Le cinque della sera

Serie: Di ora in ora


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo aver aperto la cartella dei compiti in classe assegnati ai suoi studenti, Lina inizia a leggere il tema di Anita. Le sue parole sono lo spunto per una riflessione sul ruolo degli insegnanti. Poco più tardi arriva Mena, l'amica che ha lasciato la scuola statale per promuovere un laboratorio rap.

Stesso giorno, di lunedì, ore 17. Lina aveva dato un’occhiata alla sveglia sulla mensola. Le cinque della sera, come la poesia di Federico Garcia Lorca: A la sinco de la tarde… era un lamento funebre per la morte di un amico.

Alle cinque della sera era anche il titolo di un film importante, ambientato in Afghanistan –  aveva pensato Lina – ma non ricordava il nome del regista. Lo avevano premiato a Cannes nel 2000 e… boh. Era la storia di una trasgressione, da parte di una giovane donna che fingeva di andare a pregare; mentre, in realtà, andava a scuola. Un diritto che le veniva negato dal padre e da gran parte della società in cui viveva.

Alle cinque della sera era stato anche il titolo di un programma televisivo, in onda su RAI 3, negli anni novanta, condotto da Marta Flavi. Tutt’altra cosa rispetto al film dell’autore Afgano. Il mondo è bello perché è vario –  si diceva una volta. Ora sarebbe più esatto dire ma quanto è brutto questo mondo così avariato – aveva pensato Lina.

Le cinque della sera erano parole contenute anche nel testo di una vecchia canzone cantata da Milva: Flamenco rock. “[…] Alle cinque della sera non c’è il toro nell’arena / Alle cinque della sera sono a letto i matador / Alle cinque della sera non si vede una mantilla / […]”

Un nuovo SMS l’aveva fatta precipitare sul cellulare, come se quel messaggio potesse svanire, da un momento all’altro, senza lasciarle il tempo di leggerlo. Una grande delusione si era dipinta sul suo viso quando aveva verificato che era solo l’ennesima offerta da parte del solito gestore telefonico, per convincerla ad avere più giga e scroccarle più soldi.

Aveva rivisto il messaggio su WhatsApp ricevuto poche ore prima. I suoi occhi si erano riaccesi, dilatando le pupille, per effetto della dopamina.

Mena si era trattenuta soltanto dieci minuti. Doveva affrettarsi a distribuire le locandine e aggiornare la pagina Facebook dedicata agli eventi degli Street boys. Prima di andar via le aveva lasciato i biglietti dello spettacolo per il sabato successivo, al teatro Fortepiano, con la partecipazione dei ragazzi che erano diventati la sua famiglia. Aveva appena chiesto un mutuo bancario per acquistare un locale più nuovo, per le attività del loro laboratorio di musica, poesia e canto. Per le garanzie la banca le aveva chiesto di ipotecare la casa in cui viveva.

“Sei matta?” le aveva detto Lina. E Mena, sollevando le spalle, aveva risposto che tanto figli non ne aveva, nipoti nemmeno; tanto valeva aiutare quei ragazzi. Trasportare i beni materiali all’Aldilà, dove prima o poi si va (aveva aggiunto facendo la rima), avrebbe creato qualche difficoltà.

Quella battuta della sua amica le aveva ricordato una frase della sua insegnante di lettere delle superiori: ” Se sarà necessario, venditi anche il materasso, per realizzare il tuo sogno”. E Mena, a costo di perderci la casa, aveva deciso di rischiare, per vivere quel sogno con l’entusiasmo di un’adolescente. Un sogno che aveva accantonato sin da ragazza, quando aspirava a diventare una manager  nel mondo dello spettacolo, della musica rock. Era una fan dei Litfiba, di Gianna Nannini, di Luciano Ligabue…

Sperava di entrare in contatto e di poter lavorare con gente come loro. Fino all’età di quarantatré anni andava sempre ai loro concerti, soprattutto quando cantava il Liga. Una volta, appena era diventata preside dell’istituto, aveva mollato la scuola, per andare a Parigi, al Bataclan. A lei aveva confidato che voleva sentirlo cantare in francese, per sentire l’effetto che fa. Lina stava per dirle “vengo anch’io”, come diceva Iannacci, ma lei non era una rockettara come la sua amica e detestava la confusione; però invidiava un po’ quella sua esuberanza, quella sua pazza voglia di vivere.

