
La tromba di Paolo
Era quasi sera, quando Betta, Susi e Gi’ erano arrivate a Berchidda. Le note si diffondevano nell’aria, da una parte all’altra del paese, muto, nell’ascolto, in religioso silenzio, di un grande suonatore jazz. Chi non era andato in Piazza del Popolo o al parco utilizzato per la seconda parte del concerto, aveva spalancato le finestre, non solo per il gran caldo, ma anche per accogliere il canto della tromba che si insinuava tra i vicoli del centro abitato e tra gli alberi, fino ai piedi delle colline intorno. In quel paese di tremila anime – compresi gli spettatori, i turisti e i curiosi – non c’era il rischio di perdersi. Per sapere dove si esibissero i musicisti non c’era bisogno di chiedere spiegazioni: bastava ascoltare e seguire il suono degli strumenti, come nella fiaba del pifferaio magico.
“Time in Jazz” il grande festival musicale estivo, dopo tanti anni, era divenuto, ormai, un noto evento internazionale, con numerosi artisti importanti, provenienti da ogni dove.
Il piazzale era gremito di persone assorte nell’ascolto di quel talento fenomenale che, scalzo, appollaiato sopra un albero come un grande volatile canterino, stava suonando la sua tromba.
Aveva iniziato da piccolo, nella banda musicale del paese, poi si era innamorato delle sonorità di un grande trombettista jazz, afroamericano, che aveva sentito alla radio, e aveva deciso di dedicare la sua vita per contribuire a diffondere un genere che era anche sinonimo di libertà, di fratellanza e di riscatto umano.
La ragazza di “The journal of music” aveva un appuntamento con lui. Aveva studiato la sua biografia, conosceva il suo carattere mite, la sua voce pacata, il suo eloquio lento, il suo modo di sembrare così umile, alla mano. Il grande successo non aveva alterato nessuna delle sue virtù; era stata, anzi, la molla che lo aveva spinto a girare il mondo, a incontrare e a confrontarsi con i più grandi musicisti internazionali, a crescere e diventare grande anche lui, senza montarsi la testa, mantenendo i piedi per terra, possibilmente scalzo. Mary Spencer era giovane, aveva iniziato il suo lavoro di fotoreporter freelance da pochi mesi, e nonostante parlasse molto bene l’italiano e conoscesse la lingua parlata in quella parte dell’isola dove avevano vissuto i suoi nonni e – per molti anni – anche sua madre, si sentiva emozionata e persino impaurita, mentre aspettava la fine di quell’esibizione che aveva qualcosa di suggestivo e di ammaliante.
Aveva preparato la lista delle domande da porgli, ripassandole a memoria, mentre Paolo Fresu, col suo fiato portentoso, modulando il respiro, continuava ad incantare non solo gli astanti ma anche i più distanti.
Gli avrebbe chiesto se usasse la respirazione circolare per suonare il suo strumento in quel modo. Quante ore di esercizio al giorno fossero necessarie per mantenere una resistenza così prolungata. E se fosse altrettanto importante l’esercizio fisico, per sviluppare l’efficienza dell’apparato cardio-circolatorio e respiratorio. Se praticasse qualche sport, se partecipasse alle maratone, o se andasse a nuotare ogni giorno nello splendido mare della sua isola, come faceva il commissario Montalbano, in Sicilia. E, naturalmente, quale fosse il tipo di alimentazione più adatta.
Era molto indecisa se fosse il caso di porgli qualche domanda più personale sulla sua situazione famigliare e sentimentale, per appagare la curiosità di certi lettori o lettrici, fanatici del gossip, o nella speranza che quel bel fusto di quercia fosse ancora scapolo.
Una sua amica, chitarrista dilettante, vedendolo in tv nel programma di Stefano Bollani e Valentina Cenni, era rimasta folgorata e aveva tentato di farle consegnare una lettera, proponendosi come allieva, o assistente tecnico, o segretaria o portaborse.
