
L’autunno del novantanove
All’ombra della tettoia, una vecchia sedia a dondolo fa scricchiolare la pedana di larice.
Di fronte alla casa, il fiume muove lento la sua striscia di panorama. Qui è lontano il ricordo di quando, giovane e impetuoso, correva giù da erte gole, affrontava salti scrosciando, irriducibile aggirava tutto ciò che non aveva la forza di travolgere.
La sedia si ferma, da dietro lo schienale, salgono placide nuvolette di fumo che stentano a disperdersi: il Piero ha ravvivato il braciere della pipa. Il dondolio riparte.
Un giardino separa la veranda dalla riva del fiume, a ridosso del corso d’acqua un vetusto olmo piangente proietta la sua ombra, in parte sul prato e in parte sulla superficie in cui si specchia; più vicino alla casa alcuni alberi da frutta, ormai solamente il sostegno di casette per gli uccelli, vi dimora una piccola comunità di cinciallegre. Qua e là, ai lati del fazzoletto verde tra la casa e il fiume, si ergono le vestigia degli steccati che un tempo segnavano i limiti di quella proprietà.
«Ehilà vecchio, come andiamo oggi?» Domanda il fiume, rivolto all’uomo sotto la tettoia.
«Mi stupisce che te ne interessi» bofonchia il Piero, dando una tirata alla pipa perché non si sopisse.
«Spinoso di un umano, volevo solo essere cortese. È tanto tempo, ormai, che ogni dì ti vedo lì a far nulla, se non solcare il legno con le slitte del dondolo.»
«Cortese eh…? Come trascorra il tempo che mi rimane non è affar tuo.»
«Vero. Il fatto è che ti ho conosciuto come una persona intraprendente, sempre a sbrigare qualche lavoro, curare il giardino, la manutenzione della casa… guarda quella veranda: è cadente, la vernice scrostata…»
«Oh, se è per questo, la tua umidità non l’aiuta certamente.»
«Ben gentile, e che dovrei fare: asciugarmi? È una libertà di cui non dispongo.»
«Come se altre libertà, invece, ne avessi! In fin dei conti, tu sei libero di andare solo dove le montagne ti concedono il passaggio, e più a valle: dove te lo concede l’uomo, sempre che non voglia imbrigliarti con una diga per far quattrini con la corrente elettrica… Sei solo un servo, come lo sono stato io» si è fatto paonazzo, infastidito dalle mani che gli tremano, armeggia coi fiammiferi e la pipa «con la differenza, lo riconosco, che puoi decidere di portare via qualcuno con te, come facesti con la mia Olga, vigliacco d’un fiume!»
«Di cosa vai cianciando vecchio?»
«Sai bene di che parlo, della piena del… che hanno era? Oh, al diavolo, non ricordo. Ma quella volta lì ti portasti via il mio amore, e per questo non ti perdonerò né ora né mai.» Alza il braccio e tende il bocchino verso l’alto.
«Era l’autunno del novantanove, e non portai nessuno con me, la tua Olga non ti ha mai lasciato, vecchio.»
Leva la mano col pollice rivolto verso la porta d’ingresso: «Ah, capisco, forse tu ti riferisci a quella donna che staziona in casa mia? Non so chi sia. Non lo ricordo, ma certamente non è Olga!»
«A ogni modo» insiste il fiume «io non ho rapito nessuno, men che meno la Tua donna.»
Il Piero si gratta il mento, pare domandarsi perché stia discutendo con un fiume, poi, con tono più arrendevole: «Ma sì, in fondo a che serve prendermela con te? Quel che è stato non si aggiusta certamente, a nulla varrebbero le mie invettive. Ché tanto non me la potresti riportare: te, solo in un senso puoi scorrere.»
«Su questo hai ragione, vecchio mio, anche fosse dipeso da me, ciò che porto al mare non torna più indietro, tante sono le terre che attraverso; rammenti quando a scuola studiavi geografia?»
«No, e poi non ricordo che mi piacesse la geografia. Ma oggi la studieranno ancora? Da che andavo a scuola è passato tanto di quel tempo, e adesso c’hanno quelle diavolerie che ti dicono dove ti trovi, ti dicono loro dove devi andare… un po’ come per te, anche se tu quegli aggeggi lì mica le usi. E fai bene, di certe robe così complicate forse era meglio il libro di geografia».
Il vecchio fa una pausa, riprende fiato. Guarda il prato e mentre con gesti automatici ricarica il fornello della pipa che aveva svuotato dalla cenere, dice tra sé: «Chissà chi ha tagliato l’erba, non ricordo di averlo fatto.» Pensa che potrebbe chiedere al fiume se ha visto qualcuno passare il tagliaerba, ma poi non dice nulla.
Come tutte le sere, le cince scandiscono con il loro canto l’ora che precede il tramonto. E come tutte le sere, un’anziana signora si affaccia all’uscio che dà sulla veranda.
