L’eccezionale
Serie: La normalità
- Episodio 1: La normalità
- Episodio 2: L’eccezionale
STAGIONE 1
L’eccezionale.
Vi starete domandando di che vittime si tratti.
Beh non aspettatevi omicidi efferati o trasformazioni alla dott. Jekyll e mr Hyde. Purtroppo, l’inettitudine con cui mi approcciavo alla vita era ben lontana dalla passionalità con cui Stevenson descriveva l’ambivalenza del comportamento umano.
Le mie vittime erano personaggi di passaggio che acquietavano la mia ansia, attimi di fugace appagamento.
Capii ben presto che la ricerca della normalità non esauriva il senso di irrequietezza che disturbava le mie notti.
Un serpente silenzioso che strisciava tra le pareti, sotto il mio letto, dentro le lenzuola.
Ero schiavo della mia stessa ombra, e di quegli incubi notturni che non mi davano tregua.
Anche quando pensai di averlo allontanato, lui non fece neppure un passo, rimase lì fermo ad osservarmi pronto ad attaccare non appena avessi abbassato la guardia.
Il mostro con cui condividevo le mie notti, scompariva di giorno, tra le altre persone, attimi di tregua che avrei dovuto gustare, invece io, tremante, attendevo con ansia il suo ritorno.
Il mostro mi accompagnava più o meno da quando era bambino e, a dirla tutta, avrei faticato a staccarmi da lui.
Mia moglie non poteva capire ovviamente, di certo lei non aveva mostri da combattere, aveva solo me, il suo fardello.
Per me era diverso, si trattava di un mostro reale che aveva perseguitato la mia infanzia e quella di mia madre e che, da quando lei non c’è più, continuava a vivere in casa mia.
Solo che questa volta ero da solo, senza di lei.
Forse, se avessi trovato qualcosa di altrettanto grande ed eccezionale, sarei riuscito a liberarmi di lui, un potere uguale e opposto che avrebbe realizzato il miracolo.
In una delle mie estati fanciullesche, tutte uguali, accadde un fatto degno di nota.
Erano giorni in cui io, senza amici, accompagnavo mia madre alla locanda, dove la mattina puliva le stanze del piccolo motel, sopra il ristorante in cui lavorava la sera come cameriera.
Mi ricordo di quel giorno perché accadde un fatto eccezionale, incredibile per un piccolo paese come il nostro.
Mia madre entrò nel piccolo albergo e come era solita fare, alzò le serrande della finestra posta all’ingresso, con fare agitato mi ordinò di fare altrettanto con le finestre delle stanze per gli ospiti, due in tutto, e del bagno in comune posto in fondo alla struttura.
Io andai ad aprire la finestra del bagno, e mia madre quella della prima stanza posta sulla destra.
Non fece in tempo ad aprire che sentii il rumore della sua borsa cadere a terra e mia madre indietreggiare. Non disse nulla per qualche secondo.
– Mamma che succede? – .
Uno sguardo di terrore sul suo volto. Mi avvicinai e quando fui all’altezza della porta vidi anch’io quel macabro spettacolo. Un corpo senza vita giaceva ai piedi del letto.
Era stato posizionato in modo innaturale con il busto rivolto verso la parete e le gambe rivolte a sinistra.
Non c’era traccia di sangue.
Mia madre sempre senza dire una parola allungò una mano verso il mio volto, e mi coprì gli occhi con il suo strano modo di proteggermi.
– Vieni – disse – Andiamo a chiamare qualcuno.
Non sembrava agitata, solo sconvolta.
E triste.
Tanto triste.
Accorse l’ambulanza, e la polizia. Il motel era diventato un luogo affollato e al centro della folla c’eravamo io e mia madre. Non eravamo abituati a quelle attenzioni e, si sa, la popolarità può diventare pericolosa.
Domande veloci che si rincorrevano, le risposte prima incerte si facevano sempre più precise e puntuali, ogni nuovo interrogatorio emergevano dettagli nuovi che la nostra mente cercava freneticamente di recuperare.
Passarono circa 8 ore prima che la sera avvolse di nuovo il motel.
La salma fu portata via, e con lei, come una processione, le persone che avevano riempito queste stanze.
Rimanemmo io e mia madre. Mi chiese come stavo e disse di tornare a casa.
Qualche giorno dopo scoprimmo che si trattava di un giornalista, tale Antonio De Berardo, in viaggio verso altre terre, fermatosi per un breve pausa nel motel, dove rimase invece per sempre.
Accertarono morte naturale, non c’erano segni di violenza e nessuno chiese l’autopsia; non aveva parenti, solo una zia alla quale fu dato il triste annuncio.
Io e mia madre non parlammo più di questa storia, ma entrambi sapevamo che il volto di quell’uomo avrebbe continuato a disturbare i nostri sonni.
Il pensiero ossessivo è un fenomeno reale solo per chi lo ha provato.
Per tutti gli altri è solo una parola da utilizzare in modo atecnico nel caso di fissazioni temporanee.
L’ossessione si manifesta sotto forma di pensiero ricorrente. All’apparenza innocuo, si mimetizza tra le immagini della nostra mente, fino ad imporsi su tutti gli altri come unico pensiero possibile.
Un dittatore crudele che non può essere spodestato.
Mi faceva sentire così, intrappolato dentro me stesso, in luoghi oscuri dove non arriva la luce della realtà.
Proiettore dell’unica realtà possibile.
Anche oggi, a ripensarci, mi chiedo se quell’incidente nel Motel potesse davvero considerarsi casuale.
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