«But how stupid you are!» le aveva detto, lanciandole addosso la busta. Mary non sopportava nemmeno l’idea che una ragazza e tanto meno una sua amica, si ridicolizzasse in quel modo, per qualunque uomo al mondo, che fosse Paolo Fresu o Miles Davis i persona, risuscitato e ringiovanito di cinquant’anni.
Mary Spencer, prima di partire, considerava Paolo Fresu un soggetto interessante per la sua carriera professionale di fotoreporter e nulla più. Aveva ascoltato molti pezzi dei suoi concerti su You Tube; aveva visto e rivisto tante volte le sue partecipazioni ai programmi televisivi più recenti. Da Via dei matti numero zero, a Generazione bellezza, e a Splendida Cornice, come ospite della conterranea Geppi Cucciari; fino all’anteprima di Geo e Geo, in una visita guidata a Berchidda, nella rubrica condotta da Fiamma Satta. In quell’ultima apparizione televisiva, col suono magico della tromba, Paolo Fresu aveva incantato persino i cavalli che, in aperta campagna, si erano avvicinati a lui, porgendo la testa per avere un contatto fisico con quella fonte magnetica.
Aveva ascoltato i brani dell’album Tango Macondo e letto articoli e recensioni sulla messa in scena, in teatro, della storia tratta dal romanzo di Salvatore Niffoi Il venditore di metafore. Allo spettacolo avevano dato lo stesso titolo dell’ album musicale che accompagnava la narrazione.
Insomma aveva fatto tutti i compiti per benino, non era arrivata da Londra fino a Berchidda, per incontrare il grande trombettista, come una sprovveduta, facendosi trovare impreparata. Era partita fiera e baldanzosa: la classica secchiona, in realtà, così come era sempre stata la prima della classe.
Mary pensava, e intanto porgeva l’orecchio per apprezzare quel genere di musica che in fondo non capiva, eppure le piaceva, mentre penetrava ogni cellula del suo corpo attraverso le vibrazioni. E le sue gambe; forse per il caldo; forse per la stanchezza; forse per quel ritmo così vibrante; forse per l’emozione di quel momento tanto atteso, cominciavano a vacillare.
Quando Paolo Fresu aveva smesso di suonare, era sceso dall’albero e, senza infilarsi neppure un paio di sandali, le era venuto incontro, riconoscendola per averla già vista in foto e per la macchina fotografica professionale che portava al collo.
Mentre lui le porgeva la mano, lei, con la vista annebbiata, era cascata ai suoi piedi, come una cretina abbagliata dal sorriso di un grande artista.
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Ciao Maria Luisa, grazie per questo racconto, fa parte di una serie? La fine sembra sospesa, mi hai fatto venire voglia di leggere il seguito 😉
Quanti ricordi! Ho ascoltato Paolo Fresu nel 2011 a Siddi, nel centro più nascosto della Sardegna; una serata magica, dove tutto sembrava essersi fermato ad ascoltare il suo suono, così morbido che la sua tromba sembrava fatta di burro. Ci eravamo fatti oltre cento chilometri e ci eravamo persi più volte, ma poi l’emozione fu impagabile. E’ una persona così mite, dolce: alla fine del concerto mi feci fare l’autografo. Quando suona così rannicchiato, anche sulla sedia, con le gambe contorte, sembra impossibile riesca ad avere un suono così bello.
Grazie a te per aver condiviso il tuo ricordo su Paolo Fresu e grazie per l’ attenzione che hai avuto per questo mio breve racconto. La storia continuera` con altri episodi.
Fanno parte di una serie/non serie che puo` essere letta anche come se fossero racconti autoconclusivi. “La tromba di Paolo” e` legato ad altri 11 brani precedenti, da “Ginetta la vendetta”, in poi, che potrai ritrovare facilmente tra i miei libriCk.
Buona giornata
“Paolo Fresu aveva incantato persino i cavalli che, in aperta campagna, si erano avvicinati a lui, porgendo la testa per avere un contatto fisico con quella fonte magnetica.”