Quando era iniziata la pandemia, Mena aveva smesso di andare ai grandi concerti rock e intanto aveva iniziato a dedicarsi al rap.

***

L’occhio di Lina era caduto sulla copertina del libro Pepe sale e fiori freschi, di Bianca Aloisia. Le piaceva quell’immagine: la foto di un parco con una casa sull’albero. Che meraviglia – aveva pensato. Da piccola le piaceva arrampicarsi sulle piante come una scimmia e stare appollaiata come una poiana nel suo nido, selvatica e solitaria. Certe volte portava con sé  qualche giornalino o qualche libro. Quel senso di libertà, poter sorvolare con lo sguardo lo spazio sconfinato intorno a lei, nascosta tra i rami, e poter andare ancora più  lontano, attraverso la lettura di un fumetto o di qualche libro, la rendeva felice.

Aveva ripreso in mano il romanzo dell’Aloisia. Il cognome dell’autrice corrispondeva al nome di un arbusto ornamentale, conosciuto anche come erba Luigia. Aveva aperto il libro dove aveva lasciato il segno, usando un vecchio biglietto aereo per Khartoun. Era il suo segnalibro preferito, che utilizzava sempre come una vecchia cartolina ricevuta da un amore lontano. Come il souvenir di un amore che si era lasciato catturare dai colori  accesi dei tramonti sudanesi ed era stato colpito al cuore dal mal d’Africa. Come se a lei fosse rimasto solo il ricordo di quel cartoncino, da custodire con cura. Aveva tolto quel biglietto sbiadito e aveva ripreso a leggere il capitolo lasciato in sospeso.

*** 

Il tavolo del soggiorno era da otto posti, allungabile. Quando arrivava qualcun altro c’era il tavolo di riserva, altrettanto grande.

La cuoca numero uno era Tania. Le altre, quando si trattenevano insieme anche per cena, facevano i turni. 

Quando a cucinare spettava a Titti, di solito preparava pasta al tonno e insalata. Da buona nutrizionista, se qualcuno si lamentava, lei precisava: “Ci sono i carboidrati, le proteine del pesce, le vitamine, i sali minerali, i grassi insaturi dell’olio extravergine di oliva bosana, ricco di polifenoli. Che volete di più?”

Sedevano intorno a quel lungo tavolo un po’ distanziate, per la  paura del virus, che ancora aleggiava, dopo l’ultima ondata. La terribile pestilenza aveva lasciato, ovunque, la presenza impalpabile del fantasma virale. A un tratto, mentre aspettavano le lasagne in verde, con carciofi e provola, che Tania stava togliendo dal forno, Isella aveva chiesto : ” Allora, Presidente, quando andiamo a visitare il nostro orto speciale?”

“Smettila di chiamarmi Presidente” aveva risposto Nina, seccata.  

” E dai, su, non arrabbiarti: non ho detto una parolaccia, ho detto solo Presidente.”

“Smettila! Ti ho già  detto mille volte che non mi va.”

“Va bene, va bene; stavo solo scherzando. Ho incontrato Nanni, mi ha detto che le piante stanno crescendo bene.”

“Si, anche il settore delle aromatiche e delle piante officinali hanno attecchito bene. Solo le piante tropicali non hanno avuto un grande sviluppo: sono un po’ rachitiche. Alcune le abbiamo perse.”

“Speriamo che non arrivi anche qui l’invasione delle cavallette. Nella zona dell’alto Campidano stanno devastando intere colture” aveva riferito Isella, incrociando le dita.

“L’esperimento del muro di calcare con i capperi? Le foglie inizialmente le avevano brucate le lumache. Sono ricresciute?” aveva chiesto Titti.

