L’amante fanciullo e il vecchio saggio ferito

— Il suo abbandono ha creato in me un amante fanciullo ed eterno. Non so ancora chi sia stata la colpevole o il colpevole, l’unica che abbia prodotto questo risultato, questo incrocio che mi tiene sempre in bilico e mai veramente autentico. Dall’altra parte c’è il vecchio saggio ferito che mi osserva in continuazione dalla sua collina, puntandomi addosso il bastone ogni qual volta mi sento sbagliato o in colpa, o sento di aver commesso peccato. Questo non aiuta a far nascere il fanciullo che diventerebbe l’amante incarnato e l’eroe che mi libererebbe dalle catene del giudizio di quel dannato vecchio bavoso. 

Il tuo Andreius, 

dicembre 2025 a.C.

Nacque così, l’amante fanciullo ed eterno.

Non in un giorno preciso, ma in una lunga evaporazione di presenze, come l’acqua lasciata sul fuoco troppo a lungo. Nessuno seppe dire chi se ne fosse andato per primo, né quando l’assenza avesse smesso di essere un fatto e fosse diventata una struttura interna. Da quel vuoto prese forma lui: giovane, affamato, assetato di sguardi che non giudicassero. Un amante senza corpo definitivo, sempre sul punto di incarnarsi e sempre trattenuto un passo prima della pelle.

Viveva in una casa interiore fatta di corridoi sospesi, porte mai del tutto chiuse, specchi che restituivano un volto a metà. Amava con intensità sproporzionata, come se ogni incontro fosse l’ultima possibilità di salvezza. Cercava l’altro non per possederlo, ma per essere finalmente autorizzato a esistere. Ogni carezza immaginata era una richiesta di permesso.

Dall’altra parte, sulla collina, stava il vecchio saggio ferito.

Non era nato vecchio. Era diventato tale a forza di sopravvivenza, stratificando regole come cicatrici. Portava un bastone nodoso, non per camminare, ma per indicare. Indicava colpa. Indicava errore. Indicava il confine oltre il quale il desiderio diventava peccato.

Ogni volta che il fanciullo provava ad amare davvero, il vecchio tossiva.

Ogni volta che il corpo si accendeva, il bastone batteva a terra.

Ogni volta che il cuore accelerava, una voce diceva: “Attento”.

Il fanciullo lo sentiva sempre, anche quando fingeva di no.

Lo sentiva mentre sorrideva a una donna. Lo sentiva mentre desiderava. Lo sentiva persino mentre si sentiva libero.

Così rimaneva in bilico. Né innocente né colpevole. Né santo né animale.

Un amante senza eroismo, perché l’eroe richiede un corpo che agisca, non uno che esiti.

Ma un giorno, senza preavviso, accadde qualcosa di impercettibile.

Il vecchio saggio smise di indicare. Non perché guarito, ma perché stanco.

Il bastone scivolò di lato, piantandosi nella terra della collina come una radice inutile.

Il fanciullo se ne accorse tardi.

All’inizio pensò fosse una trappola. Poi un’illusione. Poi una pausa momentanea del giudizio.

Ma il silenzio rimaneva.

Fu allora che il fanciullo fece qualcosa di inaudito.

Non corse verso l’altro. Non cercò nessuno da amare.

Restò. Restò nel corpo. Nel respiro. Nel desiderio non ancora pronunciato.

E in quel restare, senza applausi né punizioni, accadde l’incarnazione.

Non diventò un eroe rumoroso. Non spezzò catene con gesti epici.

Semplicemente smise di chiedere scusa per esistere.

Il vecchio, dalla collina, osservò in silenzio.

Forse capì. Forse no.

Ma per la prima volta, non puntò più il bastone.

E il fanciullo, finalmente amante, non ebbe più bisogno di fuggire.

Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni