Le ali di pipistrello

Serie: Tutto in una sera


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La religiosità è un fatto personale e la visita alla seconda chiesa ne ha mostrato alcuni assai particolari

Chi poteva si era venduto quel po’ che possedeva, un pezzetto di terra avara, qualche animale da cortile o da lavoro ed era partito con le sue grosse scarpe cucite con lo spago impeciato e con le borchie di ferro nelle suole perché non ci si poteva permettere di farle consumare. Erano state del padre e del padre del padre; quando con gli anni la suola si consumava comunque, la si cambiava con una nuova mantenendo il resto e così pure quando era il tacco a scomparire nel continuo incessante camminare per la campagna. Così che la scarpa era sempre la stessa di generazione in generazione al pari della fame e della miseria di chi le calzava.

Oggi il triveneto ha un PIL superiore a quello dell’intera Grecia ed è diventato terra di immigrati. La miseria va rinnovata periodicamente per perpetuarla.

I campi, quelli rimasti a coltura, sono ora lavorati dalle macchine e dai veneti dell’ultimora. Questi nuovi veneti, tutta gente dai diversi colori, sono operai nelle numerose industrie, camerieri, fattorini, muratori e venditori ambulanti venuti da chissà dove. Vivono in piccoli appartamenti con grandi canoni di affitto e non conoscono stress, depressione, malattie e beghe con i parenti. Devono lavorare incessantemente e non hanno tempo per questi nostri mali. Conservano però il sorriso, non so se per necessità o carattere ma sono amichevoli e disponibili.

I veneti nativi son guariti dalla pellagra, fanno le diete alimentari e hanno sempre pronto il trolley da viaggio. Per andare al ristorante dietro l’angolo usano i mega SUV anche se a dir la verità, lo usano pure per fare l’aperitivo in quel locale fashion che è un amore a cento chilometri di distanza. Si infastidiscono se qualcuno al semaforo cerca di vendergli fazzolettini di carta e non sopportano di vedere persone di colore raggruppate tra loro. Alcuni son convinti che gli immigrati siano lì per rubar loro il lavoro e che portino tutte le malattie conosciute e non. E sì, di acqua nel Po ne è passata tanta da quando pulci e pidocchi si contendevano lo spazio sui loro corpi segnati dalla miseria; mi sa che della povertà di allora gli sia rimasta solo quella intellettuale. Per fortuna sono solo alcuni.

Siamo giunti ad Abano e le abitazioni hanno lasciato spazio a una serie ininterrotta di alberghi, per strada solo visi spenti e sguardi assenti. Abano vive di turismo termale e come il nostro che ci ospita, la maggior parte dei grandi alberghi è dotato di un centro termale con piscina, sale fanghi, inalazioni ecc. dove schiere di pensionati vanno ad alleviare gli insulti dell’età. Io no. soffro di sinusite e sono ancora troppo giovane per avere le ingiurie degli anni. Oppure forse sì, in ogni caso non voglio pensarci.

Giusto il tempo di una veloce doccia e poi scendiamo nella sala ristorante, la cena inizia alle 19.30 precise. Sono abituato a cenare intorno alle 22 e dovermi risedere a tavola quando ancora sto finendo di masticare il pranzo mi infastidisce, ma non ho alternative, gli ospiti dell’hotel sono di età media over 75 e scalpitano già da un’ora per la verdurina cotta.

Oggi ci sarà la serata danzante con musica da playlist e cantante microfonata. Veramente sarebbe la stessa ragazza che serve al bar però canta benino.

Secondo il programma la cena è di gala, le signore hanno indossato le loro vesti più carine e i foulard, benèfici anche contro i reumi da aria condizionata, fanno bella mostra di sé nascondendo, tra l’altro, le così dette ali di pipistrello.

Qualche sera fa è stata una bella signora romagnola più che ottantenne a indicare così la muscolatura rilassata sotto il braccio delle ospiti non più giovani. «Ancora io non le ho anche se comincio a essere molle un po’ di qua e di là».

Aveva proferito quelle parole con un misto di soddisfazione e ironia, sempre sorridente passava da un gruppo all’altro distribuendo battute, chiacchiere e aneddoti sulla sua vita. In neppure cinque minuti mi aveva raccontato dei suoi amanti prima, durante e dopo il suo matrimonio e una volta rimasta vedova, di quelli avuti poi con il successivo compagno che amava tantissimo «ma si sa, un’evasione ogni tanto fa bene all’amore» e poi ancora di quest’ultimo pretendente, di cui mi ha pure mostrato la foto, pieno di soldi e di amore per lei che però trovava ridicolo perché basso e tondo e perciò non gliel’aveva mai data.

Alta, longilinea, dai movimenti eleganti e dalla risata cristallina da autentica romagnola, mostrava una decina o forse più di anni in meno e da giovane sicuramente deve aver fatto girare molte teste e non solo per la bellezza.

Di origini contadine e di sangue misto veneto tedesco, aveva conosciuto la fame e il lavoro duro dei campi; mentre mi parlava ho immaginato pure lei, ragazzina, scalza, con la gonna pesante tirata su alle ginocchia e col fazzoletto sulla fronte a battere pannocchie sull’aia. Aveva poi fatto tutti i mestieri del boom economico, operaia, cameriera, cuoca, artigiana. Si era sposata, aveva fatto due figli, ma era sempre andata tutte le settimane a ballare mantenendo uno spirito aperto e gioviale.

Ora, come diceva lei, a “ottant’anni appena compiuti”, non voleva più mariti o compagni, non aveva bisogno di nessuno e voleva stare con tutti e da sola.

«Che vuole, il sesso alla mia età è solo un ricordo, ho già dato e ora basta. Quello mi viene sempre a cercare, mi manda i fiori e mi fa un sacco di regali, prima stava con una mia amica e le saltava addosso tre volte al giorno, l’ha lasciata ed è un anno che cerca di saltare su di me. È inutile che faccia il gentile, che dica che con me sta bene e che camminando mi tenga per mano, non mi interessa voglio stare sola e poi, cosa vuole, non sa neppure ballare bene».

Stava sola in camera e sola stava anche nel suo tavolo in disparte nella grande sala ristorante. Mangiava silenziosa, ogni tanto volgeva lo sguardo a qualche tavolata, sorrideva, dispensava saluti, poi fissava la sedia vuota davanti a sé e un poco quel sorriso calava. Ma era un attimo, poi ergeva meglio il busto già diritto di per sé, sollevava la fronte e riprendeva a sorridere, a guardarsi intorno e a mangiare di gusto.

Serie: Tutto in una sera


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “cosa vuole, non sa neppure ballare bene”
    Stavo per dirti che apprezzo la prima parte del racconto, dove le riflessioni sono così interessanti da suggerire spunti di conversazione; e invece, preferisco annotarmi questa bella signora ottantenne. Non nascondo mai di avere un debole per la Romagna, luogo che da anni (ahimè) scelgo per svernare. Ammetto di farlo soprattutto per la gente il cui animo assomiglia così tanto al mio finto nordico.
    La tua serie è davvero una bella lettura.

    1. Condivido il tuo pensiero, credo che la Romagna sia la più latina tra le regioni del settentrione. Sono arguti, allegri e pur nelle difficoltà riescono a trovare il tempo per un momento di felice abbandono. Li trovo molto veri.