L’avarizia, il Faro

Serie: L'avarizia


…c’era una volta, abbarbicata su un isolotto tutto rocce e scogli, una casa dal colore rosso sbiadito, con una torretta sulla sua cima e, nella torretta, un faro. Il faro sarebbe servito come aiuto per le navi  in tempesta se non fosse ormai spento da anni e non perchè non ci fosse più un guardiano che se ne occupasse, ma perchè quello che c’era non se ne voleva più occupare.

Il suo nome era Mo, figlio di Tioram e di Fuar, guardiani del faro da generazioni. 

Mo era stato cresciuto su quell’isolotto dai suoi genitori, persone oneste ma dure di cuore e severe nei modi, che gli avevano insegnato alla perfezione il mestiere ma non lo avevano mai stretto in un abbraccio; privato della compagnia di coetanei coi quali giocare e nuotare se ne stava da solo fra onde possenti e un cielo sterminato che lo intimorivano e crescendo aveva imparato a considerare come nemici infidi da tenere sempre sott’occhio. Quando i genitori andavano sulla terra ferma per far visita ai parenti rimasti Mo andava con loro ed in quelle occasioni aveva modo d’incontrare qualche bambino della sua età ma, un pò per il carattere introverso, un pò perchè era abituato a stare fra adulti, non riusciva quasi mai a fare amicizia o almeno a giocare. Così, col passare del tempo smise di seguire i genitori in quei viaggi, preferendo restare da solo al faro. 

Le uniche cose che riuscissero a dargli serenità erano i libri.

C’era un’intera stanza adibita a biblioteca dove praticamente viveva, piena di centinaia di volumi accumulati negli anni dai passati guardiani del faro; quando non era affaccendato in qualche lavoro di manutenzione era li che trascorreva il suo tempo: un ragazzino seduto su cuscini gualciti, dentro una biblioteca, sopra un’isola battuta dalle onde e dai venti. 

Gli anni passarono, il timido ragazzino divenne un uomo solitario, inadatto alla vita sociale, dalla quale comunque si asteneva il più possibile, limitando le incursioni  sulla terraferma giusto a quelle strettamente necessarie per far scorta di provviste o abiti nuovi: le persone gli erano estranee e spaventose come gli uragani . Nacque in lui la diffidenza verso i suoi simili e quel seme di sfiducia crebbe nel suo cuore, rendendolo un luogo arido pieno di rabbia e di egoismo. Non voleva dividere nulla con nessuno e dal momento che possedeva solo quattro cose- la casa, il faro, i libri e sè stesso- decise che mai più avrebbe abbandonato la sua  casa, la luce non avrebbe più brillato per le navi, che i libri sarebbero stati letti solo dai suoi occhi e che nessuno avrebbe potuto parlargli, sottraendogli tempo prezioso.

Come obbedendo ad un ordine della sua volontà, la pelle si riempì di rughe, mentre la postura si ingobbì e i movimenti diventarono molto più lenti, dando nel complesso l’impressione che fosse di almeno vent’anni più vecchio, Anche la casa venne trascurata e ben presto si riempì di polvere appiccicosa, mentre i vetri si opacizzavano e le pareti esterne (che nessuno si era più preso la briga di riverniciare) iniziarono a screpolarsi e cadere a pezzi.

Molte navi abbandonate al loro triste destino s’infransero contro gli scogli, innumerevoli uomini annegarono tra i marosi gridando perchè qualcuno accorresse a salvarli, ma quei pochi che per un pò sopravvivevano aggrappati al sartiame distrutto vedevano la speranza di un aiuto svanire rapidamente, poichè l’unico che avrebbe potuto fare qualcosa, volutamente li ignorava,  

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