Legnata e la fata Bottarella 

C’era una volta una ragazza di nome Lucrezia, soprannominata Legnata dai suoi impietosi compaesani a causa dello schianto nel cranio di una tegola mal fissata distaccatasi da uno dei cantieri edili condotti da suo padre, in cui Lucrezia aveva cercato riparo una mattina in cui aveva marinato la scuola.

Lucrezia rimase in coma diversi mesi, durante i quali sua madre morì di crepacuore e suo padre, ubriaco fradicio fisso per il senso di colpa per non averla rimandata a scuola a pedate nel deretano quella maledetta mattina, una sera rimase attaccato al generatore difettoso di casa, finendo schiantato dalla conseguente scarica voltaica.

Quando Lucrezia si risvegliò era Legnata, ovvero un’orfana con lesioni ed invalidità permanenti; insomma, cari bambini, una storia di merda.

I servizi sociali collocarono Legnata a casa della sorella di sua madre, la quale accettò per usufruire della pensione di invalidità di Legnata.

Un giorno la zia di Legnata venne convocata dai servizi sociali per la rivalutazione della pensione di Legnata.

La zia lasciò Legnata insieme a Ines, una giovinastra scapestrata e senza prospettive, che implementava con incarichi occasionali da babysitter, duranti i quali occupava il tempo fumando gli spinelli.

Così accadde anche quel giorno.

Ines si era appartata nel soggiorno per arrotolarsi una canna quando venne raggiunta, con il suo incespicante incedere, da Legnata.

“Che fai tegame? Ti droghi?” domandò Legnata.

“No, gioco a Risiko” rispose con impudenza Ines.

“Voglio drogarmi anche io!” urlò Legnata.

“Ma sei scema? Lo vedi in che stato sei già?”

“Bellina te!” replicò Legnata stizzita.

Ines allora annuì, sorridendo crudelmente.

“Va bene” sibilò, ammicciando lo spinello e passandolo ancora fumante a Legnata.

Legnata afferrò il joint ed aspirò avidamente; immediatamente dopo inizió a tossire rischiando di soffocare, mentre un mucchietto di cenere, colando dall’estremità della canna, iniziò a formarsi ai suoi piedi, fino a quando non accadde un evento straordinario.

Piano piano, come per magia, una piccola luce iniziò a brillare con crescente potenza, finché davanti a Legnata non si materializzò una mirabolante fata!

Aveva una chioma di capelli rosso elettrico irsuti che ricordavano una palla di insalata, gli occhi cerchiati da una pesante linea di mascara, rossetto fiammeggiante applicato alle labbra gonfie di botulino, al punto da sembrare due canotti, e un corpetto in pelle nera aderente da cui strabordava un generoso seno.

“Chi cazzo sei?!” urlarono all’unisono Ines e Legnata.

La fata espose un ampio sorriso.

“Sono la fata Bottarella” urlò, sgranando gli occhi e producendosi in una risata sguaiata.

“E quindi?” domandò annoiata Ines.

La fata Bottarella iniziò a grattarsi la guancia.

“Vi interessano crack e metanfetamine?” domandò con voce gracchiante.

Ines sgranò gli occhi.

“Puoi procurarle?” domandò ansiosamente.8

“Testina, sono una fata pusher” rispose risentita Bottarella.

Ines annuì sorridendo.

“Non so se Raingirl possa essere in accordo” nicchiò riferendosi a Legnata.

Gli occhi di Legnata si riempirono di lacrime.

“La mia vita è finita il giorno in cui quella maledetta tegola mi ha sfondato il cranio” sussurrò con un filo di voce biascicante ed impastata.

Ines scrollò le spalle con indifferenza; non le interessavano le motivazioni di Legnata.

Bottarella annuì esponendo un sorriso maligno e, subito dopo, estrasse un cellulare, componendo un numero a memoria.

Ines e Legnata la osservarono con sguardo anelante.

Da quel giorno vissero tutte stonate e scontente.

Continua...
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Gabriele, questa tua spassosa può essere benissimo una controfavola di Natale.
    C’è il preludio triste (la tegola, il crepacuore e la folgorazione voltaica), poi l’affidamento della povera orfanella alla zia avida, la quale vede bene di lasciarla in balia di una babysitter anaffettiva e drogata.
    Ma la ciliegina sulla torta deve ancora arrivare, sottoforma di sordida fatina bastarda (una Babba Natale sociopatica?), latrice di doni munifici e psicotropi.
    E Charles Dickens muto.

    1. Anche in questo caso,
      eccellente opera maieutica del professore, il quale, chirurgicamente, mi avviò alla visione di “Babbo bastardo” dei fratelli Cohen, consapevole che stava compiendo una scelleratezza pari al lancio di un petardo acceso in una caldaia condominiale

        1. Assolutamente congruo con l’assenza di percezione del contenuto di disvalore,
          il sottile autocompiacimento orbato di qualsivoglia principio di rimorso

  2. Una storia tragicomica, quasi una favola, molto attuale, con una delle tante varianti sul come accapparrarsi il reddito di una pensione. C’ é chi nasconde la nonna nel freezer, c’ é chi si traveste per sembrare sua madre e c’ é anche la zia che si accolla sua nipote Legnata per poter riscuotere la pensione di invalidità. Un racconto ironicamente amaro.😊

  3. Una fiaba nerissima e grottesca, volutamente cattiva, dove la “fata pusher” ribalta ogni morale e trasforma la pietà in sarcasmo. Il finale (“stonate e scontente”) chiude bene: niente redenzione, solo una spirale amara.

  4. Beh, tutto sommato, con i tempi che corrono, salvo qualche eccezione, è meglio una fata che ti procura allucinogeni che non una che ti manda al ballo con l’illusione di trovare un principe che, invece che azzurro, è profondo rosso. Bravo, Gabriele!