❤️
Cara Maria Luisa, mi sembra sempre di ripetermi, ma ogni nuovo episodio mi sento di dire che diventa il mio preferito. Per quanto riguarda la nota musicale, mi unisco a Carlo quando dice che il Jazz non è nelle sue corde, tuttavia la tromba è uno degli strumenti che più amo essendo onnipresente nella musica centro e sudamericana. Fresu l’ho sentito in un concerto poco distante da casa in una location molto suggestiva, all’interno di una fabbrica dismessa. Ho amato molto l’immagine che hai creato del musicista, scalzo mentre suona sull’albero. Come ti è venuta? L’hai visto veramente? Devo anche spendere parole sulla tua scrittura che mi pare limarsi e perfezionarsi ogni volta. In questo racconto, in particolare, le tue parole assomigliano a lievi onde di mare. Se ne sente perfino il profumo. L’ho adorato. Bravissima.
Ciao Cristiana, non so se con queste mie parole riusciro` ad espremerti la mia gratitudine. Sai bene quanto sia importante il parere degli altri autori che leggono i nostri racconti: possono incoraggiarci o metterci in crisi. E forse serve l’ uno e l’ altro; anche le critiche costruttive possono aiutarci a scrivere meglio. Ma cio` che ci sostiene maggiormente e` la sensazione di essere capiti e poter ricevere delle conferme sul nostro impegno nella ricerca continua di un miglioramento nella forma e nei contenuti. Tutto questo non solo ci gratifica, ma ci da` anche una forte motivazione per andare avanti. Ci spinge ad un impegno ulteriore, per non deludere chi ci segue e per non restare delusi noi stessi. Percio` Grazie.
Paolo Fresu lo conosco indirettamente, soprattutto attraverso le tante foto inviate da una mia amica appassionata di jazz. La sua abitudine a stare scalzo l’ ho sentita da lui stesso in una delle interviste su You Tube. In una delle foto di Time in Jazz del 2021, lui suona la tromba stando sopra lun albero, scalzo, ed e` da questa immagine che ho preso lo spunto. L’ho visto anche in tv, tante volte, nei programmi che ho elencato. Personalmente non l’ ho mai incontrato e non ascolto mai musica jazz; almeno fino ad ora; poi, in futuro, chissa`.
Al prossimo concerto ci diamo appuntamento, così magari ci ricordiamo. Ma sul jazz, si può ballare? 🤭
*ricrediamo, non ricordiamo
L’ unica volta che ho assistito ad un concerto jazz, tanti anni fa, alla fiera di Cagliari, non ballava nessuno.
Già 😉
Molto bello anche questo episodio, dove introduci altri personaggi veri e di fantasia nella storia di fondo. Non conoscevo il festival di Berchidda ma io e la musica jazz non riusciamo a trovare una nota in comune purtroppo…Non vedo l’ora di scoprire come si incastrerà questa storia con le tre eroine! A presto “zia” Maria Luisa
Ciao Carlo, grazie del tuo puntuale supporto. Come si incastrera`questa storia con le tre eroine e` una bella domanda. Boh! Per ora non lo so neppure io. Devo spremere le meningi, come diceva la mia maestra.
Ciao, un abbraccio.
Fresu, grandissimo musicista con una ancor più grande sensibilità sociale. Bello questo racconto, Maria Luisa, bello e gioioso, ben documentato e con un simpatico pizzico di scanzonata ironia. Un caro saluto.
Ciao Nyam, grazie. Apprezzo molto Paolo Fresu, grande trombettista e motivo di orgoglio non solo per noi sardi. Lo apprezzo soprattutto dal punto di vista umano, come musicista, non essendo un’ esperta, mi fido del parere di chi lo segue e sa entrare in sintonia con il jazz. Io su questo genere – direbbe Sgarbi – sono ignorante come una capra. Per scrivere questo racconto ho dovuto documentarmi. Mi e` servito per imparare qualcosa di nuovo.
A presto Nyam, ti auguro un buon fine settimana.