L’arrivo di Lara in albergo

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il resoconto del poeta si conclude con la scoperta di essere stato ingannato dal suo amico Edo, il quale, con la complicità del direttore della rivista, ha usurpato i suoi versi pubblicandoli col suo nome.

«La sera stessa feci le valigie e ritornai in Italia,  sognando una vendetta culturale mirabile, dimenticando tutto ciò che di buono o cattivo mi fosse mai accaduto, per dedicarmi a una rivista dove collezionare altri miei scritti autentici, nuovissimi e rivoluzionari, firmandoli di mio pugno e controllandoli in tutte le fasi di germinazione, in modo che nessuno al mondo avrebbe mai potuto usurparmeli» disse Stanislao.

«Dovevi stare più attento. Depositare prima di ogni cosa i tuoi scritti, proteggerli, marcarli, prima di darli in pasto al primo venuto. Non mi spiego tanta ingenuità da parte di una persona colta e intelligente quale sei, ma con poco senso pratico, riconoscilo; è stato un tranello, un inganno, quello che vuoi, d’accordo, ma tu ne sei responsabile quanto loro» gli dissi.

«Era il destino, caro avvocato. Non altro. Non potevo immaginare che sarebbero arrivati a tanto» mi fece il poeta, con aria sfatta, rassegnata.

«Sono d’accordo con Gustav» disse Ariele, alzandosi da tavola e avvicinandosi alla finestra. Eravamo tutti delusi dall’accaduto, e mai come in quel momento il progetto di una rivista/rivalsa poetica ci elettrizzava, come se fossimo ritornati i compagni di classe di un tempo, ma stavolta uniti da un legame più solido e profondo dei nostri vaghi riverberi di scuola, ormai al confine con l’inesistenza. Quanto silenzio. Svanito il cameriere non volava più un’anima, nella camera e in tutto l’albergo e in tutta la vita, nemmeno in strada. Pensavo alle possibilità di svolta che la sventura letteraria capitata al povero Stanislao avrebbe riservato alle nostre reciproche vite, assai più definite e consuete rispetto alla sua.  Non pensavo più a Lara, ormai; mi sembrava inutile aggiungere altri fattori di disturbo in una fase già così problematica e cruciale. 

«Allora che si fa? Come dobbiamo organizzarci con la rivista? È prevista una data precisa di partenza?» dissi a Stain, cercando i suoi occhi assenti, che si ostinavano a guardare fuori, verso la strada notturna, arroccandosi in un mutismo improvviso che mi inquietò.

«Perché non mi rispondi? Proprio adesso che siamo arrivati al punto più importante! Dovrai pure addestrarci sulla tua idea di poesia, su come cominciare per essere degni dei ruoli che ci hai attribuito, non credi? E poi, come ben saprai, noi due non ne sappiamo di poesia quanto te, quanto meno della corrente dell’ermetismo lirico. Insomma, chiudersi nel silenzio proprio adesso, lasciandoci a bocca asciutta sul più bello, non so, non mi sembra giusto» gli dissi, fissando Ariele, che balbettava dei versicoli a mezza voce, prima di prendere fiato e ripartire.

«Io, volendo, potrei trovare dei validi sostituti per la mia attività commerciale. Ho due nipoti, dei tipi davvero in gamba e disponibili. Nessuno di loro ha un’attività fissa, ma li so grandi esperti in materia di armi. In diverse occasioni me lo hanno dimostrato. Giustino è un grande esperto di coltelli, per esempio. È il mio nipote più piccolo. Ha una conoscenza minuziosa sulle lame, i modelli, i manici, la qualità dei materiali, dei disegni. L’altro, Foster,  conosce a perfezione tutte le armi da fuoco. È un grande specialista di armi semiautomatiche, come la Sig Sauer, così di fucili. Ha la stessa competenza per le armi da fuoco di suo fratello Giustino per le armi da taglio. Se quindi la rivista dovesse assorbirmi più del dovuto, con il loro aiuto riuscirei a conciliare il carico del negozio senza problemi. Non so tu, mio caro Gustav, con lo studio legale, il tribunale, dovrebbe essere alquanto più difficile trovare dei sostituti e degli spazi da dedicare alla rivista. Ci hai già pensato? Immagino di sì» disse Ariele, guardandomi con apprensione, sentendosi più forte nella possibilità di poter gestire con maggiore autonomia la sua nuova – eventuale – attività letteraria, critica o poetica che fosse, che dopo il triste resoconto di Stanislao cominciava a diventare per entrambi una realtà incontrovertibile, alla quale adeguare tutte le altre, e non più il contrario.

«Non credere che non ci abbia pensato, e fai attenzione a non confondere l’attività di una rivista con un lavoro di ufficio. Sarebbe un errore gravissimo! Ciascuno metterà a disposizione le sue forze, nelle modalità e nei tempi compatibili. È inutile dirti che non potrò lasciare in altre mani le mie cause come potrai fare tu col tuo negozio di armi, ma non è escluso che potrei dedicarmici la sera, cercando all’interno della rivista dei ruoli compatibili con il mio tempo e la mia attività allo studio; e poi ho Lara, che è una validissima dattilografa, non dimentichiamolo. Con lei sarà più facile organizzarmi e raggiungere un certo equilibrio tra le due dimensioni. Credo che potrò organizzarmi.»

Soltanto allora il poeta Stanislao diede un segnale di vita, mentre fissava con insistenza un’immagine dalla finestra.

«Guarda caso, avvocato, tua moglie Lara è proprio qui sotto. Vieni pure a vedere, avanti. Sta guardando verso di me. Punta solo la mia finestra, corri, prima che vada via.»

E io accorsi, insieme ad Ariele. Eravamo con i visi vicini, che si toccavano, mentre Lara alzava la testa, poi sollevava un braccio salutando uno dei tre, o tutti, con un cenno delicato ma un po’ distratto di studentessa svampita d’altri tempi. Stanislao, agitando il braccio come risposta, ci sussurrava dell’espressione enigmatica di Lara e di quanta poesia percepisse nella cantilena della sua tristezza. Io ero paralizzato di fronte alla sua comparsa inspiegabile, non annunciata. Mai mi sarei aspettato che Lara mi raggiungesse fin sotto l’albergo del poeta, individuando la finestra esatta. Nemmeno ricordavo di avergliela descritta al telefono. Che mistero. Dovevo solo sperare che il suo arrivo non annunciato non  presagisse qualcosa di sinistro che riguardasse le bambine. Mi consolò, a tal proposito, la sua espressione rilassata, estatica, che non tradiva nulla di drammatico, e che non era così distante da quella che assumeva verso sera apparecchiando la tavola, o accogliendomi sotto la porta con un bacio sul collo, sul naso, nei capelli, allontanandosi con lentezza nelle ombre del corridoio, come un fantasma marino, una maga, una silfide. Nulla di cui preoccuparsi, quindi. Tutto nella norma – almeno per ora:

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