L’aeroplano di carta 1/3

Serie: L'aeroplano di carta


Lo chiamavano l’Aviere e aveva un sogno: costruire l’aeroplano di carta più resistente che fosse mai esistito. Forse non era solo un sogno, forse c’era davvero riuscito. Lo si capiva dal suo sorriso quasi senza denti, che metteva in mostra un volto ancora bambino, non ancora segnato dagli affanni degli adulti, o da quei capelli spettinati che non si curava nemmeno di sistemare. Forse c’era davvero riuscito.

Quel giorno teneva in mano un piccolo aeroplano, probabilmente costruito con la carta trovata nel cestino, e infatti c’erano ancora delle piccole macchie di inchiostro, a testimonianza del loro uso precedente. Era un bel giorno per provare l’aeroplano. Fuori c’era il sole e spirava una leggera brezza proveniente dal mare, proprio quello che serviva per far volare ancora più lontano l’aeroplano. Erano diversi mesi che il bambino aspettava quel momento. E finalmente il grande giorno era arrivato, dopo averlo sognato a occhi aperti davanti alla finestra, sperando con tutto se stesso che fuori uscisse il sole.

Per essere stato costruito da un bambino l’aeroplano era ben bilanciato. Le ali erano abbastanza larghe da sostenere tutto il peso e abbastanza leggere da essere veloce. Quell’aeroplano doveva essere perfetto, doveva portare con se tutti i suoi sogni, le sue speranze e i suoi desideri più segreti. Doveva volare in alto e non fermarsi più, doveva essere visto dagli adulti, così presi dalle loro cose, per ricordargli che la vita è fatta anche di altro; doveva essere visto dai bambini e dagli anziani, per farli continuare ancora e ancora a sognare, fin quando non si fossero stancati. Insomma, doveva essere visto da tutti.

Eppure, forse il destino era contrario, forse non voleva regalarci un bene così prezioso, prezioso quanto il fuoco donatoci da Prometeo o forse, fu solo il caso. Perché quando l’aeroplano scivolò silenziosamente dalle mani cariche di emozioni di quel bambino, si accasciò al suolo, probabilmente messaggero di troppi sogni che non poteva realizzare, speranze più simili a illusioni e desideri troppo lontani dalla realtà. Cadde senza un minimo di rumore, senza neanche essere notato dalle tante persone che affollavano il marciapiede, come se non fosse mai esistito. Cadde senza un minimo di rumore, come le lacrime che lentamente scivolarono lungo il viso di quel bambino e che bagnarono quelle mani che mai più avrebbero riprovato a costruire un aeroplano simile.

Da quel giorno quel bambino non fu più lo stesso, non volle più essere chiamato l’Aviere e preferì dedicarsi alle barchette, nella speranza, che almeno queste, non lo deludessero…

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