“Si, sono ricresciute. In certi punti hanno formato piccole cascate grondanti di rami” aveva precisato Nina, l’unica che fosse andata di recente, con suo figlio Nanni, “botanico”, per passione.

“Il fiore del cappero è molto bello” aveva detto Isella, con enfasi, immaginando quella parete tappezzata di verde, abbellita dai colori tenui dei capperi appena sbocciati.

“Tu stai sempre pensando ai fiori. Sei fissata!” l’aveva interrotta Titti. “Io preferisco i capperi ancora chiusi, sottaceto, nella pizza o nel pollo alla cacciatora, con le nostre olive, il rosmarino, il vino bianco di Serdiana.”

“Senti, senti. Ha parlato la chef stellata. Vi presento la nostra “Cracca”, quella che ci propina sempre la solita pasta al tonno o tutt’al più al sugo, con la passata di pomodoro  già pronta” aveva replicato Isella.

“Non è vero. La settimana scorsa vi ho preparato le melanzane alla parmigiana. Non direte che vi manca il calcio.”

“E neanche il pugilato” aveva aggiunto Isella. “Peccato che le melanzane fossero bruciate sul fondo e mezzo crude sopra.”

“Va bene, non cucino più, mi licenzio. D’ora in poi metterò in tavola solo pane e formaggio; oppure barattoli di fagioli come il rancio dei cowboys, nei film western” aveva replicato Titti, facendo l’offesa.

“Tornando alla questione dell’orto…” Aveva ripreso Nina, ponendo fine a quel piccolo battibecco infantile tra due donne lungamente stagionate. “Bisognerebbe acquistare la vigna e il boschetto di eucalipti dei confinanti, per poter ampliare il nostro progetto. I proprietari sarebbero disposti a vendere, ma… vorrebbero un sacco di soldi. Dovremmo riscuotere una grossa eredità, per poter acquistare quei terreni.”

“Qualche zio d’America straricco, di nome Tom; oppure qualche parente di Pompu o di Vattelapesca, che non abbiano altri eredi, non ci sarebbe?” aveva chiesto Nella, tanto per  ridere.

“Chissà?! Io credo che le vie del Signore non siano mai finite” aveva affermato Isella, con un tono serio e convinto.

Serie: Di ora in ora


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Discussioni

  1. Ognuno di noi ha un sogno, c’è chi lo realizza nella quotidianità altri nella carta. Io sono di questa seconda fazione, la scrittura mi permette di evadere dalla realtà per creare mondi in cui immergermi completamente. Ne traggo grande soddisfazione ed emozione: i sogni non hanno bisogno di materia per esistere.

    1. Sono anch’ io così: vado dove mi pare, con chi mi pare e quando mi pare, attraverso le fantasie della scrittura. Ho scoperto che posso realizzare tanti sogni molto piu` facilmente e velocemente, calandomi nei luoghi costruiti dalla mente o modificati, secondo i miei bisogni di comunicazione e di espressione o, come dici tu, di evasione.

  2. Mi colpisce il fatto di quante cose capitino a Lina nell’arco di una giornata (ogni nuovo pezzo di questa serie porta un orario preciso dello stesso giorno) e nello stesso giorno lei rivede episodi di vita ed emozioni, ma la caratteristica principale di questa tua protagonista, rimane la leggerezza intesa come anima.

  3. Attendo con ansia l’ultimo episodio. Qualche idea me la sono fatta, hai messo qua e là ad ogni episodio degli indizi, sia per aiutarci che per sviare… Chissà come finirà 😂

  4. Ascolto, si fa sera. Con religioso silenzio aspetto il momento della rivelazione preannunciato. Interessanti le citazioni che hai portato in questo capitolo. Le ore passano inesorabili e questa giornata, infinita, volge ormai al termine aumentando la mia curiosità.

    1. Ci siamo quasi, la campanella sta per suonare. Alle ore 18 conclusione e… ricreazione. Grazie per esserci anche questa volta, “Alle cinque della sera”, nella lettura e nel gradito commento di questo episodio.