La tettoia dei giochi di Vince (3/3)

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Non posso pensare di essere sconvolto fino a questo punto: qualcuno è entrato in casa.

Indugio ancora con il rinfrancante getto di acqua appena tiepida. Anche se vorrei uscire subito da questo luogo che adesso mi provoca un senso di decisa claustrofobia, prendo ancora un po’ di tempo per riempire la bocca di dentifricio e tentare di annullare quel sapore disgustoso che non riesco a mandare via. Poi mi sposto verso la camera da letto seguendo ciò che ho lasciato per terra come un moderno, e più fortunato, Pollicino che segue le molliche di pane lasciate cadere dalle tasche e che nessun animale ha portato via. Mi viene da ridere: sì anche qui c’è del pane… Pulisco alla bell’e meglio con un intero rotolo di carta igienica, poi prendo un panno bagnato per togliere ogni residuo.

Sono più calmo adesso. Sono ancora convinto di voler uscire di casa, ma non ne sento più l’urgenza di prima. Ho voglia di sentire l’acqua scorrere sul mio corpo. Regolo il miscelatore della doccia a una temperatura alta, mi libero di quanto ho ancora addosso e mi godo il senso di pulizia e di rilassamento della doccia calda. Fermo sotto il getto d’acqua, le pareti di vetro che via via si appannano fino a impedire di vedere al di là, passo il palmo della mano sulla condensa e il mio cuore salta un battito.

Uno scatto fulmineo mi porta il più lontano possibile da quella visione facendomi battere la schiena contro il miscelatore; il dolore è acuto. Mi sento urlare, ma è come se quella voce arrivasse da lontano. Perché non il mio non è solo un grido di dolore, ma soprattutto di terrore per aver visto, al di là del vetro, quel viso di età indefinita, circondato da folta chioma e da una lunga barba quasi bianca. Il viso di Vince.

Spingo istintivamente le mani in avanti a protezione del mio corpo che la nudità mi fa sentire come estremamente vulnerabile. Ma al di là del vetro non vedo più nulla. Pulisco ancora la superficie trasparente dal vapore e dalle gocce d’acqua: quella visione si è dissolta. Inizio davvero a pensare di essere io il problema. Io ho riempito la mia bocca con quelle sfere, io le ho acquistate chissà dove; e sempre io ho creato questa vivida visione.

Ho bisogno di aria fresca. Mi sposto in camera da letto per recuperare abiti puliti e adatti alla notte invernale. Prenderò l’auto e andrò in città, riesco a pensare meglio mentre guido. Mi asciugo velocemente e mi vesto. I capelli sono ancora bagnati, ma non ho tempo né voglia di asciugarli: quando sarà in macchina alzerò al massimo il riscaldamento.

«Cosa sto facendo?» Potrebbe essere un pensiero, come ne passano tanti nella mia mente in questi frenetici istanti. Però sento la mia voce.

«Cosa sto facendo?» ripeto a voce alta. Potrei convincermi che si è trattato di un incubo, adesso che ho gettato tutto nella spazzatura, comprese le tre palline. Se non controllo il sacchetto, se scendo e lo butto nel bidone in strada, cancellerò ogni prova e potrò pensare di aver sognato. Mi resterà il dubbio, ma in questo caso il dubbio è preferibile alla sicurezza.

Appoggio le mani sul bordo del lavabo e chiudo gli occhi per recuperare un minimo di logicità nei miei pensieri. Quando li riapro lui è lì, riflesso nello specchio: il suo sguardo ha perso ogni parvenza di umano. I suoi occhi sporgono dalle orbite in modo osceno. Sono troppo grandi, troppo bianchi, come… Urlo ancora, questa volta è un urlo che esprime terrore e rabbia.

«Che cazzo vuoi? Cosa vuoi da me?»

Vedo il riflesso nello specchio sollevare una mano e portarla verso il mio viso. Il pollice e le altre dita formano una sorta di pinza che si avvicina alla mia gola. Lui sorride poi gonfia le guance a tal punto che la pelle inizia a cedere.

«Cosa vuoi?» Urlo mentre batto forte il pugno sullo specchio mandandolo in frantumi. La sua immagine si moltiplica in mille immagini più piccole. Poi svanisce. Mi volto di scatto, ma dietro di me non c’è nessuno.

«Vaffanculo il pensiero logico!» La mia voce è ancora molto alta, acuta, instabile. È il momento di uscire, adesso, subito…

Riesco solo a fare un passo prima di avvertire una sensazione di gelo che mi paralizza. Il silenzio è perfetto, neppure il rumore del mio respiro; anche il cuore sembra essersi fermato per permettermi di ascoltare meglio. Il suono è inconfondibile: il rimbalzo di una pallina di plastica leggera sul pavimento. Un battito regolare, non accelerato dalla diminuzione progressiva dell’energia della pallina ad ogni rimbalzo.

Poi sento un altro suono, identico al primo. E un terzo, e via via decine e decine di rimbalzi che riempiono ogni spazio di silenzio. Finché i rimbalzi diventano un unico suono, una vibrazione continua che sale di frequenza ogni secondo che passa.

Non riesco a respirare. Qualcosa mi riempie la bocca, le guance mi fanno male tanto sono gonfie. Qualcosa scivola verso il fondo della lingua.

Vorrei chiedere scusa, ma dalla mia bocca esce solo un miscuglio tra un sibilo e un gorgoglio.

Vorrei urlare quella parola, ma non riesco più a parlare.

Forse se la urlo forte nei miei pensieri lui la sentirà e mi perdonerà.

Forse, se immagino di urlare con tutta la forza che mi resta.

Forse.

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Davvero geniale e sconvolgente allo stesso tempo questo tuo racconto. Forse, fra i miei preferiti della serie, ma te lo avrò detto chissà quante altre volte 🙂
    Mi ha ricordato il vecchio zingaro di King, quello che punta il dito e ti dice ‘Dimagra’ e da quel momento, non ne esci più.
    L’idea di vomitare palline da tennis mi terrorizza! Riuscitissimi i personaggi, soprattutto il protagonista.
    Un’ottima lettura.

    1. “Dimagra”! Mi hai fatto tornare in mente quel romanzo di King (Bachman): L’occhio del male. Non uno dei suoi lavori migliori, ma mi aveva colpito per le situazioni di “normalità” che affrontava. E forse quel vecchio zingaro era rimasto nascosto in qualche angolo della mia mente…

  2. Inquietante e ben scritto. Trasmette davvero il senso di panico e perdita di controllo. L’atmosfera diventa sempre più tesa e surreale, ma resta credibile fino alla fine. Mi è piaciuto il modo in cui la narrazione alterna lucidità e delirio senza staccare il lettore.