Laura

Serie: Le rose e le rouge


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ricompare il giornalista del DXD. Il suo nome è François Dubois. L'uomo chiede a Valentina di scrivere un articolo per il giornale sulla storia di Clara, che sveli il nome di chi ha provocato, incidentalmente, la morte del marito.

Il reparto di neurologia del San Michele era immerso nella penombra e nel silenzio. Un tablet acceso attenuava l’oscurità dell’infermeria. La donna che lo teneva in mano stava rivedendo la scena del film I ponti di Madison County, dove Meryl Streep indossa l’abito nuovo.

 Il pallido riflesso lunare proiettava la sua luce solo in qualche punto di una camera con le tende semichiuse. La degente accanto al finestrone mugugnava, emettendo gemiti e vocalizzi strani. E pareva contorcersi nel letto, come fosse distesa in un tappeto di ortiche messe ad essiccare, finché un raggio di luna più intenso sembrava le avesse trafitto il cuore al pari di una lama tagliente. Aveva emesso un urlo così  lancinante da far  sussultare le altre degenti della stanza e risuonando nell’androne buio e muto.

L’infermiera della guardiola si era precipitata per verificare la situazione dovuta ai soliti incubi.

La ragazza era arrivata in ospedale con esiti da shock post-traumatico. Quando Laura aveva provato a spogliarla lei si era ribellata e le aveva graffiato un braccio, per non essere denudata. Dopo alcuni giorni di terapia farmacologica il suo stato di agitazione psico-motoria diurna si era placato fin troppo. Durante il sonno, però, le tracce di memoria in gran parte rimosse, riaffioravano all’improvviso, con un grido straziante che una delle prime notti aveva messo in subbuglio l’intero reparto. Il professor De Salvi aveva dato disposizioni di massima sorveglianza e ulteriore sedazione al bisogno.

La donna con la divisa verde stinto dai tanti anni di servizio, aveva tenuto sotto controllo la ragazza, finché il suo respiro era tornato regolare.

Quella giovane e graziosa fanciulla aveva quasi l’età di sua figlia, quando era svanita nel nulla, per essere poi ritrovata in un borsone abbandonato tra i cespugli, vicino al ponte romano, sulla vecchia strada statale 125.

Il riconoscimento della salma in obitorio sarebbe stato inutile e sconsigliato. Non aveva oggetti addosso per l’identificazione. Solo attraverso il DNA avevano potuto stabilire la sua identità. L’uomo che l’aveva ridotta in quello stato era lo stesso che pochi anni prima, davanti all’altare, aveva promesso di amarla e onorarla, nella gioia e nel dolore, in salute e malattia, ogni giorno della sua vita.

Soffermarsi ad osservare il viso della giovane paziente faceva sanguinare di nuovo quella ferita inguaribile. Ancora poche ore e ci sarebbe stata, accanto a lei, la sua unica sorella, a vigilare in ogni momento, cercando di rassicurarla e confortarla. Sarebbe arrivata in aereo, la mattina dopo. Aveva dovuto lasciare il lavoro a Roma, per sostenerla finché non si fosse ripresa del tutto.

La donna era tornata in infermeria e mentre riprendeva in mano il suo tablet, le era tornato in mente l’uomo in divisa, alto e brizzolato, che l’aveva convocata e risentita più volte, anche in ospedale, per sapere se la ragazza avesse parlato durante il sonno e avesse detto dei nomi.

Dagli incontri con la dottoressa Capoccia che la seguiva regolarmente, due o anche tre volte la settimana, nello studio di consulenza psichiatrica, non era emerso niente di nuovo. Sulla base delle testimonianze raccolte avevano accertato che alcuni criminali avevano preso di mira un bar del paese e poi seguito e spinto la ragazza dentro una macchina rossa, dopo la loro ultima incursione nel locale.

Sul DXD avevano scritto che un’anziana signora, mentre stendeva i panni nel suo balcone, aveva assistito alla scena, da lontano, senza capire se la spinta fosse il gesto brusco di un fidanzato sgarbato o quello di un amico, per gioco. In realtà la scomparsa prima e lo stato mentale poi, in cui era ridotta la ragazza, era stata la chiara dimostrazione di un rapimento, senza alcuna richiesta di riscatto.

L’uomo con cui Laura, l’infermiera, aveva parlato più volte era un maresciallo dei carabinieri, un uomo dall’aspetto sobrio, nella sua uniforme impeccabile, con un leggero sentore di Brut. Un tipo garbato, dallo sguardo intenso. Una persona perbene che svolgeva il suo compito con scrupolo, cercando di scovare i colpevoli dei tanti crimini quotidiani. Laura non ricordava più il suo cognome, però le era rimasta impressa la stretta di mano e il tono di voce deciso e rassicurante, nel presentarsi. A occhio le era parso poco più grande di lei. Aveva sempre subito il fascino degli uomini in divisa, forse perché anche suo padre ne aveva una, da ferroviere capostazione. E quando tornava a casa le metteva il cappello in testa, le calava la visiera sugli occhi e le infilava una caramella in tasca, senza farsi notare. Appena lei trovava la sorpresa, il padre le ripeteva ogni volta che era l’effetto magico del cappello.

Un altro grido aveva distolto Laura dai bei ricordi d’infanzia e di nuovo si era precipitata a controllare se fosse il caso di intervenire con l’iniezione.

Era davanti al suo letto quando aveva sentito borbottare una parola simile a struzzo o strazio e una serie di no. A quel punto Laura aveva deciso di sedersi accanto alla ragazza. Stava iniziando ad appisolarsi, accasciata sulla sedia, quando Rosa aveva parlato di nuovo. Ancora una serie di no e poi un nome: Lia.

Lia? Aveva ripetuto mentalmente l’infermiera, sorpresa da quel nome femminile e pensando di chiamare al più presto a uno dei numeri che le aveva lasciato il maresciallo. Si era preparata un caffè con una delle solite cialde comprate al discount, tanto per restare sveglia. Alle prime luci dell’alba aveva composto il numero della caserma. Di contattarlo direttamente al numero del suo cellulare non aveva osato.

“Può chiamarmi a qualsiasi ora. La metà vuota del mio letto a due piazze non avrà niente da ridire, anche se dovesse chiamare nel cuore della notte.” Da quelle parole Laura aveva dedotto che il maresciallo era ancora scapolo o divorziato, oppure vedovo; insomma un uomo solo.

Anche lei era una donna sola, che viveva nel lutto perenne della figlia, senza il fratello che viveva in Australia e senza Bobbino. Il suo barboncino nero, morto di leishmaniosi viscerale, dopo dieci anni di fedele compagnia.

«Pronto maresciallo, sono Laura, dell’ospedale San Michele.»

«Buongiorno Laura. Mi dica.»

«Rosa Testa ha parlato. Stanotte ha pronunciato un nome, un nome femminile.»

«Ah, si? Che nome?»

«Lia.»

Serie: Le rose e le rouge


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Discussioni

  1. Il nuovo episodio presenta una situazione anche più delicata di quanto si potesse immaginare per la Rosa. In un’atmosfera resa greve dalle vicissitudini dell’infermiera che, colpo di scena: pare attratta dal nostro militare, tratteggiato qui quasi come una personcina a modo, se non fosse per un sentore di Brut in servizio… m’incuriosisce di vedere cosa combinerà con la nuova informazione ottenuta. Grazie per la lettura, Luisa