«Piero, caro, è ora di rientrare, l’aria s’è rinfrescata.»
«Ecco, la senti?» dice il Piero, nuovamente rivolto al corso d’acqua, «mi chiama “caro”, ma io mica la conosco…»
Il fiume tace.
«Dopotutto però, devo ammettere che è gentile, cucina e accudisce casa; si comporta come se mi conoscesse da sempre: oh, è ben strana eh? Ma si sa che quelli strani… è meglio assecondarli.»
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Questo racconto mi ha colpito per la sua delicatezza. Il dialogo tra il vecchio e il fiume è originale e tenero, e riesce a far emergere il senso di solitudine, smarrimento e memoria che si perde.
Mi ha fatto pensare a come si invecchia: a volte con rabbia, altre con rassegnazione, spesso con confusione. Il ritmo volutamente lento, lascia qualcosa dentro, come una carezza ruvida e sincera.
Concordo con Irene quando dice che nei tuoi racconti c’è qualcosa di ‘nostrano’. Credo sia il termine più appropriato. Molto bello.
Ciao Cristiana, più ci si avvicina alla data di scadenza e più certi pensieri diventano ricorrenti. Temo che non sia saggezza, almeno da parte mia, ma piuttosto timore. Qualcuno crisse che la saggezza non esiste, ma solamente (persa l’energia per combattere) la consapevolezza che resta meno tempo da sprecare in baggianate. Grazie per il tuo tempo
Ecco, vedi. Il tempo speso bene è quello per una buona lettura. A ogni età 🙂
Ho ritrovato in questo pezzo lo stile di Villa Torretta, il primo tuo pezzo che mi è capitato di leggere. Personalmente, tra tutti i suoi scritti, questo stile è quello che più mi piace. Tu sai come si scrive, sei bravo sempre, ma qui sento un qualcosa in più. Come se ci mettessi, oltre al resto, un qualcosa di nostrano, che ti appartiene. Detto questo. Sarà che i miei neuroni non sono mai stati molto a posto e non credo nemmeno ci siano mai stati tutti, ma Piero non mi ha spaventata e nemmeno intristita. Una sorta di nostalgia, ma di quelle agrodolci, che fanno male di più a chi il senno ce l’ha ancora e teme di perderlo e non ha chi l’ha perso e parla con un fiume di amori perduti. Non credo il fiume sia scelto a caso. È il corso che porta al mare. Non si torna indietro, ma si va a far parte di qualcosa di più grande. I ricordi, come il corso d’acqua, la forma e ciò che si è stati, è vero, vanno persi. Ma è per entrare a far parte di qualcosa di più grande. Quindi. Non che io non abbia paura o ambisca quando sarà il mio momento a rimbambire. Ma mi piace pensare che quella di Piero sia semplicemente l’ennesima condizione temporanea, un mezzo come un altro per arrivare dove ognuno di noi deve arrivare.
Che dire, Irene, il tuo commento mi ha lasciato basito. E non tanto per la lusinga, che pure mi ha fatto arrossire, ma per la tua capacità di ascoltare: attraverso le parole scritte, la voce di chi racconta una storia. Provo a spiegarmi, se riesco. Trovo che tu distingua quando sto raccontando per raccontare, da quando la narrazione è un espediente per esercitarsi a farlo meglio. Questa cosa, da un canto m’inquieta perché mi fa sentire vulnerabile (nudo, sarebbe più giusto dire), ma da un altro mi aiuta moltissimo, perché mi conferma ciò che solo intuisco, ovvero quando riesco a trasporre nella storia una parte di me.
Infine ho trovato la tua riflessione sul Piero incantevole e generosa. Non è comune, stando dal lato del lettore, accordare la clemenza di dire qualcosa di sé. Ti ringrazio tantissimo, a presto
Ahi, ahi, la vecchiaia, quando si perde la memoria. Alleniamoci ogni giorno, cercando di aumentare la plasticità neuronale, sperando di prevenire e di limitare il piú possibile questa degenerazione mentale. Il tuo racconto, peró é piacevole. La descrizione della prima parte molto bella, suggestiva. Vien voglia di essere lì a goderci il paesaggio.
Grazie Luisa per il commento. E, be’… come dici tu: facciamo il possibile; speriamo che basti.
E’ un pensiero che mi spaventa sempre quello di non essere più in me da vecchio. Che poi alla fine, se dovesse succedere, forse non me ne accorgerei nemmeno. Vista così non è nemmeno così male!
Grazie Roberto, per essere passato da queste parti. Purtroppo, ho avuto modo di apprendere che, nella maggior parte dei casi, non si tratta di un interruttore che si spegne, ma un processo più lento in cui il decadimento cognitivo è consapevole; poi la percezione è a sprazzi e solo alla fine se ne perde la cognizione. La cosa migliore credo sia non pensarci proprio.