Le cause e gli effetti
Serie: L'uomo sul balcone
- Episodio 1: La farfalla
- Episodio 2: Incontri a distanza
- Episodio 3: Le cause e gli effetti
STAGIONE 1
Era una bella giornata, il sole risplendeva in cielo dopo la tempesta e una leggera brezza accarezzava la pelle di Davide che, a qualche decina di metri da casa sua, fissava il portone di una palazzina fumando pensieroso una sigaretta. Si era ripromesso di ponderare a lungo sugli eventi del giorno prima, ma la curiosità si insinuava tra i suoi pensieri ad ogni momento. Decise quindi di agire il prima possibile. Citofonare al portone condominiale era fuori discussione, cosa avrebbe potuto dire al citofono? “sono io”? No, sarebbe stato metodico anche lui, nel suo piccolo. Si sedette davanti al portone aspettando che qualcuno entrasse nella palazzina. In questo modo sarebbe riuscito ad intrufolarsi nel palazzo e a presentarsi direttamente alla porta de “l’uomo sul balcone”. Bastarono pochi minuti, il tempo di una sigaretta, e una signora carica di buste si presentò in fondo alle scale del vialetto. Davide finse un sorriso cordiale e la aiutò a portare la spesa nell’ascensore. Era dentro. Fece quattro piani di scale a passo svelto, poi si fermò. Una porta blindata, di legno color marrone chiaro troneggiava sul muro del pianerottolo. Nessun nome sul campanello, nessuno zerbino con scritto “welcome”, solo quella porta liscia, lucida, pulita. Il cuore di Davide cominciò a battere talmente veloce che era sicuro stesse emettendo un suono continuo. Era paralizzato. Aveva quasi trovato la forza di girarsi per tornarsene di corsa a casa in preda al panico, quando il suono dell’aprirsi dello spioncino ruppe quel silenzio angosciante. Un suono leggero, lento, stridulo. Poi l’abbassarsi della maniglia.
– Non mi aspettavo di vederti così presto, Davide – disse con sicurezza una voce dolce mentre la porta, aprendosi lentamente, mostrava prima una stanza scura, sovrastata da torri di libri, e poi la sagoma di un uomo.
Quando la porta si aprì completamente, la luce che entrava dalla finestra del pianerottolo mostrò un uomo magro, capelli neri, leggermente stempiato e con la fronte alta. Aveva i lineamenti del viso quasi spigolosi, ma simmetrici. Indossava un completo blu con giacca e cravatta… era lui, non c’erano dubbi. Davide era ancora paralizzato e fissava negli occhi l’uomo. Ne era attratto. Il suo sguardo magnetico gli impediva di scappare a quella situazione surreale.
– Entra, abbiamo molto di cui parlare, gradisci un bicchiere d’acqua? – disse allontanandosi di fretta verso l’interno della casa.
Davide cominciò ad avanzare lentamente verso l’ingresso con passi tremanti. La casa non aveva mobili ma, in compenso, era talmente stracolma di torri di libri e di ciocchi di legno che sembrava la miniatura di una metropoli. L’oscurità dominava in ogni stanza. Piccoli fasci di luce, provenienti dai fori delle serrande, attraversavano la casa.
– S-si g-grazie – era talmente tanto tempo che non proferiva parola che fece fatica a far uscire il suono dalla bocca, la sua voce era roca e tremolante, quasi irriconoscibile a Davide stesso.
– Scusami per il disordine…nessuno è mai voluto entrare qui dentro – disse la voce suadente.
– Quindi q-qui dentro non ci è mai e-entrato nessuno? –
– Non ho detto questo – rispose sorridendo.
Davide si sedette sull’unica sedia presente nella cucina, l’uomo si sedette di fronte a lui su una cassettiera. I suoi occhi sembravano celare più di quanto volesse mostrare. Davide fece un sospiro e tentò disperatamente di riprendersi, si schiarì la voce.
– Perché la statuetta? – disse cercando di mantenere ferma la voce, che invece avrebbe voluto tremare come una foglia.
– Perché non avrei potuto fare altrimenti – dal suo viso il sorriso non si spegneva mai, o comunque mai del tutto.
– Dimmi, tu lo sai in che mondo viviamo, Davide? – proseguì guardando Davide dall’alto in basso. Riusciva ad essere imponente nonostante la corporatura esile.
Davide alzò lo sguardo con le sopracciglia aggrottate,
– Noioso? – borbottò.
Fece un risolino – Quello sicuramente, Davide, ma più precisamente viviamo in un mondo di cause ed effetti, un mondo nel quale questi due principi sfuggono al nostro potere. Persino le nostre scelte più razionalmente ponderate sono causate da eventi esterni ed interni che non possiamo assolutamente controllare e inoltre… – si fermò di colpo notando l’espressione confusa sul viso di Davide.
– Quello che voglio dire è che viviamo in quel flusso di cause ed effetti che è l’universo e chi pensa di poter avere una qualche tipo di influenza attiva e consapevole su questo flusso è un povero illuso – disse cercando approvazione nello sguardo di Davide che, anche se a fatica, stava riuscendo a seguire il filo del suo discorso. Si era tranquillizzato, non stava ben capendo se quello era un tentativo di conversazione o qualcos’altro ma il suo battito cardiaco stava rallentando.
– …Quindi non credi nella libera scelta? Voglio dire…nel libero arbitrio? – disse timidamente sperando di aver capito il senso del discorso.
L’uomo sbuffò – Ah, il libero arbitrio…un altro dio a cui abbiamo creduto per troppo tempo –
Davide fece un sorriso nervoso.
– Vedi – proseguì l’uomo – il flusso mi ha portato da te per dirti ciò che non ho mai detto a nessuno, per dirti che vita ha voluto per me l’universo – si chinò su Davide e avvicinò la bocca al suo orecchio – Io uccido, Davide, e uccido perché non posso fare altrimenti, perché questo è ciò che le cause hanno voluto per me e se tu ora avessi intenzione di attaccarmi o gridare aiuto, sappi che dopo diciotto anni di violente e brutali uccisioni nessuno sa della mia esistenza – disse accarezzandogli la guancia con un lungo coltello che scintillò attraversando uno dei fasci di luce provenienti dall’esterno.
Gli occhi di Davide si spalancarono, i muscoli gli si irrigidirono e la fronte gli si imperlò quasi subito di sudore, emise un gemito sofferente. Cercò di rimanere perfettamente immobile.
– Dai non puoi esserne poi così tanto sorpreso, l’incisione era piuttosto chiara – si appoggiò al muro alla destra di Davide, toccandogli la spalla con il coltello.
– …I loro ultimi attimi mi rimangono sempre impressi…è per questo che decido di immortalarli, sono anche diventato bravo mi sembra, non credi? – Davide, tremando, annuì con le gocce di sudore che ormai gli correvano sulle guance.
L’uomo fece un sospiro profondo – So cosa stai pensando e ti sbagli, non ho intenzione di ucciderti…però dovrai fare quello che ti dico – lanciò un’occhiata inquisitoria a Davide.
Davide annuì di nuovo. Si sentiva uno stupido. Prima regola del manuale per rimanere vivi: non dare retta agli sconosciuti… soprattutto se vi recapitano statuette inquietanti. Ma per lui quell’uomo non era uno sconosciuto, erano più di quattro anni che condividevano il momento più intimo della giornata. Lì, su quei due balconi, così lontani eppure così vicini. Davide era spaventato, ma stava lentamente riprendendo a ragionare. Gli credeva, forse per disperazione. Pensava davvero che se avesse seguito gli ordini dell’uomo, quel giorno non sarebbe morto.
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