantità di aria fresca che arriva a destinazione con un verso quasi inumano, un urlo liberatorio che mi fa intuire tutto il dolore del pianto di un neonato appena uscito dal grembo materno. Inspiro ed espiro. Urlo ancora.
Inspiro ed espiro.
Inspiro ed espiro.
Poi mi alzo per andare verso il bagno, ma non riesco ad arrivare in tempo. Uno dei conati, più forte degli altri, mette in mostra sul pavimento davanti a me, sui miei piedi nudi e su due delle tre palline bianche, quelle che non sono riuscite a fuggire, ciò che resta della cena della sera prima.
– – –
«Una partita?» proposi.
Il locale dal nome altezzoso Old Irish Beer&Food, era noto per essere rimasto identico a quando era stato inaugurato, quasi quarant’anni prima. Gli stessi tavoli in legno che riportavano incisioni dovute alla quantità di alcol che aveva rallegrato le serate tra amici, le stesse panche da tre posti, quattro se ci si stringeva un po’, i giochi da tavolo con cui era possibile trascorrere qualche ora in un altra epoca.
Per non parlare degli avventori: i clienti storici, quelli che all’epoca dell’inaugurazione avevano appena preso la patente, che si ritrovavano spesso a bere e a ricordare i vecchi tempi; i ventenni di oggi, ragazzi e ragazze che apparivano così diversi rispetto ai primi, ma che altro non erano che cloni inseriti in una sceneggiatura riveduta e corretta dal tempo. Infine noi, la via di mezzo, uomini e donne che avevamo iniziato a frequentare il Pub durante la sua lunga vita e che non riuscivano a restarne lontani per troppo tempo.
La parte esterna del locale era la più gettonata dalla primavera all’autunno. Sotto una tettoia facevano mostra di sé quelli che io chiamavo i grandi giochi: due tavoli da biliardo, due da calcetto (calcio-balilla c’era scritto su una delle due fiancate) e un tavolo da ping-pong. Quella zona era gestita da Vince, un uomo di età indefinita con una folta chioma e una lunga barba quasi bianca. Era lui che distribuiva l’occorrente per utilizzare quelle attrezzature, che controllava che tutto fosse tenuto in ordine e che nessuno impegnasse i giochi per troppo tempo, in modo da lasciare spazio a tutti. Nessuno osava contraddire Vince. In realtà nessuno ricordava di averlo mai visto davvero incazzato, ma si narravano storie nei suoi confronti, storie che nessuno aveva voglia di sperimentare se fossero reali o classiche leggende di paese.
Per quanto ne so fui il primo ad avere un battibecco con Vince, almeno all’interno del Pub. Accadde una sera d’estate quando avevo invitato una carissima amica che non vedevo da tempo. La mia idea era di proporle una selezione di assaggi delle ottime spillature. E nel caso non fosse stato sufficiente, il passaggio a qualche liquido più serio avrebbe potuto giocare a mio favore. La mia idea era quella di non terminare la serata con il semplice doppio bacio sulla guancia.
L’alcol aveva fatto il suo effetto, ma la serata non era terminata nel modo in cui speravo. Dopo la terza birra lei aveva accettato la mia proposta di giocare a ping-pong, una sorta di sfida con noi stessi per vedere quante palline saremmo riusciti a intercettare in quelle condizioni. Vince ci aveva fornito il necessario: due racchette e una confezione da tre palline bianche. Tutto aveva funzionato in modo perfetto: il gioco, le risate, le allusioni al dopo-partita a casa di uno o dell’altra.
Finché non commisi quello che si rivelò essere l’errore più grave che avrei potuto commettere. Per fermare l’ennesima pallina che non ero riuscito a intercettare con la racchetta, la rincorsi e la calpestai schiacciandola sul cemento ruvido.
Serie: L'angoscia e l'ignoto
- Episodio 1: Babau
- Episodio 2: Il Diavolo fa le pendole (1/2) – Dissonanze
- Episodio 3: Il Diavolo fa le pendole (2/2) – Oscillazioni
- Episodio 4: La tettoia dei giochi di Vince (1/3)
- Episodio 5: La tettoia dei giochi di Vince (2/3)
- Episodio 6: La tettoia dei giochi di Vince (3/3)
“un urlo liberatorio che mi fa intuire tutto il dolore del pianto di un neonato appena uscito dal grembo materno”
Altro che finale al cardiopalma, questo è un inizio al cardiopalma!
Grazie!
Ho provato a evocare in qualche modo la sensazione dell’aria che torna a riempire polmoni, come dopo una lunga (troppo lunga) apnea.
Mi sono smarrito in mezzo agli episodi. Questo mi sembra che stia all’inizio di qualcosa ma correggimi se mi sono ingannato.
Hai uno stile efficace, sebbene debba saperne di più sul conto di quelle palline. In ogni caso, stimola la curiosità, quindi andrò avanti.
Ciao Angelo. Sì, è il primo episodio del racconto di tre episodi complessivi. La serie è nata come raccolta di racconti.
Grazie per la lettura, per il commento e per la fiducia sul prosieguo 🙂
All’inizio mi hai fatto salire un’ansia assurda, sembrava di soffocare insieme al protagonista. Scrittura viscerale, diretta, senza fronzoli. L’ho letta trattenendo il fiato. Poi il cambio scena al pub: dal terrore puro alla nostalgia di quei locali che conosciamo tutti.
Mi è piaciuto molto il collegamento tra le due storie con le palline da ping-pong, trovata davvero inaspettata.
Forse avrei staccato un po’ di più tra l’incubo e il pub, giusto per far respirare il lettore. Ma per il resto, gran bel pezzo!
Ciao Mariano. Grazie.
Concordo con la nostalgia di quei locali senza tempo. E quello da cui ho preso spunto esiste davvero, da 40 anni, e alcune delle persone che ci lavora dentro sono le stesse di allora. Penso che di giorno dormano dentro bare riempite a metà di terra 🙂
Tornerò alla prima scena più avanti: ho provato a staccare così nettamente tra le due parti del racconto, nei due sensi, immaginando un cambio di scena cinematografico. Lo rileggerò tenendo conto della sensazione che ti ha dato.
Leggevo la prima parte e dicevo: stanotte me lo sogno, stanotte faccio pure io l’incubo😅..scherzi a parte, sei stato davvero bravo a scegliere i tempi della narrazione. Prima l’angoscia, in apparenza assurda, e soltanto dopo ci spieghi il motivo…leggere la seconda parte con l’immagine di quell’incubo già in mente è di una potenza notevole…
Ciao Irene. Tornerò all’incubo più avanti… Come dicevo rispondendo a Mariano, ho provato a fare alcuni “stacchi” da montaggio cinematografico. Leggendo i vostri commenti mi viene in mente di provare a riscrivere il racconto come una sceneggiatura. Questa estate ci proverò.
Dall’angoscioso, la narrazione si snoda in una situazione di apparente normalità, ma è un’illusione; la figura (allegorica) del Vince si prefigura incombente e il banale incidente con la pallina rischia di trasformarsi in qualcosa che ridesta apprensione. Letto con piacere, grazie
Il “Vince” incombe… 🙂
Ho provato a “montare” il racconto partendo dall’orrore per poi rallentare con la sequenza “tranquilla”, per poi tornare all’orrore (nei prossimi due episodi).
Grazie a te e a presto.
“Per fermare l’ennesima pallina che non ero riuscito a intercettare con la racchetta, la rincorsi e la calpestai schiacciandola sul cemento ruvido.”
… ed è qui che Vince s’incazza…
… e di brutto!